Nella propria struttura-base, il comma 1 Art. 73 TU 309/90 sanziona chi “tratta” stupefacenti senza regolare autorizzazione del Ministero della salute ex Art. 17 TU 309/90; il comma 2 Art. 73 TU 309/90 punisce chi, pur munito del nulla osta ex Art. 17 TU 309/90, commercia illegalmente talune sostanze; infine, il comma 3 Art. 73 TU 309/90 riguarda colui che produce o vende stupefacenti diversi da quelli contemplati nella sua autorizzazione ex Art. 17 TU 309/90.
Volume consigliato per approfondire: La disciplina dei reati in materia di stupefacenti
Indice
- 1. La struttura dell’Art. 73 TU 309/90
- 2. Produzione
- 3. Fabbricazione
- 4. Estrazione
- 5. Raffinazione
- 6. Esportazione ed importazione
- 7. Passaggio o spedizione in transito
- 8. Vendita
- 9. Offerta o messa in vendita
- 10. Distribuzione
- 11. Commercio
- 12. Procurare ad altri
- 13. Inviare
- 14. Consegna per qualunque scopo
- Volume consigliato per approfondire
1. La struttura dell’Art. 73 TU 309/90
Nella propria struttura-base, il comma 1 Art. 73 TU 309/90 sanziona chi “tratta” stupefacenti senza regolare autorizzazione del Ministero della salute ex Art. 17 TU 309/90; il comma 2 Art. 73 TU 309/90 punisce chi, pur munito del nulla osta ex Art. 17 TU 309/90, commercia illegalmente talune sostanze; infine, il comma 3 Art. 73 TU 309/90 riguarda colui che produce o vende stupefacenti diversi da quelli contemplati nella sua autorizzazione ex Art. 17 TU 309/90.
In secondo luogo, il comma 1 Art. 73 TU 309/90 si distingue da altri testi di normazione analoghi giacché indica un elenco chiuso onnicomprensivo delle attività illecite che violano l’Art. 17 TU 309/90, ovverosia: la coltivazione, la produzione, la fabbricazione, l’estrazione, la raffinazione, la vendita, l’offerta, la messa in vendita, la cessione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, il procurare ad altri, l’invio, il passaggio, la spedizione in transito e la consegna. Poche normative, a livello internazionalistico, recano una consimile ricchezza lessicale. Ora, sono compatibili con la circostanza depenalizzante dell’“uso personale” le seguenti cinque condotte: l’importazione illecita, l’esportazione, l’acquisto, la ricezione a qualsiasi titolo e la detenzione. In tali casi, quando la finalità non è lo spaccio, sono precettive le sanzioni meramente amministrative di cui all’Art. 75 TU 309/90. Viceversa, la “produzione”, nell’Art. 73 TU 309/90, non è mai sussumibile entro l’ambito normativo dell’Art. 75 TU 309/90. Fa eccezione la “coltivazione”, che può configurare l’uso personale se essa è effettuata con tecniche “rudimentali” non professionalmente organizzate.
