Il nuovo processo davanti al giudice di pace: criticità e opportunità

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A partire dal 28 febbraio prossimo anche il processo davanti al giudice di pace subirà una radicale e profonda trasformazione.
Il processo davanti al giudice di pace conoscerà due tipologie di novità. La prima riguarda la competenza per valore, che passerà da euro 5.000 ad euro 10.000 per quanto concerne le cause relative a beni mobili, e da venti mila a venticinque mila euro per le cause relative a danni da circolazione stradale.
La seconda novità riguarda il rito.
Fino ad oggi il rito davanti al giudice di pace era disciplinato negli articoli dal 311 al 322 del codice di procedura civile; siamo nel titolo II (rubricato “del procedimento davanti al Giudice di pace”) del libro II (rubricato “procedimento di cognizione”) del codice di rito.
I capi di cui è composto il titolo sono tre. Il I riguarda le disposizioni comuni, il II, da tempo abrogato, si riferisce al processo davanti al pretore e il terzo si occupa delle disposizioni relative al processo davanti al giudice di pace.
Vediamo quali sono le novità.
Per quanto concerne il primo capo, articoli da 311 a 313, non ci sono novità.
L’art. 311 si occupa del rinvio alle norme afferenti il giudizio davanti al Tribunale in composizione monocratica per quanto non espressamente disciplinato nel capo; l’art. 312 è abrogato da tempo e riguardava i poteri officiosi del Giudice di pace e l’art. 313 si riferisce all’eventualità della proposizione della querela di falso e contiene la disposizione del rinvio al Tribunale con sospensione del giudizio fino alla definizione della questione, salvo proseguire con le domande non interessate dalla vicenda dell’atto pubblico impugnato.
Il capo II, articoli 314 e 315, come detto, è stato abrogato da tempo.
Il III capo, invece, è stato quasi integralmente riformato.
Gli articoli vanno dal 316 al 322.
Come noto il rito davanti al Giudice di pace sarà governato dal nuovo rito semplificato di cognizione, e all’interprete il compito di coordinare le norme specifiche contenute nel III capo con quelle del rito semplificato (articoli da 281 decies a 281 terdecies).
Il presente lavoro è diviso per fasi, partendo da quella introduttiva, passando per quella di trattazione e concludendo con quella decisionale.
All’interno dell’opera si metteranno in risalto, in modo particolare, i nodi interpretativi e di coordinamento che il testo legislativo non riesce a chiarire.
Per approfondimenti consigliamo il volume: Formulario commentato del processo civile innanzi al Giudice di pace

