La dichiarazione resa dal coniuge acquirente in sede d’acquisto dell’immobile ex art. 179 C.c. co. 2

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Con la riforma del diritto di famiglia, avvenuta per opera della L.n.151/1975, si è introdotto, come regola prioritaria, il regime della comunione legale dei coniugi, disciplinato dall’art. 177, C.c., salvo che essi scelgano, all’atto di contrarre il rapporto di coniugo, la separazione dei beni.
È ben possibile, quindi, che i beni che vengano acquistati, durante il matrimonio, da uno od entrambi i coniugi, cadano, per effetto di quanto sancito dall’art. 177, C.c., nel regime della comunione legale.
Ora, il legislatore, se, da un lato, ha disciplinato il regime dei beni che si considerano acquisiti alla comunione legale, dall’altro, nondimeno, ha previsto la possibilità che il coniuge possa acquistare un bene di natura personale, come tale non ricadente nella comunione legale.

Indice

1. L’acquisto dei beni personali ex art. 179 C.c.

In questa direzione, l’art. 179, comma primo, C.c., statuisce che non sono beni della comunione, bensì personali del coniuge quelli che a questi appartenevano prima del matrimonio ovvero sui quali il medesimo vantava diritti personali di godimento. I beni che sono pervenuti al coniuge per effetto d’una donazione o d’uno testamento, allorché nell’atto di liberalità o di disposizione delle ultime volontà, non v’era precisato che essi siano destinati alla comunione.
Ed, ancora, i beni d’uso strettamente personale d’uno dei coniugi ed i loro accessori, i beni destinati all’esercizio della professione di uno dei coniugi, ed, oltre, le somme ottenute a titolo di risarcimento del danno ed i redditi percepiti a titolo di pensione per la perdita, totale o parziale, della capacità lavorativa. Infine, i beni acquistati con il prezzo di trasferimento dei predetti beni ovvero con il loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato al momento dell’acquisto.
Il secondo comma dell’art. 179, C.c., stabilisce che l’acquisto di beni immobili e di mobili, ove questi ultimi soggetti a trascrizione ex art. 2683, C.c., effettuato dopo il matrimonio, non sono oggetto di comunione, ove si tratti di beni strettamente personali del coniuge, di quelli destinati all’esercizio della sua professione, nonché di quelli acquistati con il ricavato dalla loro vendita ovvero scambiati, purché tal esclusione risulti dall’atto d’acquisto, sempreché di tal atto ne sia stato parte anche l’altro coniuge non acquirente.
Evocata la cornice normativa della norma in scrutinio, è d’uopo indagare quali siano i requisiti richiesti dalla legge affinché il bene immobile acquistato dal coniuge possa considerarsi di natura personale e, pertanto, non cadere nella comunione.
In particolare, è lecito soffermarci sulla natura dei requisiti richiesti dalla legge ove il coniuge acquirente dichiari d’aver acquistato l’immobile col prezzo di trasferimento di beni di sua proprietà.
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2. La dichiarazione del coniuge acquirente circa la natura personale del bene acquistato e l’intervento adesivo del coniuge non acquirente.

