La riforma Cartabia, per quanto concerne la notizia di reato, ha previsto, tramite l’art. 15, co. 1, lett. a), un ulteriore articolo, vale a dire l’art. 335-quater cod. proc. pen., con il quale è stato introdotto “l’istituto inedito dell’accertamento della tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato” (M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, in www.sistemapenale.it, p. 41).
Vediamo quindi cosa prevede questa disposizione legislativa.
Indice
- 1. u003cstrongu003eIl comma primou003c/strongu003e
- 2. u003cstrongu003eIl comma terzou003c/strongu003e
- 3. u003cstrongu003eI commi quarto e quintou003c/strongu003e
- 4. u003cstrongu003eI commi sesto (primo periodo) e settimou003c/strongu003e
- 5. u003cstrongu003eI commi secondo, sesto (restanti periodi), ottavo, nono e decimou003c/strongu003e
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1. Il comma primo
Al primo comma è disposto che la “persona sottoposta alle indagini può chiedere al giudice di accertare la tempestività dell’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 della notizia di reato che la riguarda e del suo nome, con richiesta di retrodatazione che indichi, a pena di inammissibilità, le ragioni che la sorreggono e gli atti del procedimento dai quali è desunto il ritardo”.
La persona indagata, come si evince dall’uso delle parole “a pena di inammissibilità”, è quindi tenuta a formulare la suddetta richiesta, definendo “il perimetro di accertamento rimesso al giudice” (Procura generale della Corte di Cassazione, Primi orientamenti in tema di applicazione del d.lgs. n. 150/2022: iscrizione delle notizie di reato; conclusione delle indagini preliminari; avocazione e controlli da parte del giudice, 19/01/2023, p. 23), attraverso l’individuazione delle ragioni poste a suo sostegno, nonché l’indicazione degli atti del procedimento da cui è desunto il ritardo, trattandosi, quest’ultimo, di un ulteriore onere volto “a semplificare il controllo del giudice (che troverà già segnalati gli atti da esaminare)” (così: la relazione illustrativa).
2. Il comma terzo
La richiesta in questione, inoltre, deve “essere proposta, a pena di inammissibilità, entro venti giorni da quello in cui la persona sottoposta alle indagini ha avuto facoltà di prendere conoscenza degli atti che dimostrano il ritardo nell’iscrizione” (art. 335-quater, co. 3, primo periodo, cod. proc. pen.), fermo restando che ulteriori “richieste sono ammissibili soltanto se proposte nello stesso termine e fondate su atti diversi, in precedenza non conoscibili” (art. 335-quater, co. 3, secondo periodo, cod. proc. pen.).
Pertanto, è prevista una ulteriore condizione di ammissibilità essendo richiesto, come appena visto, che siffatta richiesta sia proposta entro venti giorni da quello in cui la persona sottoposta alle indagini ha avuto facoltà di prendere conoscenza degli atti che dimostrano il ritardo nell’iscrizione.
Si tratta dunque di un termine perentorio.
La stessa condizione temporale, tra l’altro, ricorre anche per ulteriori richieste di questo genere, fermo restando che, in tali casi, però, è altresì imposto che esse siano fondate, non solo su atti diversi, ma anche atti che in precedenza non erano conoscibili, il che è stato fatto per “evitare uno stillicidio di istanze” (così: la relazione illustrativa).
Orbene, nel silenzio della norma, ad avviso di chi scrive, deve essere a cura del richiedente dimostrare siffatta inconoscibilità, essendo suo interesse farlo.
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3. I commi quarto e quinto
Di norma, “la richiesta è proposta al giudice che procede o, nel corso delle indagini preliminari, al giudice per le indagini preliminari” (art. 335-quater, co. 4, cod. proc. pen.) salvo, come previsto espressamente da questo stesso comma, quanto preveduto dal comma 5, ove è ivi disposto che, durante “le indagini preliminari, quando il giudice deve adottare una decisione con l’intervento del pubblico ministero e della persona sottoposta alle indagini e la retrodatazione è rilevante ai fini della decisione, la richiesta può anche essere presentata nell’ambito del relativo procedimento e trattata e decisa nelle forme di questo”.
La scelta, se intraprendere l’uno a l’altro percorso, “è rimessa comunque alle valutazioni della parte e non la esime dalla necessità di rispettare, qualora intenda rivolgersi al giudice delle indagini preliminari, il termine di venti giorni” (Procura generale della Corte di Cassazione, op. cit, p. 23) già esaminato in precedenza, quando abbiamo esaminato il comma terzo.
4. I commi sesto (primo periodo) e settimo
Per quanto invece riguarda il “dove” deve essere depositata la richiesta di retrodatazione, al primo periodo del comma quinto è disposto che, salvo “che sia proposta in udienza oppure ai sensi del comma 5, la richiesta è depositata presso la cancelleria del giudice, con la prova dell’avvenuta notificazione al pubblico ministero” mentre, invece, al comma settimo, è disposto che, nel “corso dell’udienza preliminare o del giudizio, se non è proposta in udienza, la richiesta è depositata nella cancelleria del giudice e viene trattata e decisa in udienza”.