Senza dubbio, come intuitivo e come sottolineato da Cass., sez. pen. III, 15 gennaio 2015, n. 7404, l’Art. 73 TU 309/90 ha molte caratteristiche di una norma a-tipica, in tanto in quanto “[esso] ha natura giuridica di norma a più fattispecie, con la conseguenza che, da un lato, il reato è configurabile allorché il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste; dall’altro, deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere senza apprezzabile soluzione di continuità dallo stesso soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente“. Di eguale tenore è pure Cass., sez. pen. VI, 28 marzo 2017, n. 22549, la quale rimarca anch’essa il carattere non ordinario dell’Art. 73 TU 309/90, giacché “in presenza di più condotte riconducibili a quelle descritte [dai commi 1, 2 e 3] dell’Art. 73 TU 309/90, quando unico è il fatto concreto che integra contestualmente più azioni tipiche alternative, le condotte illecite minori perdono la loro individualità e vengono assorbite nell’ipotesi più grave. Quando, invece, le differenti azioni tipiche sono distinte sul piano ontologico, cronologico e psicologico, esse costituiscono distinti reati concorrenti materialmente “. Siffatta atipicità dei commi 1, 2 e 3 Art. 73 TU 309/90 è ribadita pure da Cass., sez. pen. IV, 7 aprile 2005, n. 22588, nel senso che “l’assenza di contiguità temporale tra le condotte [ad esempio, ndr] di detenzione e cessione di sostanza stupefacente impedisce l’assorbimento dell’una condotta nell’altra, con la conseguenza che le due condotte danno luogo a più violazioni della stessa disposizione di legge, e, quindi, a distinti reati, eventualmente legati dal vincolo della continuazione criminosa [ex Art. 81 CP], ed ambedue previsti dalla norma a più fattispecie tra loro alternative di cui [ai commi 1, 2 e 3] dell’Art. 73 TU 309/90“. In buona sostanza, la contestualità delle azioni determina l’assorbimento della fattispecie meno grave in quella più grave; viceversa, se le infrazioni sono cronologicamente ed ontologicamente separate, prevale la continuazione ex Art. 81 CP, ma, comunque, ciascuna violazione ha una consistenza criminosa a sé stante. A tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 13 novembre 1992, n. 11943 ben riassume che “le diverse condotte dalle norme previste perdono la loro individualità se costituiscono manifestazione del potere di disposizione della medesima sostanza. Tale assorbimento – con conseguente esclusione del concorso di reati [ex Art. 81 CP] – è subordinato al duplice presupposto che si tratti della stessa sostanza stupefacente e che le condotte siano state poste in essere contestualmente, ossia indirizzate ad un unico fine senza apprezzabile soluzione di continuità. Quando, invece, le differenti azioni tipiche (detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione …) sono distinte sul piano ontologico, psicologico e funzionale, esse costituiscono più violazioni della stessa disposizione di legge e, quindi, distinti reati, eventualmente unificati nel vincolo della continuazione”. Parimenti, Cass., sez. pen. IV, 26 giugno 2008, richiamata dalla di poco successiva Cass., sez. pen. III, 26 novembre 2009, n. 8163, reputa che, nei commi 1, 2 e 3 Art. 73 TU 309/90, la fattispecie meno grave è assorbita in quella più grave quando:
- le condotte hanno come oggetto materiale la medesima sostanza
- sotto il profilo cronologico, le infrazioni sono contestuali
- le infrazioni ontologicamente non separabili sono state poste in essere dal/dai medesimo/i soggetto/i
Detta contestualità ed affinità cronologica, ontologica e funzionale si verifica soprattutto, secondo Cass., sez. pen. VI, 11 dicembre 2009, n. 9477, “nell’ambito di un unitario progetto di spaccio”. Viceversa, come giustamente rimarca Cass., sez. pen. III, 15 gennaio 2015, n. 7404, non vi è assorbimento, nell’Art. 73 TU 309/90, qualora prevalga “un differente contesto temporale” che rende non immediatamente collegabili tra di loro le infrazioni plurime.
- I lemmi-chiave dei commi 1, 2 e 3 Art. 73 TU 309/90
- La coltivazione
Il lemma “coltivazione” indica l’atto di piantare un seme o un germoglio in un terreno o dentro ad un vaso. Pertanto, come intuitivo, il verbo “coltivare”, nell’Art. 73 TU 309/90, si riferisce sempre a sostanze vegetali e mai agli stupefacenti ottenuti per sintesi chimica. Altrettanto semplice è la ratio individuata da Cass., sez. pen. VI, 5 novembre 2021, n. 45926, ossia: “il discrimine tra la condotta che punisce la sola coltivazione, rispetto alle altre alternative del pari punite dall’Art. 73 TU 309/90, deriva dalla sua potenziale capacità di immettere in circolazione quantitativi non preventivamente determinabili di sostanza, connessi al ciclo produttivo della pianta”. P.e., da un solo arbusto di canapa professionalmente coltivato è possibile ricavare THC o CBD quantitativamente ingente e qualitativamente pericoloso per la salute collettiva, alla luce della ratio ex comma 1 Art. 32 Cost.. Anche Consulta 360/1995 afferma che “la coltivazione è pericolosa in ragione della [propria] attitudine ad innescare un meccanismo di creazione di nuove disponibilità di droga quantitativamente non predeterminate”. Come si può notare, Consulta 360/1995 nega decisamente alla mera coltivazione la natura di reato a pericolosità astratta. Anzi, a prescindere, per un momento, dal profilo qualitativo, una pianta di stupefacente ha in sé stessa la potenzialità di generare un quantitativo “non lieve”, pur se rimane fondamentale l’aspetto della contestualizzazione.