Indice

1. Fase introduttiva

L’art. 316 cpc è stato interessato dalla riforma e, sostanzialmente dispone che il processo davanti al Giudice di pace si svolga nelle forme del processo semplificato di cognizione, ma in quanto compatibili e non derogate dalle norme specificamente riferibili al Giudice di pace.
Dunque non più atto di citazione ad udienza fissa, ma procedimento semplificato di cognizione.
Il primo nodo da chiarire riguarda l’interpretazione da dare alla formulazione “in quanto compatibili e non derogate dalle disposizioni del presente titolo” in ordine alla proposizione della domanda davanti al giudice di pace secondo il rito semplificato.
Quali sono le ipotesi di incompatibilità e quali le deroghe e, soprattutto, cosa accade se ci si imbatte in queste?
Sopravvive il vecchio rito?
Si applica il giudizio ordinario davanti al Tribunale?
Escludendo l’ipotesi della sopravvivenza del vecchio rito, atteso che non vi sarebbero norme che lo disciplinano, a mio avviso la norma intende affermare che la non applicabilità, in caso di incompatibilità o deroghe, non riguarda il rito ma le singole norme dello stesso.
In altre parole il legislatore voleva dire che le singole disposizioni del rito semplificato si applicano al giudizio dinanzi al Giudice di pace solo se compatibili con il suo rito e non derogate dal capo.
A sostegno di questa tesi molteplici ragioni.
Innanzitutto, e come tra poco vedremo, il fatto che il secondo comma dell’art. 281 decies cpc dispone che nelle cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica è sempre proponibile la domanda nelle forme del procedimento semplificato; dunque, se il rito semplificato è sempre applicabile dinanzi al Tribunale monocratico, perché non lo dovrebbe essere altrettanto dinanzi al Giudice di pace.
Aggiungo che ci sono molteplici ipotesi di deroghe alle norme del rito semplificato, il che fa propendere per l’interpretazione del I comma dell’art. 316 nei termini sopra indicati.
Il secondo comma dell’art. 319 cpc è rimasto sostanzialmente inalterato, e dispone la facoltà per la parte di proporre la domanda verbalmente dinanzi al Giudice di pace, prevedendo che, a differenza del passato, la citazione al convenuto avvenga mediante notifica del verbale e del decreto di comparizione appositamente redatto dal giudice.
A questo punto è necessario imbatterci nel capo III quater del titolo I del II libro del codice di rito che disciplina, appunto, il rito semplificato di cognizione. Ù
Alla fase introduttiva è dedicato l’art. 281 undecies che andrà letto in combinato disposto con gli artt. 317, 318 e 319 cpc.
L’art. 317, che dispone della rappresentanza davanti al Giudice di pace, è rimasto inalterato se non nell’abrogazione della necessità del mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato.
Cosa vorrà dire?
Ecco il secondo nodo.
Basta il mandato orale? E come viene dimostrato in caso di eccezione della controparte?
Vuol dire che il mandato deve comunque essere scritto ma che non è più necessario sia posto in calce all’atto di citazione (oggi del ricorso) o in atto separato?
Propenderei per la seconda ipotesi, atteso che la contestazione, che la parte dovrebbe sollevare nella prima difesa, potrà essere risolta alla prima udienza ove continua ad essere previsto il libero interrogatorio delle parti.
L’art. 281 decies non interessa il Giudice di pace atteso che dispone dell’ambito di applicazione del rito dinanzi al Tribunale.
Veniamo quindi alla fase introduttiva della domanda.
L’art. 318 I comma dispone che la domanda si propone con ricorso, che andrà sottoscritto a norma dell’art. 125 cpc (e quindi dalla parte se sta in giudizio personalmente o dal difensore) e contenere oltre l’indicazione del giudice e delle parti, l’esposizione dei fatti e l’indicazione del suo oggetto.
L’art. 281 undecies, al primo comma, contiene lo stesso incipit dell’art. 318, e quindi prevede che il ricorso sia sottoscritto a norma dell’art. 128 cpc, ma poi dispone che debba contenere le indicazioni di cui ai numeri 1, 2, 3, 3bis, 4, 5, 6 e l’avvertimento del numero 7 dell’art. 163.
Quindi, il ricorso nel rito semplificato deve contenere:
-l’indicazione dell’ufficio giudiziario, delle parti e la determinazione della cosa oggetto della domanda (numeri 1, 2, e 3 dell’art. 163);
– la novità rappresentata dall’indicazione dell’assolvimento della condizione di procedibilità nelle ipotesi in cui la domanda sia ne soggetta (numero 3 bis);
– l’esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda e le relative conclusioni (numero 4);
– l’indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti (numero 5);
– nome, cognome del procuratore e indicazione della procura (numero 6).
L’avvertimento del numero 7 riguarda, invece, oltre al già noto termine di decadenza in caso di costituzione oltre i termini, l’obbligo della difesa tecnica ove prevista e la facoltà di ricorrere al gratuito patrocinio.