5. I commi secondo, sesto (restanti periodi), ottavo, nono e decimo
Per quanto inerisce il modo attraverso il quale il giudice decide sulla richiesta summenzionata, fermo restando che il “pubblico ministero, entro sette giorni, può depositare memorie e il difensore del richiedente può prenderne visione ed estrarne copia” (art. 335-quater, co. 6, secondo periodo, cod. proc. pen.) ed entrambe “le parti hanno facoltà di depositare ulteriori memorie entro i sette giorni successivi” (art. 335-quater, co. 6, secondo periodo, cod. proc. pen.) (in questo caso, non essendo stabilito espressamente a pena di decadenza, ad avviso di chi scrive, si tratta di termini meramente ordinatori), decorso “tale ultimo termine, il giudice, se ritiene che non sia necessario un contraddittorio orale, provvede sulla richiesta; altrimenti, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio, dandone avviso al pubblico ministero e al difensore del richiedente” (art. 335-quater, co. 6, terzo periodo, cod. proc. pen.) e, all’“udienza, il pubblico ministero e il difensore sono sentiti se compaiono” (art. 335-quater, co. 6, quarto periodo, cod. proc. pen.).
Orbene, a fronte di tale procedura, è evidente che il “procedimento per la retrodatazione è di norma meramente cartolare” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, Rel. n. 2/2023 del 5/01/2023, p. 63), salvo il caso in cui, come appena visto, il giudice ritenga necessario un contradittorio orale.
Inoltre, dato che la norma de qua si limita a stabilire sic et simpliciter che, in questa seconda ipotesi, il giudice fissa la data dell’udienza in camera di consiglio, dandone avviso al pubblico ministero e al difensore del richiedente, senza specificazione ulteriore alcuna, va da sé che nessun “termine è previsto per la fissazione dell’udienza e per la conclusione del procedimento incidentale” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 63).
Ebbene, conclusa questa procedura, la “decisione è adottata con ordinanza” (art. 335-quater, co. 6, settimo periodo, cod. proc. pen.).
In particolare, nel caso d’accoglimento della richiesta, e, di conseguenza, allorchè la “retrodatazione è disposta dal giudice quando il ritardo è inequivocabile e non è giustificato” (art. 335-quater, co. 2, cod. proc. pen.) [dove “il ritardo può ritenersi giustificato non dal sovraccarico dell’ufficio inquirente, ma solo dalla complessità della vicenda oggetto del procedimento, desumibile dalla complessità della notizia di reato ovvero delle risultanze delle investigazioni, come ad esempio, nel caso di esposto molto lungo o del complicato collegamento tra gli esiti di intercettazioni risalenti a tempi diversi” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 64)], “il giudice indica la data nella quale deve intendersi iscritta la notizia di reato e il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito” (art. 335-quater, co. 8, cod. proc. pen.).
Invece, ove la suddetta richiesta non sia accolta, “la parte la cui richiesta di retrodatazione è stata respinta ovvero, in caso di accoglimento della richiesta, il pubblico ministero e la parte civile possono, a pena di decadenza, chiedere che la questione sia nuovamente esaminata prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine previsto dall’articolo 491, comma 1” cod. proc. pen. (art. 335-quater, co. 9, primo periodo, cod. proc. pen.) e, di conseguenza, tale questione deve essere proposta subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti, fermo restando che, pure in tale caso, stante l’espresso rinvio ivi compiuto al secondo periodo del comma 3, è altresì richiesto che le ulteriori richieste devono essere proposte nello stesso termine e fondate su atti diversi, in precedenza non conoscibili.
Tuttavia, nel “dibattimento preceduto da udienza preliminare, la domanda di nuovo esame della richiesta di retrodatazione può essere proposta solo se già avanzata nell’udienza preliminare” (art. 335-quater, co. 9, secondo periodo, cod. proc. pen.), e da ciò si desume che “la questione posta al GIP nelle indagini preliminari è riproposta al GUP come domanda di nuovo esame prima della conclusione dell’udienza preliminare, essendo “già” stata avanzata nell’udienza preliminare, può essere nuovamente proposta al giudice del dibattimento” (Procura generale della Corte di Cassazione, op. cit, p. 24), fermo restando che la “previsione della proposizione di una richiesta di nuovo esame della questione di retrodatazione accolta o rigettata, essendo tesa a semplificare la procedura ed a stabilizzare al più presto la base cognitiva del giudizio sembra precludere la possibilità di una impugnazione del provvedimento con ricorso per cassazione” (Procura generale della Corte di Cassazione, op. cit, p. 24), così come non sembra parimenti configurabile la possibilità di una eventuale impugnazione “per abnormità, in quanto il provvedimento del giudice, di accoglimento o di rigetto dell’istanza ex art. 335-quater c.p.p. non risulta avulso dal sistema processuale e, soprattutto, essendo proponibile una domanda di nuovo esame alla questione, non determina alcuna stasi del procedimento” (Procura generale della Corte di Cassazione, op. cit, p. 25).
Precisato ciò, è da ultimo enunciato che l’“ordinanza del giudice dibattimentale può essere impugnata nei casi e nei modi previsti dai primi due commi dell’articolo 586” cod. proc. pen. (art. 335-quater, co. 10, cod. proc. pen.) i quali prevedono rispettivamente quanto segue: comma primo (“Quando non è diversamente stabilito dalla legge, l’impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l’impugnazione contro la sentenza. L’impugnazione è tuttavia ammissibile anche se la sentenza è impugnata soltanto per connessione con l’ordinanza”); comma secondo (“L’impugnazione dell’ordinanza è giudicata congiuntamente a quella contro la sentenza, salvo che la legge disponga altrimenti”).
Di conseguenza, per effetto di questa norma di legge, la “decisione sulla retrodatazione, dunque, sembrerebbe impugnabile solo insieme alla decisione che ha definito il giudizio o la fase incidentale nell’ambito della quale è stata proposta ossia con la sentenza di primo grado, con la sentenza di proscioglimento ovvero con la decisione adottata in sede di incidente cautelare” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 64).
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