La sofferta riforma delle autonomie regionali e federalismo fiscale

Nel terzo punto del programma elettorale del nuovo governo di centro destra, “Riforme istituzionali, della giustizia e della Pubblica Amministrazione secondo Costituzione”, si prevede la piena attuazione della legge sul federalismo fiscale e di Roma capitale, nonché l’attuazione del percorso già avvenuto per il riconoscimento delle Autonomie ai sensi dell’art. 116, comma 3, della Costituzione garantendo tutti i meccanismi di perequazione. Una prima bozza di tale riforma è stata già predisposta, ma ha già provocato forti tensioni, soprattutto da parte dei governatori e dei Sindaci di varie Regioni.

    Indice

  1. L’evoluzione del federalismo in Italia e il quadro costituzionale 
  2. La riforma delle autonomie regionali del governo di centro destra
  3. Conclusioni

1. L’evoluzione del federalismo in Italia e il quadro costituzionale

Il federalismo è una forma di organizzazione dello Stato in cui il potere è diviso tra un governo centrale e governi sub-nazionali o regionali e, sin dall’istituzione della nostra Repubblica, questa forma di organizzazione è stata oggetto di un vivace dibattito.

Tale dibattito abbraccia una serie di argomenti: il binomio federalismo centripeto-federalismo centrifugo, ovvero il confronto tra chi vede il federalismo come una forma di organizzazione statale di tipo divisorio e chi, invece, come una forma di tipo aggregante; il federalismo nell’era della globalizzazione, dibattito che tende a stabilire se il federalismo sia o meno in grado di rispondere adeguatamente alle grandi sfide e ai soggetti di questo fenomeno; la “questione settentrionale” e la “questione meridionale”, ovvero il ruolo del federalismo rispetto al rapporto tra Nord e Sud Italia; da ultimo, i costi del federalismo, per comprendere se il sistema federalista sarebbe in grado di ridurre e razionalizzare le spese statali o, al contrario, se rappresenterebbe un aumento dei costi rispetto ai sistemi accentrati.[1]

Per quanto concerne il binomio federalismo centripeto-federalismo centrifugo, in Italia è stata la Lega Nord a riaccendere per prima la questione attorno agli anni novanta, quando il giurista Gianfranco Miglio parlò di un’Italia non predisposta per un regime centralizzato, essendo composta da una popolazione disomogenea e non avendo né un passato unitario né un buon livello di democrazia.[2] In occasione del meeting Federalismo e federalismo fiscale nell’Italia che cambia,[3] tenutosi a Rimini, il 26 agosto 2010, organizzato dalla Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli in collaborazione con Unioncamere, il presidente del Veneto Luca Zaia, e l’allora presidente della Lombardia Roberto Formigoni, sottolinearono che 150 anni di unità centralista, almeno negli ultimi decenni, non avevano funzionato e che il vero nemico della crescita e dello sviluppo era proprio il centralismo.

Tra gli altri partiti italiani, il Partito Democratico – erede di esperienze di tipo federalista (come quella della proposta di Nuovo Statuto del Veneto elaborata da un gruppo di suoi esponenti veneti, tra i quali anche Massimo Cacciari, intorno all’anno 2000) – affermava di sostenere “i valori dell’autonomia e del federalismo in quanto promotori delle capacità di autorganizzazione in grado di garantire la coesione sociale e territoriale del Paese” (punto 5 del manifesto dei valori).[4]

Per converso, c’è chi conferisce al concetto di federalismo un’accezione negativa, evidenziando quelli che sarebbero i rischi di una sfaldatura del Paese, chiamando in causa il termine “secessione”. Uno dei pericoli maggiori, secondo questa tesi, risiederebbe nell’esasperazione degli egoismi locali[5] in favore di un federalismo che diverrebbe di natura centrifuga, che sarebbe causa di competizione tra i territori e che vedrebbe i “ricchi” svincolarsi dagli obblighi di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza alla comunità nazionale. Alcuni studiosi annoverano tra gli esempi di federalismo centrifugo i casi della Catalogna in Spagna e dello stesso Nord Italia.[6][7][8]

Pertanto, il federalismo, secondo i suoi detrattori, che lo definiscono anche “federalismo per disaggregazione”, rappresenterebbe l’inizio di un processo di detronizzazione dello Stato che rinuncerebbe a ogni pretesa gerarchica nel sistema delle fonti per diventare una semplice parte dello stesso rango di Comuni, Province, Regioni. Alla base di questa visione del federalismo come detronizzazione dello Stato c’è la motivazione storica per la quale il federalismo si svilupperebbe solo “per aggregazione”, cioè come ricomposizione paziente e delicata di società plurali attraversate da forti linee di frattura.[9]

Tuttavia, un’analisi dell’istituto non può prescindere dal nostro quadro costituzionale. In particolare, l’art.117 della Costituzione, come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001, dispone che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e poi indica le materie in cui lo Stato ha una legislazione esclusiva e quelle in cui ha una legislazione concorrente con le Regioni.

