Carenza antinomia normativa D.L. 511/1988 e direttiva 2008/118/CE

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     Indice 

  1. Il fatto 
  2. Contesto normativo
  3. Le posizioni prevalenti in giurisprudenza
  4. La decisione del Tribunale di Forlì: la carenza di antinomia normativa
  5. Le ulteriori ragioni a conforto della tesi
  6. Le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13 (Statoil), e 25 luglio 2018, in causa C-103/17 (Messer)

1. Il fatto

Con ordinanza emessa in data 24.11.2022, il Tribunale di Forlì è stato chiamato ad esprimersi sul ricorso proposto da parte di un consumatore finale, il quale ha agito con l’azione di indebito oggettivo, ex art. 2033, c.c., avverso il fornitore di energia elettrica che aveva esercitato il diritto di rivalsa per le addizionali provinciali, istituite con l’art. 6, co. 2, del D.L. n. 511/88, a suo dire indebitamente versate.

La questione va ad inserirsi nel più ampio novero delle cause promosse dai consumatori finali avverso i fornitori di energia elettrica in seguito a due pronunce della Corte di Giustizia UE: la decisione Statoil del 5.03.2015, C-553/13 e la decisione Messer del 25.07.2018, C-103/17, per come successivamente interpretate dalla Suprema Corte di Cassazione, in particolare con le sentenze n. 15198/19, n. 15199/19 e n. 22343/20.

Con la decisione in commento il Tribunale di Forlì ha sostenuto non sussistere alcuna antinomia normativa tra il D.L. 511/1988, istitutivo delle addizionali provinciali sulle accise, e la direttiva 2008/118/CE, contenente il divieto per gli Stati membri di istituire “altre imposte” indirette sulle accise.

In particolare, la tesi qui sostenuta è quella secondo la quale le addizionali provinciali sulle accise non possano essere qualificate come “altra imposta” rispetto all’accisa, essendo l’addizionale soltanto un “mera quota” dell’imposta principale.

2. Contesto normativo

Con l’art. 6, co. 2, del D.L. n. 511/88, è stata istituita un’imposta addizionale sulle accise, in favore delle casse degli Enti comunali e provinciali. Rifacendosi alla disciplina dell’accisa (v. art. 53 TUA e ss.), il legislatore ha individuato nei fornitori di energia elettrica i soggetti deputati al pagamento dell’imposta verso l’Erario, prevedendo poi il diritto di rivalersi nei confronti dei consumatori finali. Tuttavia, con l’obbiettivo di armonizzare la disciplina dei beni sottoposti ad accisa su tutto il territorio europeo, l’Unione approvato la direttiva 2008/118/CE, al fine di imporre ai singoli Stati membri di adeguarsi al principio secondo il quale, in tema di beni sottoposti ad accisa, non possono essere istituite “altre imposte indirette”, se non al realizzarsi cumulativamente di due determinate condizioni, e cioè: a) che le altre imposte abbiano una “finalità specifica”; b) che le disposizioni in materia di determinazione della base imponibile, del calcolo dell’imposta, dell’esigibilità e del controllo siano conformi al diritto unionale.

Sebbene le addizionali provinciali siano state definitivamente abrogate a decorrere dal 1.1.2012 a mezzo dell’art. 4, comma 10, D. L. n. 16/2012, si è assistito nel nostro ordinamento ad un periodo di contemporanea vigenza (biennio 2010-2011) tra il divieto europeo di istituire “altre imposte indirette” sulle accise e l’obbligo – gravante sui fornitori – di versamento delle addizionali provinciali in favore dell’Erario, con il conseguente diritto di rivalsa verso i consumatori finali.

Ordunque, secondo i consumatori finali che hanno agito per la restituzione delle somme, sarebbe indebita la rivalsa sulle addizionali provinciali effettuata dai fornitori nel biennio 2010-2011, in quanto relativa ad un’imposta (l’addizionale) contrastante con il diritto euro-unitario.

Nello specifico, tale contrasto ordinamentale sarebbe basato sul fatto che le addizionali provinciali sarebbero prive di “finalità specifica”, sicché non verrebbe rispettato uno dei due criteri espressamente previsti dalla direttiva 2008/118/CE.

Ci si è perciò interrogati su cosa debba intendersi per “finalità specifica” di un’imposta.