2. Produzione
In maniera assai pragmatica, la lett. t) Art. 1 della Convenzione unica sugli stupefacenti di New York del 1961 dichiara che “il termine produzione designa l’operazione che consiste nel raccogliere l’oppio, la foglia di coca, la canapa e la resina di canapa dalle piante che le producono”. Di solito, nella Giurisprudenza italiana di legittimità, il lemma “produzione” ricomprende pure la lavorazione meccanica del vegetale, come la frantumazione e la macinazione. La Corte di Cassazione, ma anche lo stesso TU 309/90, sostituiscono sovente il sostantivo “produzione” con quello similare di “raccolta”. P.e., nel comma 4 Art. 19 della Convenzione di New York del 1961, si parla di “raccolta delle piante o di parti di esse, dell’oppio grezzo o di altre droghe”.
3. Fabbricazione
Nella realtà concreta, il lemma fabbricazione si sostanzia in un pleonasmo retorico e ridondante nei confronti del sostantivo “produzione”. Fabbricare, a livello empirico, significa preparare lo stupefacente con processi chimici o sintetici, che ineriscono droghe vegetali, oppure chimiche. La non-autonomia semantica del verbo fabbricare si manifesta nei commi 1 e 2 Art. 32 TU 309/90, nei quali si parla di “estrazione … trasformazione … produzione” di sostanze sintetiche (comma 2) o vegetali (comma 1 – papavero sonnifero, oppio, foglie e pasta di coca o altre piante ad uso stupefacente -).
4. Estrazione
In Cass., sez. pen. VI, 5 novembre 2020, n. 6599 si afferma che “l’estrazione è una fase della produzione, precisamente l’attività che consiste nella separazione del principio attivo dal vegetale che lo contiene. Nella contestazione di questa condotta, si deve spesso utilizzare una facoltà predittiva, in relazione al grado di sviluppo raggiunto dalla pianta ed alla ragionevole quantità ottenibile”. Più che altro, il termine “estrazione” viene impiegato per la canapa e, talvolta, per i funghi allucinogeni.
5. Raffinazione
Il verbo “raffinare” viene prevalentemente riservato alle sostanze oppiacee. A tal proposito, Cass., sez. pen. III, 28 ottobre 2021, n. 2507 precisa che “la raffinazione è l’attività di purificazione dello stupefacente, che viene ricavato partendo dal prodotto grezzo o naturale, attraverso metodi chimici o fisici, eliminando le scorie residue. La raffinazione riguarda particolarmente l’ottenimento dall’oppio dell’eroina, effettuato direttamente in Italia nelle diffuse raffinerie clandestine”.
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6. Esportazione ed importazione
Lo stupefacente viene importato o, al contrario, esportato in Italia/dall’Italia allorquando, materialmente, il corriere commercia la sostanza passando le frontiere nazionali.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, l’importazione è già consumata nel momento in cui i corrieri concordano il passaggio, anche se il trasporto fisico della sostanza non è ancora avvenuto. Di tal parere è Cass., sez. pen. IV, 26 gennaio 2021, n. 6498, secondo cui “ai fini della consumazione del delitto di importazione di sostanze stupefacenti, è sufficiente la conclusione dell’accordo finalizzato all’importazione dello stupefacente, senza la necessità dell’acquisizione dell’autonoma detenzione della sostanza stupefacente”. Come prevedibile, non pochi hanno contestato a Cass. Sez. pen. IV, 26 gennaio 2021, n. 6498 di non aver tenuto conto della fattispecie del delitto tentato ex Art. 56 CP. Ciononostante, consta che, anche secondo Cass., sez. pen. IV, 11 ottobre 2011, n. 3950, l’accordo è sufficiente, giacché “la consumazione del reato di acquisto di sostanze stupefacenti non richiede la cessione [materiale] e la conseguente ricezione della droga, perfezionandosi la compravendita con il solo incontro delle volontà del compratore e del venditore”. Di nuovo, Cass., sez. pen. IV, 11 ottobre 2011, n. 3950 confonde consumazione e tentativo, restringendo il legittimo campo precettivo dell’Art. 56 CP. Tale errore interpretativo si ritrova pure in Cass., sez. pen. IV, 