Poiché anche le Regioni sono titolari della potestà legislativa (c.d. autonomia normativa) la disposizione si preoccupa di ripartire le competenze tra esse e lo Stato in base alle materie che possono esserne oggetto.

La riforma del 2001 ha riguardato varie disposizioni del titolo V e le modifiche apportate sono state incisive. Una rivoluzione si è avuta nella stessa formulazione della disposizione. Prima della riforma, infatti, essa indicava quali fossero le materie in cui le Regioni potevano legiferare, comunque nel rispetto sia dei principi di cui alla legge nazionale sia dell’interesse statale e delle altre Regioni. Ad oggi sono tassativamente indicate quelle di competenza esclusiva statale e concorrente, mentre quelle che non vi rientrino spettano alla potestà regionale. Ciò indica un mutamento nella stessa prospettiva del legislatore.

Pertanto, con la riforma del 2001, il legislatore ha accomunato sotto i medesimi limiti tanto la potestà legislativa statale che quella regionale.[10] Si deve, quindi, ritenere che la configurazione della disposizione in esame vada ad modificare la stessa potestà legislativa in relazione al suo possibile contenuto.[11]

La circostanza che alcune materie siano di competenza esclusiva statale si deve al fatto che esse toccano valori che coinvolgono l’intera comunità. Esse, per la loro delicatezza, vengono consegnate dallo Stato centrale alla cura di soggetti indipendenti.

Invece, le materie di legislazione concorrente elencate dall’art. 117 Costituzione possono essere oggetto di apposita disciplina, ma anche essere desunte dalle leggi già esistenti, secondo quanto ha stabilito la legge 5 giugno 2003, n. 131. Con tale legge lo stesso Parlamento ha delegato il Governo ad individuare i principi già vigenti, anche allo scopo di evitare un vuoto legislativo nell’attesa di una loro concreta definizione da parte del legislatore. Peraltro, l’elenco delle materie concorrenti non è stato esente da critiche perché include ambiti che secondo alcuni dovevano essere riservati allo Stato al fine di garantire una regolamentazione uniforme. La stessa Corte Costituzionale ha perseguito questo scopo sia consentendo allo Stato di richiamare a sé funzioni legislative in applicazione del principio di sussidiarietà, sia stabilendo che i principi di base potevano essere più ampi del normale.

Inoltre, la norma ripartisce la potestà regolamentare tra i vari livelli di governo. Infatti, ai sensi del comma 6, la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva. In particolare, le Regioni sono titolari nelle materie di loro competenza e possono divenirne tali su delega statale. Peraltro, si deve considerare la possibilità che anche nelle materie esclusive regionali la potestà in esame possa essere statale: ciò accade in caso di materie trasversali. In ordine all’organo locale competente ad esercitare la funzione la Costituzione ha rimesso la scelta alla determinazione dei singoli Statuti.[12] Pertanto, alle Regioni spetta la potestà regolamentare nelle materie di legislazione concorrente (comma 3), nelle materie di legislazione residuale (comma 4) e nelle materie di competenza esclusiva statale, per le quali lo Stato abbia conferito la delega ad una o più Regioni.

Tuttavia, il legislatore della riforma ha inteso ribadire come nonostante l’autonomia di cui godono le Regioni nelle materie di propria competenza o concorrenti deve essere garantito il rispetto dei principi in esame, la cui formulazione ricalca quelle degli articoli 3 e 51 della Costituzione.

Anche la materia dell’istruzione, oggetto di un acceso dibattito, in linea di principio è di competenza statale. Però, si deve ritenere anche che si tratta di materia c.d. trasversale perchè idonea ad incidere su ambiti di competenza concorrente o residuale regionale. Infatti il legislatore introduce un concetto più che una materia. Lo scopo cui risponde questo tipo di materia è consentire che su tutto il territorio dello Stato, a prescindere dalla divisione in Regioni, vengano garantiti standards minimi di alcuni servizi. La naturale conseguenza è anche quella di restringere i poteri di cui le Regioni sono dotate negli ambiti che vengono interessati, ciò che ha spinto la Corte Costituzionale a sottolineare come lo Stato stesso debba agire con proporzionalità ed adeguatezza. Altro esempio di materia trasversale è la tutela dell’ambiente (lett. s) che può incidere su quella della caccia.