Per rispondere a tale quesito sono intervenute due rilevanti decisioni della CGUE: la decisione Statoil e la decisione Messer. Nella prima delle due sentenze, la Corte di Giustizia UE ha preso in esame un tributo istituito dallo stato estone, denominato “imposta sulle vendite”, ed ha concluso, all’esito dell’iter argomentativo, con il principio secondo cui la mera finalità di cassa, posta alla base di un’imposta, non possa mai integrare il requisito della “finalità specifica” voluta dalla lettera della norma di diritto derivato.

Al contrario, con la sentenza Messer, la Corte UE ha sancito la conformità di un tributo istituito dallo stato francese con la direttiva 2008/118/CE, atteso che tale tributo si risolveva in un’imposizione il cui gettito veniva devoluto al finanziamento di attività di carattere ambientale e di sostenibilità, con la conseguenza che, in quel caso, poteva ritenersi sussistere la finalità specifica voluta dalla direttiva CE.

Tale impostazione è stata perciò accolta dalla Corte di Cassazione, la quale, a più riprese ha avuto modo di affermare che l’addizionale provinciale in commento, istituita dall’art. 6, co. 2, del D.L. n. 511/88 con lo scopo di incrementare le entrate degli Enti territoriali, confliggerebbe con il diritto unionale, in quanto carente di quella finalità specifica, così come intesa dalla CGUE.

In particolare, in Cass. Sent. n. 22343/20, è stato espresso il seguente principio di diritto: “l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui all’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988, nella sua versione, applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 26 del 2007, va disapplicata per contrasto con l’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, per come interpretato dalla Corte di Giustizia U.E. con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17”.

Da qui il sorgere di una serie di azioni da parte dei consumatori finali avverso i fornitori di energia elettrica per quanto precedentemente versato a titolo di rivalsa.

3. Le posizioni prevalenti in giurisprudenza

Nella recente giurisprudenza di merito, la questione è stata affrontata nei termini di un contrasto ordinamentale da risolvere, e cioè quello delineatosi tra la norma di diritto interno istitutiva delle addizionali provinciali, vigente sino alla data della sua abrogazione (1.1.2012), e la norma di diritto derivato.

In tale prospettiva si sono registrati due orientamenti:

i) il primo, prevalente, ha riconosciuto il diritto dei consumatori finali alla restituzione di quanto versato a titolo di addizionale, sulla scorta del principio per cui, a prescindere dal carattere selfexecuting o meno della direttiva CE, il Giudice nazionale è tenuto a garantire la corretta applicazione del diritto euro-unitario, incluso quello derivante dalle decisioni della CGUE, quale autonoma fonte del diritto (v. ex multis, Trib. Milano, ordinanza 16.11.2020; Trib. Bologna, ordinanza 14.06.2022);

ii) il secondo, minoritario, ha concluso nel senso opposto, e cioè riconoscendo la legittimità della rivalsa dei fornitori e rigettando il ricorso dei consumatori finali. Secondo tale indirizzo, il Giudice
nazionale sarebbe tenuto ad applicare il diritto interno, dal momento che, facendo valere il diritto unionale scolpito in una direttiva, si finirebbe per concedere a tale fonte del diritto unionale una efficacia c.d. orizzontale, in contrasto con i principi fondamentali del diritto europeo, secondo il quale le direttive europee non possono essere fatte valere in una controversia tra privati (cfr. Trib. Torino, ordinanza 20.04.2021).

4. La decisione del Tribunale di Forlì: la carenza di antinomia normativa

In siffatto contesto giurisprudenziale, si inserisce l’ordinanza del 24.11.2022 del Tribunale di Forlì, che traccia l’ipotesi di un terzo orientamento, e cioè quello secondo il quale non è ravvisabile alcun contrasto normativo tra il D.L. 511/1988 e la direttiva 2008/118/CE.

Per giungere a tale conclusione il Tribunale si interroga prima di tutto sulla corretta natura dell’addizionale provinciale in commento, chiedendosi se tale imposta possa essere effettivamente qualificata come “altra imposta” rispetto all’accisa o meno, dal momento che solo in caso di risposta affermativa sussisterebbe effettivamente l’antinomia normativa.