Vale anche per il Giudice di pace?
Ecco il terzo nodo.
A mio parere ni. L’art. 318 cpc, infatti, nella sua parte finale prevede espressamente il contenuto del ricorso limitandolo a indicazione del giudice, esposizione dei fatti e indicazione del suo oggetto.
Tuttavia, il richiamo al rito semplificato di cui al primo comma dell’art. 316 impone di non correre rischi e redigere un ricorso conforme all’art. 281 undecies I comma; tanto anche in ragione della espressa volontà del legislatore di equiparare il rito davanti al Giudice di pace con quello dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.
Il secondo comma dell’art. 281 undecies prevede che entro cinque giorni dalla designazione del Giudice (e quindi non dal deposito del ricorso) questi emetta un decreto ove è indicata la data di prima comparizione e il termine per la costituzione del convenuto, già disposto in non oltre dieci giorni prima dell’udienza.
Cosa vuol dire la norma? Che il giudice può disporre un termine maggiore e quindi nove o otto giorni dall’udienza?
Siamo, così, al quarto nodo.
Parrebbe di si.
Il secondo comma dell’art. 318 dispone in modo del tutto speculare sulla emissione del decreto, provvedimento che il giudice dovrà svolgere entro cinque giorni dalla designazione, facendo poi integrale richiamo al II comma dell’art. 281 undecies.
Il II comma dell’art. 281 undecies, poi, procede prevedendo che l’attore notifichi ricorso e decreto al convenuto, con termine a comparire libero non minore di quaranta giorni se la residenza o il domicilio di questi è in Italia e sessanta se estera.
La costituzione del convenuto deve avvenire secondo quanto disposto dal III e IV comma dell’art. 281 undecies, espressamente richiamati dal III comma dell’art. 318.
Dunque il convenuto deve costituirsi con comparsa contenente le difese, la presa di posizione chiara e specifica sui fatti allegati dall’attore, indicazione dei mezzi di prova e documenti, nonché le conclusioni. Il tutto entro dieci giorni dall’udienza, pena decadenza, ma limitatamente a domande riconvenzionali, chiamate di terzo ed eccezioni non rilevabili d’ufficio.
Dunque le posizioni delle parti si cristallizzano nel primo atto difensivo, mentre le istanze istruttorie possono essere proposte anche in seguito.
In sostanza, il convenuto, se non intende proporre domande riconvenzionali, chiamare terzi in causa e sollevare eccezioni non rilevabili d’ufficio, ben potrà costituirsi il giorno dell’udienza, senza incorrere in decadenze istruttorie.
Il che, come è ovvio, rende la prima udienza un’incognita per l’attore, il quale dovrà prendere posizione sulle difese dell’attore, formulare le proprie richieste istruttorie a prova diretta e quelle a prova contraria sulla scorta delle istanze del convenuto nella medesima udienza.
Immaginiamo cosa potrà accadere se l’udienza è cartolare (l’art. 127 ter si applica anche al Giudice di pace) e le parti non potranno leggere le difese avverse prima di formulare le proprie.
In realtà la questione trova soluzione nel nuovo articolo II comma dell’art. 101 cpc e nel dovere del Giudice di adottare provvedimenti idonei quando ravvisa una violazione del diritto al contraddittorio.
Altresì, il problema, come vedremo tra poco, potrà trovare soluzione anche nel IV comma dell’art 281 duodecies.
L’art. 319 è stato novellato ed è dedicato, appunto, alla costituzione delle parti.
Il primo comma, però, è fonte di evidenti problemi interpretativi laddove afferma che l’attore si costituisce depositando il ricorso notificato unitamente al decreto con la relazione di notificazione e la procura.
Ma come fa ad ottenere il decreto se prima non deposita il ricorso?
Cosa intende dire il legislatore? Che l’attore inizialmente deposita solo il ricorso e il fascicolo, senza iscrivere a ruolo? E’ immaginabile un decreto di comparizione privo di numero di ruolo?
Ecco il quinto nodo, ma non c’è uscita.
O il legislatore ha fatto confusione, e forse intendeva dire che l’attore deve entro la prima udienza depositare la prova della notifica, oppure sarà consentito procedere nei termini suddetti.
Però, c’è da chiedersi, se non c’è un termine per la costituzione dell’attore, come potrà il convenuto costituirsi entro dieci giorni dall’udienza, visto che non ci sarà un fascicolo d’ufficio formato?
La tesi della confusione del legislatore pare nettamente la più rassicurante.
L’art. 281 undieces, poi, e per chiudere la fase introduttiva, dispone che in caso di chiamata in causa del terzo la prima udienza sia differita con decreto del Giudice, che conterrà la data della comparizione differita e il termine per la costituzione del terzo. Il decreto, a cura della cancelleria, sarà comunicato alle parti e il terzo dovrà costituirsi nei termini e modi previsti per il convenuto.