In quest’ottica, ai fini dell’esclusione del bene immobile dal regime della comunione legale, facendo leva sulla lettura della norma in commento, si potrebbe dire che sarebbe sufficiente che il coniuge acquirente dichiari nell’atto d’acquisto che tal bene sia di natura personale, oltre all’intervento della dichiarazione adesiva in tal senso dell’altro coniuge.
Tuttavia, secondo l’orientamento giurisprudenziale, la semplice dichiarazione del coniuge acquirente circa la destinazione personale del bene immobile non sarebbe sufficiente ad escludere l’appartenenza del cespite dalla comunione.
Qualora nell’atto d’acquisto il coniuge acquirente dichiari che l’immobile è stato acquistato con il prezzo ricavato dalla vendita di beni personali, questi dovrà finanche indicare, in modo specifico, nell’atto d’acquisto, che la provenienza della somma impiegata per l’acquisto del cespite in parola sia imputabile all’alienazione d’altri beni di sua proprietà.
In assenza di tal specifica dichiarazione, onde poter considerare escluso l’immobile dalla comunione legale, non potrebbe venir in soccorso neanche la dichiarazione adesiva dell’altro coniuge non acquirente, laddove essa si presti ad esser valutata di natura confessoria, e cioè confermativa del pagamento del prezzo con il ricavato della vendita di beni personali.
La partecipazione del coniuge non acquirente all’atto d’acquisto, tramite la sua dichiarazione adesiva ai sensi dell’art. 179, comma due, C.c., è una condizione necessaria, ma non sufficiente ai fini dell’accertamento della natura personale del bene acquistato dall’altro coniuge.
In altri termini, occorre che il coniuge acquirente del bene immobile indichi, nell’atto pubblico a rogito del pubblico ufficiale, quale sia la natura personale del bene dalla cui vendita è stata tratta, poi, la provvista impiegata per l’acquisto del nuovo bene personale.
Il semplice richiamo, nella dichiarazione resa dal coniuge acquirente nell’atto di compra vendita, che la provvista impiegata è il ricavato della vendita d’uno dei beni personali elencati nelle diverse tipologie descritte, come tali richiamati dalla lettera f) della norma de qua, non vale ad escludere il bene immobile dalla comunione legale.
Si palesa la necessità che il coniuge acquirente indichi, espressamente, nell’atto d’acquisto, quale sia, ai sensi della lettera f), dell’art. 179, C.c., la natura del bene personale che avrebbe alienato ed il cui ricavato della vendita avrebbe impiegato per l’acquisto dell’immobile, non essendo sufficiente in tal senso una semplice dichiarazione generica.
Sulla stessa linea di ragionamento, ai fini dell’esclusione dell’immobile dal regime della comunione legale dei beni, la dichiarazione adesiva dell’altro coniuge, resa ai sensi del secondo comma dell’art. 179, C.c., affinché sia di natura confessoria, e non semplicemente ricognitiva, deve indicare la provenienza dei fondi utilizzati per l’acquisto del bene de qua da parte del coniuge acquirente. Si tratterebbe, invero, d’una dichiarazione, quella del coniuge non acquirente, meramente confermativa di quanto dichiarato, nell’atto d’acquisto dell’immobile, dal coniuge acquirente circa la provenienza della provvista patrimoniale impiegata.
Quanto or ora esposto, è corroborato dall’attuale orientamento della Suprema Corte di Cassazione, la quale, con la recente pronuncia del novembre dello scorso anno, ha precisato che “…la partecipazione all’atto di acquisto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179 c.c., comma 2, non può assumere portata confessoria qualora la dichiarazione del coniuge acquirente, ai sensi dell’art. 179 c.c., comma 1, lett. f ), che i beni sono stati acquistati con il prezzo del trasferimento di beni personali non contenga l’esatta indicazione della provenienza del bene da una delle diverse fattispecie di cui alle lettere a), b),c), d, e, del medesimo art. 179 c.c.…..”. (Cass. civ., Sez. II, Ord. n. 35086 del 29 novembre 2022).
