In tema di getto pericoloso di cose, come deve essere inteso il termine “molestare persone”
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 674)
1. La questione
Il Tribunale di Caltanissetta condannava l’imputato alla pena, sospesa, di Euro 400,00 di ammenda per i reati di cui agli artt. 81,674 e 660 c.p..
Ciò posto, avverso la predetta decisione era stato proposto appello articolato su sette motivi.
Orbene, fermo restando che la Corte territoriale, riqualificata l’impugnazione come ricorso per cassazione attesa l’inappellabilità della sentenza, trasmetteva gli atti al Giudice di legittimità, tra i motivi ivi addotti, si assumeva, quanto alla contestazione del reato di cui all’art. 674 c.p., come, per un verso, non fosse stata provata la condotta e per altro la privata dimora della parte civile non rientrava tra i luoghi interessati dalla norma incriminatrice, per altro verso, le molestie contestate avrebbero dovuto ritenersi assorbite nell’altra condotta contestata (sub art. 660 c.p.), e quindi non poteva esserci continuazione di reati.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
In relazione al motivo summenzionato, esso era ritenuto infondato per le seguenti ragioni.
Si osservava innanzitutto che, in tema di getto pericoloso di cose con il termine “molestia alla persona” deve intendersi ogni fatto idoneo a recare disagio, fastidio o disturbo ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano; ne deriva che tale idoneità deve essere accertata, dal giudice di merito, identificando la natura delle cose gettate e ricostruendo le concrete modalità della condotta (Sez. 3, n. 49983 del 09/04/2015) dato che l’art. 674 c.p. sanziona – per quanto interessa colui che getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone.
Oltre a ciò, era altresì fatto presente come, quanto ai luoghi, la medesima Suprema Corte (Sez. 3, n. 16459 del 11/04/2013) abbia già riconosciuto l’esistenza della norma incriminatrice nei riguardi di un soggetto che aveva molestato una condomina, in quanto abitante nello stesso stabile, gettando nel piano sottostante – ove si trovava l’appartamento della vittima – rifiuti vari quali cenere e cicche di sigarette, nonché detersivi corrosivi, quale candeggina, dal momento che la fattispecie criminosa de qua è posta a tutela dell’incolumità pubblica, intendendo difendere coloro che dal getto pericoloso di cose vengono imbrattati, offesi nella loro integrità fisica o molestati e turbati nella loro tranquillità.
3. Conclusioni
Posto che, come è noto, l’art. 674 cod. pen. dispone che chiunque “getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206”, la decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi chiarito cosa si debba intendere per “molestare persone”.
Si afferma difatti in tale pronuncia, lungo il solco di un pregresso orientamento nomofilattico, che il termine “molestia alla persona” – e quindi anche le parole “molestare persone” – deve intendersi ogni fatto idoneo a recare disagio, fastidio o disturbo ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano; ne deriva che tale idoneità deve essere accertata, dal giudice di merito, identificando la natura delle cose gettate e ricostruendo le concrete modalità della condotta.
Tale provvedimento, di conseguenza, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sussistenza di codesta contravvenzione, per quanto concerne questo suo elemento costitutivo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2022
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