La norma precisa anche che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta, poi, come detto, alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Viene, anche, ripartita la potestà regolamentare tra i vari livelli di governo. In particolare, le Regioni ne sono titolari nelle materie di loro competenza e possono divenirne tali su delega statale. Peraltro, si deve considerare la possibilità che anche nelle materie esclusive regionali la potestà in esame possa essere statale: ciò accade in caso di materie trasversali. In ordine all’organo locale competente ad esercitare la funzione la Costituzione ha rimesso la scelta alla determinazione dei singoli Statuti.[13]

Infine, il legislatore della riforma ha inteso ribadire come nonostante l’autonomia di cui godono le Regioni nelle materie di propria competenza o concorrenti deve essere garantito il rispetto dei principi generali, la cui formulazione ricalca quelle degli articoli 3 e 51 della Costituzione.

In conclusione, la potestà legislativa regionale è soggetta alle seguenti limitazioni:

  • il limite costituzionale, in quanto le Regioni sono tenute al rispetto della Costituzione, sia quando i loro atti normativi siano espressione della potestà legislativa concorrente, sia di quella esclusiva;
  • i limiti derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea ed agli obblighi internazionali, che impongono alle Regioni di non introdurre norme che mettano lo Stato in una situazione di infrazione nei confronti degli obblighi di cui sopra;
  • il limite dei principi fondamentali, riferibile alla legislazione concorrente;
  • la riserva di legge, secondo la quale quando la Costituzione rinvia la disciplina di una determinata materia alla legge, ci si riferisce solo alla legge dello Stato (ad esempio, art. 25Costituzione per la materia penale);
  • il limite delle materie elencate nella disposizione di cui all’art. 117 Costituzione;
  • il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e dei principi generali dell’ordinamento.

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2. La riforma delle autonomie regionali del governo di centro destra

In questi giorni è in discussione la legge quadro che deve definire la cornice per le intese fra il governo e le singole Regioni con cui trasferire nuove funzioni alle stesse Regioni. In discussione c’è l’elenco delle 23 materie che la riforma costituzionale del 2001 ha assegnato alla competenza concorrente fra Stato e Regioni: si va dall’istruzione ai beni culturali, dalle professioni alle infrastrutture.[14]

Nella bozza del disegno di legge è previsto che vengano stabiliti i livelli essenziali di prestazione (che lo Stato deve garantire “su tutto il territorio nazionale”) prima di procedere all’accordo diretto sulle materie da delegare alle Regioni, ma è anche fissato un termine di un anno oltre il quale, se non vengono approvati con decreto del presidente del Consiglio, le funzioni possono comunque essere trasferite alla Regione. Inoltre, “si applica il criterio della spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti”.

La principale contestazione è quella per cui – secondo i governatori del Sud – si aggraverebbero le differenze nel Paese, su questioni fondamentali, dall’istruzione alla salute. È lungo, infatti, l’elenco delle materie di cui le Regioni potranno scegliere di occuparsi in via esclusiva, mutuandole dai poteri dello Stato centrale, dalla scuola ai trasporti, fino al commercio con l’estero e ai giudici di pace.

Si tratta di un disegno di legge che attuerà l’articolo 116 della Costituzione dove al comma 3 è scritto che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia[…]possono essere attribuite a altre Regioni con legge dello Stato su iniziativa della Regione interessata”. In pratica, sfruttando l’onda della citata riforma costituzionale del 2001 – che prevede materie di competenza esclusiva dello Stato ma anche 23 materie di legislazione concorrente” (articolo 117 Costituzione di cui sopra) – ciascuna Regione, se vuole, potrebbe disciplinare alcune o tutte le materie. Sulla base di intese tra governo e Regione partirebbe, quindi, un federalismo differenziato.[15]

In discussione ci sono, quindi, le 23 materie “concorrenti”, che il ddl Calderoli allega come promemoria. E cioè: l’istruzione (fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’esclusione dell’istruzione e formazione professionale); rapporti internazionali delle Regioni e con l’Ue; commercio estero; tutela e sicurezza del lavoro; professioni; ricerca scientifica e tecnologica  a all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzionale nazionale dell’energia; previdenza complementare integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

