Appropriazione Indebita -(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 646)
Indice
1. La questione
La Corte di Appello di Palermo confermava una sentenza pronunciata dal Tribunale della medesima città nei confronti di una persona imputata in relazione ai reati al reato di cui all’art. 646 c.p..
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che deduceva violazione di legge in relazione all’art. 646 c.p. con riferimento all’insussistenza dell’interversione del possesso, elemento tipico e presupposto indefettibile della fattispecie di reato.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il ricorso proposto infondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere preso atto come, nella specie, il ricorrente avesse pacificamente trattenuto somme a lui pervenute senza titolo, reputava sussistente, sia l’elemento materiale del reato, che quello psicologico, evidenziando al contempo che, a fronte del tenore letterale della norma, che fa riferimento alla condotta di chi si appropria del “denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo il possesso”, diversamente da quanto indicato nel ricorso, per la sussistenza dell’elemento materiale del reato, a loro avviso, non è necessario che tra le parti esista un rapporto giuridico ma è sufficiente che il soggetto agente trattenga il bene o il denaro comunque pervenuto e dallo stesso detenuto, ribadendosi a tal proposito quel costante insegnamento nomofilattico secondo il quale, per la configurabilità del reato, è sufficiente la coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità (cfr. Sez. 2, n. 27023 del 27/03/2012).
Orbene, alla luce di tale principio di diritto, i giudici di piazza Cavour osservavano come emergesse, secondo la loro opinione, con evidenza, dalle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado, in riferimento alla comunicazione inviata dal ricorrente alla società di cui era dipendente che gli aveva richiesto la restituzione di quanto allo stesso erroneamente versato a mezzo bonifico, in modo del tutto corretto, la sussistenza del reato in contestazione.
Da ciò se ne faceva discendere l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando è configurabile il reato di appropriazione indebita.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, per potere ritenere sussistente tale illecito penale, basta la coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità.
Codesto provvedimento può essere quindi preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sussistenza (o meno) di siffatta fattispecie delittuosa.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa sentenza, pertanto, proprio contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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