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2. Fase di trattazione davanti al Giudice di pace

La fase di trattazione è disciplinata nell’art. 281 duodecies e nell’art. 320 cpc.
Il I comma dell’art. 320 continua a prevede il libero interrogatorio delle parti alla prima udienza, e questa potrebbe essere la sede ove chiarire la questione mandato.
Il II comma, anch’esso inalterato, prevede la verbalizzazione del processo verbale di conciliazione.
Il III comma dispone che, in difetto di conciliazione, si proceda ai sensi dell’art. 281 duodecies, commi II, III e IV. La norma dispone poi che, se il giudice non ritiene la causa matura per la decisione procede agli atti di istruzione rilevanti per la decisione.
Altro nodo, il sesto.
La norma parrebbe consentire l’assunzione dei mezzi istruttori, e quindi anche della testimonianza, alla prima udienza.
La questione trova conforto, come vedremo a breve, anche nelle norme richiamate dall’art. 320 III comma e riferibili al rito semplificato.
Il III comma continua a disporre che i documenti prodotti dalle parti devono essere inseriti nel fascicolo d’ufficio e ivi conservati fino alla decisione.
Il 281 duodecies, dopo il primo comma che dispone la conversione del rito in ordinario e, quindi, non interessa questa sede (e non a caso non è richiamato dall’art. 320 III comma).
Il II comma prevede la facoltà per l’attore di chiedere la chiamata in causa del terzo se l’esigenza è sorta in seguito alle difese del convenuto.
Qui però si palesa un vulnus nel diritto di difesa dell’attore. L’esigenza di chiamare un terzo in causa non è necessariamente collegata ad una domanda riconvenzionale o a una eccezione non rilevabile d’ufficio, e quindi ad una attività che questi potrà conoscere con la costituzione tempestiva. L’esigenza potrebbe sorgere con la costituzione tardiva del convenuto. L’attore, quindi, dovrà determinarsi sulla necessità di chiamare un terzo in causa alla stessa udienza.
Invero, e anche in questo caso, ci viene in soccorso il II comma dell’art. 111 e la possibilità di prevedere un rinvio, salvi ed impregiudicati i diritti, per garantire il rispetto del contraddittorio.
Il III comma, invece, consente alla prima udienza alle parti di proporre eccezioni conseguenza della domanda riconvenzionale o dalle eccezioni formulata da controparte. Quindi l’attore, che potrà conoscere l’eccezione, perlomeno quelle non rilevabili d’ufficio, e la domanda riconvenzionale da dieci giorni, e il convenuto, in caso di riconvenzionale o eccezioni dell’attore, dovranno prendere posizione sulle stesse necessariamente alla prima udienza.
Il IV e il V comma ci fanno entrare nel vivo della prima udienza. 
Superate le domande e allegazioni, ivi comprese le eccezioni e quindi fissato definitivamente l’oggetto della causa, possono accadere due cose.
Le parti possono chiedere, e il Giudice concedere, il doppio termine di venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre i documenti e un ulteriore termine di dieci giorni per le repliche e le richieste di prova contraria. Il tutto, però, solo in presenza di giustificati motivi.
Ma cosa vuol dire giustificato motivo?
Siamo al settimo nodo.
Lo scopriremo solo vivendo, o se volete quando ce lo dirà la Corte di Cassazione, magari con istanza ex. art. 363 bis cpc. La norma pare calibrata per il giudizio cartolare, ove l’attore e il convenuto non riescono a svolgere un reale contraddittorio in udienza. L’impressione è che questi termini verranno concessi sempre e che, di fatto, rivivrà il IV comma dell’art. 320 cpc.
Il V comma, infine, dispone in modo speculare alla parte finale del III comma dell’art. 320, prevedendo che esaurite le eventuali attività di cui ai commi II, III e IV e salvo che la causa non sia matura per la decisione, il Giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisone e procede alla loro assunzione.
Anche qui parrebbe lecita l’assunzione delle prove orali già alla prima udienza, previo provvedimento di ammissione.