In particolare, il Tribunale fa notare che l’esigenza di un’indagine volta a determinare l’autonomia o l’accessorietà delle addizionali rispetto alle accise, se siano cioè “stessa” o “altra” imposta, è avvertita già nella recente pronuncia del 4 giugno 2019 (v. Cass. Sent. n. 151988), in cui i Giudici di legittimità, trattando il tema delle addizionali provinciali, hanno affermato che sono «circostanze idonee a determinare la natura autonoma o accessoria del tributo» i profili di «determinazione della base imponibile (…), come anche in relazione al calcolo, all’accertamento, alla decadenza, nonché alle modalità di riscossione».

E dunque, partendo dai criteri suggeriti dalla Suprema Corte, il Tribunale prende le mosse mettendo a confronto l’imposta addizionale e le accise, per verificare autonomia ovvero accessorietà.

All’esito di detta verifica, il Tribunale giunge a tale conclusione: “i) relativamente alle modalità di calcolo delle addizionali, l’art. 2, D.L. n. 511 del 1988 ha previsto che esso sia determinato «per ogni chilowattora di consumo di energia elettrica», rifacendosi al criterio già adottato per la determinazione delle accise, di cui all’allegato 1 del D. Lgs. n. 504 del 26.10.1995 (TUA); ii) per quanto riguarda l’ambito soggettivo, sono tenuti a corrispondere l’addizionale gli stessi soggetti tenuti a corrispondere l’imposta erariale, e ciò in virtù di uno specifico riferimento all’art. 53 e ss., TUA; iii) quanto alle modalità di liquidazione e riscossione delle addizionali, all’art. 5 D.L. n. 511/1988, è previsto testualmente che: «le addizionali di cui al comma 2 sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’imposta erariale di consumo sull’energia elettrica e sono versate direttamente ai comuni e alle province». Dunque, seguendo i criteri suggeriti dalla Suprema Corte, emerge come l’addizionale prevista dal D.L. n. 511/1988 sia perfettamente aderente rispetto al tributo di riferimento (le accise), sia in virtù dei richiami normativi, sia per espressa previsione legislativa (v. modalità di riscossione e liquidazione)”.

In altre parole, secondo il Tribunale di Forlì, l’imposta addizionale sulle accise non gode di una propria autonomia, poiché risulta in tutto e per tutto dipendente dal tributo madre, le accise, di cui non costituisce che “una mera quota”, che il legislatore, con il D.L. 511/1988, aveva legittimamente deciso di devolvere alle casse degli Enti territoriali.

In questa prospettiva, dunque, non si potrebbe parlare di contrasto ordinamentale tra il diritto interno e quello derivato. Ed infatti, sebbene le addizionali provinciali siano certamente prive di una
“finalità specifica” (per come interpretata dalla CGUE e successivamente dalla Corte di Cassazione), esse non sarebbero però qualificabili come “altra imposta” rispetto alle accise, e quindi non verrebbe intaccato il principio espresso dalla direttiva 2008/118/CE, secondo la quale gli stati dovrebbero astenersi dall’istituire “altre imposte” sulle accise.

In base a tale impostazione, quindi, il fornitore di energia elettrica avrebbe esercitato la rivalsa in maniera del tutto legittima poiché in ossequio ad una legge nazionale in linea con il diritto europeo.

5. Le ulteriori ragioni a conforto della tesi

A dire del Tribunale, deporrebbero anche altre ragioni a sostegno della tesi, ed in particolare: 1) l’interpretazione logico-sistematica; 2) l’applicazione del principio di ragionevolezza; 3) l’interpretazione teleologica;
i) quanto al primo punto viene fatto notare che la direttiva CE era stata pensata dal legislatore europeo al fine di garantire che: “le condizioni di esigibilità dell’accisa [fossero] uguali in tutti gli Stati membri” (v. punto 8 delle disposizioni preliminari alla direttiva). Tale fine sarebbe perciò garantito dalla presenza di un’addizionale, dal momento che l’unico effetto dato dall’imposta addizionale sarebbe quello di una maggiorazione delle aliquote dovute, e non intaccherebbe le condizioni di esigibilità. Inoltre, viene evidenziato come, a seguito dell’abrogazione delle addizionali, il legislatore ha provveduto espressamente ad una maggiorazione degli importi richiesti ai fornitori a titolo di accisa, secondo il criterio per cui le “accise maggiorate” dovevano garantire l’equivalenza del gettito data dalla somma dell’imposta cumulativa “accisa + addizionale”.

