Come deve essere inteso il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.
[Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 630, co. 1, lett. a)]
1. La questione
Il Tribunale di Brescia applicava all’imputato la pena concordata con il Pubblico ministero in relazione a quattro imputazioni di intestazione fittizia di quote di società, a un’imputazione di turbata gara d’appalto e a tre imputazioni di reati fallimentari relativi a tre diverse società.
Ciò posto, a sua volta la Corte di Appello di Venezia dichiarava inammissibile la richiesta di revisione della sentenza sopra citata proposta a norma dell’art. 630, comma 1, lettere a) e c),cod. proc. pen..
Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione la difesa del condannato che, tra i motivi addotti, per quello che rileva in questa sede, deduceva vizi di motivazione in ordine ai presupposti della revisione e violazione di legge posto che la richiesta di revisione deduceva che i fatti posti fondamento della sentenza di assoluzione nei confronti del coimputato non potevano conciliarsi con quelli a fondamento della sentenza di patteggiamento nei confronti del ricorrente, adottata sulla base di un materiale probatorio incompleto, laddove la sentenza di assoluzione aveva escluso il rapporto di bancarotta sotto il profilo soggettivo, stante l’impossibilità di ritenere accertata la prevedibilità in concreto del dissesto della società quale conseguenza delle omissioni tributarie e contabili, mancando un accertamento dei rapporti tra il coimputato, quale rappresentante di una società a responsabilità limitata, e l’impugnante, quale amministratore di fatto, e l’impossibilità di ricostruire l’incidenza dei mancati versamenti fiscali e previdenziali sul dissesto della società.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato da doversi rigettare.
In particolare, gli Ermellini, tra le argomentazioni poste a sostegno della sua reiezione, richiamavano prima di tutto quell’orientamento nomofilattico secondo cui il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze, bensì con riferimento a una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui queste ultime si fondano (Sez. 6, n. 20029 del 27/02/2014), dovendo dunque venire in rilievo un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze e non una contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni, sicché gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto (Sez. 1, n. 8419 del 14/10/2016).
Orbene, a fronte di tale approdo ermeneutico, il Supremo Consesso considerava come il giudice di merito avesse fatto una corretta applicazione di siffatto principio di diritto.
Oltre a ciò, sempre per giustificare il rigetto di codesto motivo, si richiamava altresì quell’indirizzo interpretativo secondo il quale non può dar luogo alla contraddittorietà di giudicati, prevista come causa di revisione dall’art. 630, comma 1, lett. a),cod. proc. pen., l’affermazione di responsabilità di taluno quale concorrente nel medesimo reato dal quale altro concorrente sia stato, in altro procedimento, assolto a seguito di un’indagine sul dolo (Sez. 1, n. 12595 del 16/11/1998).
Del resto, ad ulteriore conferma di quanto appena sostenuto, i giudici di piazza Cavour richiamavano un ulteriore filone interpretativo, ribadendosi l’indirizzo già affermato dalle Sez. U, nella sentenza n. 6 del 25/03/1998, che ritiene inammissibile la revisione ex art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, in quanto pronunciata all’esito di una procedura priva della ricostruzione probatoria del fatto e dell’accertamento della responsabilità penale dell’autore (Sez. 6, n. 29682 del 29/09/2020; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 26388 del 03/04/2003; Sez. 3, n. 3099 del 23/11/1998), rilevandosi al contempo come non possa in senso contrario argomentarsi sulla base dell’«inclusione, a seguito della legge n. 134 del 2003, della sentenza di patteggiamento emessa ai sensi dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. nel novero delle pronunce soggette a revisione secondo l’elencazione così integrata e contenuta nell’art. 629 cod. proc. pen., riferibile piuttosto agli altri casi di revisione, soprattutto a quelli contemplati alla lettera b)del successivo art. 630» (Sez. 1, n. 4417 del 17/10/2017).
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse nella parte in cui è ivi chiarito come deve essere inteso il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen..
Difatti, fermo restando che, come è noto, l’art. 630, co. 1, lett. a), cod. proc. pen. stabilisce che la “revisione può essere richiesta: a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale”, si chiarisce in questa pronuncia la portata applicativa di questo precetto normativo affermandosi, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che siffatto concetto di inconciliabilità non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze, bensì con riferimento a una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui queste ultime si fondano, dovendo dunque venire in rilievo un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze e non una contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni, sicché gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto, precisandosi al contempo, sempre sulla base di quanto già affermato in precedenza dalla stessa Cassazione, che non si può chiedere la revisione ai sensi di questa norma procedurale l’affermazione di responsabilità di taluno quale concorrente nel medesimo reato dal quale altro concorrente sia stato, in altro procedimento, assolto a seguito di un’indagine sul dolo.
Tale provvedimento, quindi, ben può essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la possibilità di chiedere, o meno, la revisione a norma dell’art. 630, co. 1, lett. a), cod. proc. pen..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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