3. Conclusioni

Si ritiene che la riforma in questione sia in linea di massima formalmente rispettosa del dettato costituzionale. Tuttavia, il federalismo differenziato proposto potrebbe accentuare i divari, con un Nord che avanza e un Sud che resta indietro. I citati livelli essenziali di prestazione (Lep), cioè i pari servizi, nella bozza Calderoli, devono essere varati con decreto della presidenza del Consiglio entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge. Ma se non vengono adottati, le intese verranno promulgate lo stesso. Il Parlamento, poi, avrebbe poteri limitati; infatti, avrebbe un mero compito di ratifica delle intese, senza alcun potere di emendamento.

Se poi il federalismo differenziato non andasse più bene, le modifiche saranno possibili solo se entrambi i partner, governo e Regione, sono d’accordo nel riformarli. Ciascuna Regione potrebbe, quindi, chiedere quali materie gestire. Ad esempio, Veneto, Lombardia e Piemonte hanno già fatto sapere che vorrebbero tutte e 23 le materie. Però per evitare che un cittadino della Calabria sia penalizzato rispetto a uno della Lombardia in materia, ad esempio, di asili nido, di scuole più efficienti, di ospedali, energia, trasporti eccetera, sono previsti i menzionati livelli essenziali di prestazioni, ovvero il diritto ai servizi che ciascun cittadino ha, dovunque risieda, e che lo Stato si impegna a garantire.

Il fronte di chi si oppone al provvedimento chiede, tuttavia, che alcune materie siano escluse dal tavolo del federalismo come appunto la scuola e la sanità, perché venti scuole o venti sanità regionali minerebbero l’unità del Paese.

Infine, il ministro Calderoli ha assicurato che non ci saranno “rese” fiscali maggiori o minori che una Regione può usare per sé.

In conclusione, si è dell’avviso che la riforma in esame, prevista dal programma di coalizione di centro destra ed approvata dagli elettori, potrebbe essere utile per il Paese, ma dovrebbe essere raggiunto l’accordo all’unanimità nella Conferenza Stato-Regioni, perché solo così si potrebbero superare i numerosi interrogativi che il provvedimento presenta ed essere garantito il pieno rispetto delle norme di cui agli articoli 2 e 51 della nostra Carta costituzionale.

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Note

[1] Riforma federalista dello Stato italiano. Favorevole o contrari?, in Proversi, 3 ottobre 2016.

[2] A. Iannello e C. Iannello, Note sul Federalismo, in Il falso federalismo, Quaderni. Temi di cultura antica e moderna, 1, Napoli, La scuola di Pitagora, 2004.

 [3]  Meeting di Rimini, Federalismo e federalismo fiscale nell’Italia che cambia, su YouTube, 26 agosto 2010.

[4] Manifesto dei Valori del Partito Democratico, su partitodemocratico.it.

[5] P. Togliatti, Opere, a cura di Luciano Gruppi, vol. V: 1944-1955, Roma, Editori Riuniti – Istituto Gramsci, 1984, p. 206.

 [6] C. De Fiores e D. Petrosino, Secessione, Roma, Futura, 1996.

 [7] A. Iannello e C. Iannello, Note sul Federalismo, in Il falso federalismo, Quaderni. Temi di cultura antica e moderna, 1, Napoli, La scuola di Pitagora, 2004.

 [8] C. De Fiores, Federalismo centrifugo, in La Rivista del Manifesto, n. 5, aprile 2000.

 [9] M. Prospero, Federalismo, così la destra sfascia la Repubblica. Nel mirino di Domenico Fisichella c’è il governo, ma il suo pamphlet spiega anche gli errori del centrosinistra, in l’Unità, 4 aprile 2004.

[10]Articolo 117 Costituzione, in Brocardi.it del 29 aprile 2022.

[11] Articoli 72 ss. Costituzione.

[12] Cfr. art.121 Costituzione.

[13] Cfr. art. 121 Cost.

[14] Redazione, Autonomia differenziata, Calderoli: è nel programma. Fdi rilancia il presidenzialismo, in Il sole 24 ore del 18 novembre 2022.

[15] G. Casadio, Autonomia differenziata per le Regioni: che cos’è la riforma proposta da Calderoli, in La Repubblica del 18 novembre 2022.

 

Prof. Paolo Gentilucci

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