Il principio di diritto esposto si pone sul solco tracciato da altre pronunce della Suprema Corte, le quali hanno ben precisato come il semplice riferimento del coniuge acquirente alla natura personale dei beni, sia insufficiente ad escluderne la sua inclusione nel regime della comunione legale (Cass.Civ., Sez.II, Ord. n.40423 del 16 dicembre 2021; Idem, Sez. II, Ord. n. 7027 del 12 marzo 2019).
Onde escludere il bene dalla comunione legale, è ben necessario che il coniuge acquirente indichi la provenienza del denaro impiegato per il nuovo acquisto, e, cioè, che, giustappunto, la provvista patrimoniale sia il frutto della vendita d’un precedente immobile di sua proprietà. Tal dichiarazione si palesa necessaria anche laddove la provvista patrimoniale sia il frutto della vendita d’un immobile di proprietà dell’altro coniuge: “Se nell’atto di compravendita della casa coniugale compare la dichiarazione del coniuge circa la provenienza del denaro utilizzato quale, per esempio, ricavato da precedente immobile di proprietà dell’altro coniuge, la proprietà non rientra nella comunione de beni.”. (Cass.Civ., Sez. I, n. 12197 del 17 luglio 2012).
Quanto espresso dalle già menzionate pronunce scaturisce dal principio licenziato, in materia, dalle Sezioni Unite “…la natura personale del bene non è sufficiente a escludere di per sé l’esclusione dalla comunione, se non risulti concordemente riconosciuta dai coniugi. E tuttavia l’intervento adesivo del coniuge non acquirente è richiesto solo in funzione di necessaria documentazione della natura personale del bene, unico presupposto sostanziale della sua esclusione dalla comunione…”. (Cass. civ., Sez. Un., n. 22755 del 28 ottobre 2009).
Parimenti, in tal direzione, si registra l’orientamento della giurisprudenza di merito “…la dichiarazione relativa alla “personalità” del bene non è di per sé sufficiente ed idonea ad escludere il bene per cui è causa dalla comunione, né può costituire di per sé sola prova dell’esistenza di quei presupposti di fatto cui la legge collega l’esclusione della comunione …”. (Trib. Perugia, Sent. n. 15 dell’8 gennaio 2021; Nello stesso senso: Trib. Ivrea, n. 655 del 2 dicembre 2014; Trib. Roma, Sez. X, n. 20353 del 26 ottobre 2012.).
Ai fini dell’esclusione del cespite dalla comunione legale, in disparte, ora, la dichiarazione del coniuge acquirente, circa la specifica provenienza della provvista impiegata per il nuovo acquisto, quella dell’altro coniuge non acquirente si pone, secondo la giurisprudenza, come obbligatoria, e non meramente facoltativa. (Trib. Genova, Sez. IV, n. 3884 del 14 novembre 2006).
Possiamo, quindi, affermare, in virtù della superiore giurisprudenza (Trib. Bolzano, Sez. I., n. 224 dell’1 marzo 2019), che per il perfezionamento della fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 179, C.., onde escludere dalla comunione legale l’acquisto del bene personale, devono concorrere i seguenti requisiti:
a)      l’effettiva esistenza dei presupposti richiesti dall’art. 179; lett. c), d) o f), c.c.;
b)     la dichiarazione resa dal coniuge “acquirente esclusivo” circa la provenienza della provvista dalla vendita di un altro bene personale;
c)      la partecipazione all’atto d’acquisto dell’altro coniuge;
d)     l’adesione di quest’ultimo alla dichiarazione resa dal coniuge acquirente circa l’origine della provvista impiegata per il nuovo acquisto.