Ciò si evince dallo stesso tenore dall’art. 18, comma 5, del D. Lgs. n. 68 del 2011: «a decorrere dall’anno 2012 l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica di cui all’articolo 52 del
decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 è soppressa e il relativo gettito spetta allo Stato. A tal fine, con decreto del Ministro dell’economia delle finanze è rideterminato l’importo dell’accisa sull’energia elettrica in modo da assicurare l’equivalenza del gettito». In altre parole, secondo il Tribunale di Forlì, il legislatore avrebbe solo formalmente abrogato le addizionali, le quali avrebbero continuato ad essere riscosse per mezzo della maggiorazione degli importi richiesto dall’Erario a titolo di accisa. Vi sarebbe, quindi, un’irragionevolezza di fondo nel ritenere illegittima la mera addizionale alle accise, e ritenere invece legittima la maggiorazione delle aliquote volta ad assicurare l’equivalenza del gettito, dal momento che, in entrambi i casi, si sarebbe di fronte ad una semplice maggiorazione degli importi.

ii) quanto alla ragionevolezza, il Tribunale prosegue facendo notare che, riconoscendo al consumatore finale il diritto alla restituzione delle somme versate a titolo di rivalsa per il solo biennio 2010-2011 deriverebbe una disparità di trattamento tra i fornitori: in particolare, così facendo, solo alcuni dei fornitori sarebbero colpiti dall’obbligo di restituire le somme ottenute a titolo ii rivalsa sulle addizionali, mentre altri, quelli operanti dopo l’abrogazione delle addizionali, ne sarebbero immuni, continuando ad esercitare il diritto di rivalsa per le accise “maggiorate”;

iii) all’esito di tali ragionamenti, il Tribunale procede interrogandosi su quali sia stato effettivamente lo scopo perseguito del legislatore europeo con la direttiva 2008/118/CE, giungendo a tale conclusione: “In verità, il legislatore europeo ha inteso vietare il fenomeno della c.d. “sovrimposizione”. La differenza tra sovrimposte e addizionali va colta nel fatto che l’addizionale, al contrario della sovrimposta, è legata da un vincolo di accessorietà-dipendenza rispetto al tributo c.d. «madre»”. In altre parole, secondo l’assunto del Tribunale, solo le imposte dotate di carattere prettamente autonomo sarebbero quelle colpite dal divieto unionale in commento, mentre quelle legate dal vincolo di accessorietà (come l’addizionale alle accise) non ne sarebbero interessate, in quanto tributi risolventisi in mere maggiorazioni dell’imposta principale, e non inquadrabili come “altra imposta” rispetto a quella “madre”.

6. Le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13 (Statoil), e 25 luglio 2018, in causa C-103/17 (Messer)

Infine, il Tribunale affronta il tema delle sentenze CGUE che, come già accennato, hanno chiarito il concetto di finalità specifica. Secondo una parte della giurisprudenza (a cui il consumatore finale faceva riferimento nel caso in commento), tali sentenze avrebbero sancito la contrarietà delle addizionali italiane rispetto al diritto euro-unitario. Tuttavia, una tale affermazione non convince il Tribunale di Forlì.

Quanto alla decisione Statoil, il Giudice fa notare la differenza corrente tra l’addizionale italiana ed il tributo che in quella sede era al vaglio della Corte Europa, per contrasto con la direttiva
2008/118/CE. Si trattava, in quel caso, di un tributo denominato “imposta sulle vendite” istituito dallo stato estone, e connotato da un evidente grado di autonomia, e ciò sia in base “alle modalità di determinazione, riscossione e applicazione, nonché rispetto al presupposto e all’ambito soggettivo, al contrario dell’addizionale italiana che ha carattere accessorio e condivide l’integralità di tali profili con il tributo c.d. «madre»”.

Quanto alla decisione Messer, si fa notare che ad essere in discussione non è la finalità dell’imposta, quanto il presupposto logico dell’accessorietà, sicché è possibile prescindere dal criterio di diritto espresso in quella sede.

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Alessandro Ferrara

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