3. Fase decisionale

La fase decisionale è regolata dall’art. 321 cpc, che dispone la decisione ai sensi dell’art. 281 sexies.
Anche qui, tuttavia, sussistono delle questioni da chiarire, e siamo all’ottavo nodo.
Il nuovo 281 sexies prevede quattro possibili modalità di decisione. Sono tutte applicabili al Giudice di pace?
Non ci sono precisazioni e limiti nella norma, quindi la risposta dovrebbe essere affermativa.
La prima e seconda modalità sono previste ai sensi dell’art. 281 quinques (possibilità prevista dall’incipit della norma) la terza è quella prevista dal I comma e l’ultima quella stabilita dal III comma dell’art. 281 sexies.
Il 281 quinques I comma prevede l’udienza di rimessione della causa preceduta dai termini ex. art. 189 cpc (sessanta giorni per precisazione conclusioni, trenta giorni per comparsa conclusionale e quindici per repliche) e sentenza entro trenta giorni.
Il secondo comma dell’art. 281 quinques prevede la discussione orale preceduta dai soli primi due termini del I comma, e sentenza depositata entro trenta giorni.
Il 281 sexies primo comma continua a disporre la precisazione delle conclusione e l’invito alla discussione orale, eventualmente ad una successiva udienza ma solo su istanza di parte e sentenza pronunciata in udienza con lettura del dispositivo.
Il III comma dell’art. 281 sexeies, invece, prevede discussione orale e sentenza depositata entro i successivi trenta giorni.
Quest’ultima ipotesi sembrerebbe la più logica per le cause dinanzi al Giudice di pace, con la precisazione che sopravvive il II comma dell’art. 321 cpc che dispone il deposito della sentenza del GDP entro quindici giorni dalla discussione.
Rimane intatto, infine, l’art. 322 che stabilisce la conciliazione non contenziosa dianzi al giudice di pace.

4. Considerazioni finali

Spesso la vis riformatrice del legislatore colpisce anche ciò che funziona. Il processo dinanzi al Giudice di pace, per come concepito e attuato fino ad oggi, tutto sommato aveva dato buoni frutti.
Rare sono le ipotesi di durata dei processi in primo grado oltre i fatidici tre anni, mentre le udienze si caratterizzavano solitamente per la concentrazione di attività, con conseguente numero esiguo di udienze celebrate per definire la causa.
Forse sarebbe stato meglio prevedere piccoli interventi sull’esistente, per esempio stabilendo un termine per la costituzione dell’attore e del convenuto, con le decadenze anche istruttorie, per consentire lo svolgimento della prima udienza con il thema decidendum e probandum già cristallizzati e la definizione della causa ai sensi dell’art. 281 sexies I comma.
In attesa della digitalizzazione dei Giudici di pace, possibilità ancora chimerica allo stato, vi è il rischio di ingolfare gli uffici e gli avvocati di attività, prima non necessarie.
Il sistema della citazione con iscrizione differita, infatti, concedeva alle parti quel termine, almeno di quaranta cinque giorni, per trovare un componimento della lite. La lite, una volta composta non transitava negli uffici, a causa della mancata iscrizione, e quindi non vi era alcuna attività da svolgere.
In questo modo, tuttavia, non si pagava i contributo unificato, e forse era questo che interessava di più il legislatore.
Aggiungiamo, infine, che in assenza del pct, l’attore, in astratto, si potrebbe trovare costretto ad accedere in cancelleria per:
–   Depositare il ricorso;
–   Chiedere la copia conforme di ricorso e decreto;
–   Ritirare la copia conforme;
–   Depositare il ricorso notificato;
–   Depositare le prime memorie ex. IV comma 281 undecies;
–   Depositare le seconde memorie ex. IV comma 281 undecies;
–   Depositare le conclusioni ex. art. 281 quinques;
–   Depositare la comparsa conclusionale;
–   Depositare la memoria di replica.
Forse si stava meglio quando si stava peggio e rimpiangeremo il vecchio e caro rito davanti al Giudice di pace.

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  1. [1]

    (relazione svolta durante il convegno “il processo civile davanti al giudice di pace alla luce delle ultime riforme normative” tenuto in Cerignola il 14/02/2023 e organizzato da ANF Foggia)

Michele Allamprese

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