3. Tutela del coniuge non acquirente. L’azione d’accertamento e la revoca della dichiarazione confessoria. Limiti.

Occorre dar conto che la dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente, resa in sede d’acquisto dell’immobile, non impedisce a questi di poter esperire, successivamente, una domanda d’accertamento della comunione legale volta a far dichiarare l’inesistenza dei presupposti di legge previsti per l’esclusione del bene dalla comunione legale. (Cass. civ., Sez. Un., n. 22755, cit.; Cass. civ., Sez. II, Ord. n. 35086, cit.).
Sorge la necessità di comprendere che la dichiarazione adesiva resa, in sede d’acquisto, dal coniuge non acquirente, circa la provenienza della provvista impiegata dall’altro coniuge dalla vendita di un altro bene personale, assume valore confessorio. Trattasi, pertanto, d’una dichiarazione di natura confessoria stragiudiziale ex artt. 2730, 2735, C.c. (Cass. civ., Sez. Un., n. 22755, cit.).
Oltre ai requisiti previsti dalla norma in esame, è necessario, come abbiam già visto, che sussistano i presupposti di legge onde escludere il bene immobile dalla comunione legale.
Ne consegue che il coniuge non acquirente è abilitato, tramite un’azione d’accertamento della comunione legale, a far valere l’inesistenza dei presupposti di legge necessari per escludere il bene immobile acquistato dal coniuge acquirente, e ciò anche laddove il primo abbia aderito alla dichiarazione del secondo “…non risultando precluso tale accertamento dalla circostanza che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi…”. (Cass. civ., Sez. I, Sent. n. 18114 del 4 agosto del 2010).
Pur tuttavia, è necessario far una precisazione, nel senso, cioè, del limite che l’esperita azione d’accertamento negativo dei requisiti richiesti per l’esclusione del bene dalla comunione legale, incontra.
Difatti, il coniuge non acquirente aderendo, consapevolmente, nell’atto pubblico d’acquisto, alla dichiarazione resa dal coniuge acquirente, ex art. 179, secondo comma, C.c., circa la provenienza della provvista impiegata da quest’ultimo per l’acquisto del nuovo immobile, rende la sua dichiarazione adesiva non revocabile.
In sostanza, il terreno processuale sul quale potrebbe muoversi il coniuge non acquirente è condizionato dalla consapevolezza del contenuto della dichiarazione adesiva che egli ha reso in sede dell’atto d’acquisto.
Ora, se la dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente assume, come ci rammenta la giurisprudenza sopra richiamata, il valore d’una confessione stragiudiziale, e, cioè, della dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra, ne viene che essa potrà esser soggetta a revoca soltanto in caso di errore o violenza. (Tribunale Taranto, Sez. II, Sent. n. 1464 del 16 maggio 2015).
Da questa prospettiva, è utile ricordare che l’art. 2732, C.c., consente che la confessione possa esser revocata soltanto ove sia provato che essa sia stata determinata da errore di fatto ovvero da violenza.
Pertanto, se il coniuge non acquirente ha consapevolmente reso la sua dichiarazione adesiva, in sede di stipula dell’atto d’acquisto dell’immobile da parte dell’altro coniuge acquirente, è ben difficile che egli possa ottener che il giudicante accerti l’inesistenza dei presupposti sanciti dal secondo comma dell’art. 179, C.c., e che, di seguito, dichiari l’appartenenza dell’immobile alla comunione legale.

4. Conclusioni.

Abbiam visto che il coniuge acquirente d’un immobile deve dichiarare, all’atto d’acquisto, la natura personale del bene, e, in particolare, ove si tratti d’una dichiarazione concernente l’acquisto con il ricavato dalla vendita di altri beni personali, deve, altresì, indicare la provenienza dei fondi utilizzati.
La mera dichiarazione personale del bene acquistato non è, di per sé, sufficiente ad escludere dalla comunione il bene acquistato. Anche la dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente non è sufficiente ad escludere il bene dalla comunione ove non indichi la provenienza dei fondi utilizzati per l’acquisto, da parte dell’altro coniuge, dell’immobile.
L’insegnamento giurisprudenziale in questa direzione è nel senso che la dichiarazione del coniuge acquirente d’un immobile, affinché sia utile per l’esclusione del cespite dalla comunione, deve indicare non soltanto la natura personale del bene, ma anche la provenienza del denaro impiegato per l’acquisto, ove dichiari che i fondi provengono dal prezzo di trasferimento d’un altro bene personale del coniuge contraente.
Abbiam appreso, altresì, che la dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente, assume il valore d’una confessione stragiudiziale e che, come tale, potrebbe esser soggetta a revoca soltanto quando essa sia il frutto d’un errore di fatto ovvero di violenza. Che, diversamente, la dichiarazione predetta, ove consapevole, impedisce al coniuge non acquirente d’agire onde far accertare e dichiarare l’inesistenza dei presupposti legali imposto dal secondo comma dell’art. 179, comma due, C.c.

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