23 gennaio 2014, n. 6781 (ripresa da Cass., sez. pen. V, 26 settembre 2016, n. 54188), ovverosia “la fattispecie di acquisto della sostanza stupefacente si consuma allorquando sia stato raggiunto, tra l’acquirente ed il venditore, l’accordo sulla quantità, sulla qualità e sul prezzo della sostanza, senza che sia richiesta l’effettiva traditio della stessa”. Chi redige reputa che le testé citate Sentenze del 2014 e del 2016 non tengano nella debita considerazione gli effetti dell’Art. 56 CP. Anzi, per tal via, si apre la strada all’orribile fattispecie dei delitti di mero sospetto, dunque muniti di una pericolosità puramente astratta. Questo mancato, erroneo utilizzo dell’Art. 56 CP si riscontra pure in Cass., sez. pen. III, 21 settembre 2021, n. 1555, a parere della quale “ai fini della consumazione del delitto di importazione di stupefacenti, è sufficiente la conclusione dell’accordo finalizzato a detta importazione, potendo configurarsi il tentativo solo nella fase antecedente all’incontro delle volontà, in ragione delle trattative intercorse, univoche ed idonee a conseguire seriamente il reciproco consenso all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale”. Il mero accordo è reputato “atto consumativo” pure in Cass., sez. pen. III, 29 gennaio 2018, n. 29655 nonché in Cass., sez. pen. IV, 11 ottobre 2011, n. 3950.
L’applicazione dell’Art. 56 CP viene omessa anche in Cass., sez. pen. I, 27 novembre 2019, n. 6180, a norma della quale “integra [il delitto di] importazione di sostanze stupefacenti la condotta che, collocandosi in una fase antecedente all’acquisto della proprietà della droga destinata ad essere trasferita nel territorio nazionale, si presenti come idonea ed univocamente diretta alla conclusione di tale accordo traslativo, dando vita ad una trattativa sul cui positivo esito risulti che per la natura, la qualità ed il numero dei contatti intervenuti, i contraenti abbiano riposto concreto affidamento”. A parere di chi scrive, Cass., sez. pen. I, 27 novembre 2019, n. 6180 si dimostra non sufficientemente sensibile nei confronti dell’”anti-ratio” della “pericolosità astratta”. Anticipare al momento del pactum sceleris la consumazione del delitto di importazione è contrario al principio del garantismo democratico e dell’accusatorietà. La consumazione concreta reca un ruolo fondamentale nel Diritto Penale contemporaneo; prima di essa deve predominare, sempre ed equamente, l’ipotesi del delitto tentato. E’ una questione di garanzie sostanziali e, per riflesso, processuali.
Provvidenzialmente, ha prevalso un orientamento difforme, che reputa insufficiente, per la consumazione, il solo pactum sceleris e che richiede il passaggio materiale dello stupefacente. In effetti, giustamente, Cass., sez. pen. VI, 11 luglio 2011, n. 27998 asserisce che “ai fini della consumazione del delitto di importazione di sostanze stupefacenti, non è sufficiente la mera conclusione dell’accordo finalizzato all’importazione dello stupefacente, ma è necessaria [anche] l’acquisizione dell’autonoma detenzione della droga da parte dell’importatore, la quale si realizza anche attraverso l’assunzione, da parte di quest’ultimo, della gestione dell’attività volta all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale[via automobile, via aereo, via camion…]”. In Cass., sez. pen. VI, 11 luglio 2011, n. 27998 la pericolosità dell’importazione di droghe cessa di essere astratta e, finalmente, si allontana lo spettro dei delitti di mero sospetto. Cass., sez. pen. VI, 11 luglio 2011, n. 27998 ribadisce, nel Diritto Penale, la sacralità del garantismo e della certezza giuridica.
D’altronde, già negli Anni Novanta del Novecento, Cass., sez. pen. VI, 6159/1995 (simile a Cass., sez. pen. I, 1498/1996) aveva osservato che “non è condivisibile l’ argomentazione […] secondo la quale è sufficiente il certo e definitivo accordo per integrare la consumazione del reato di importazione di stupefacente […] Solo l’avvenuta, effettiva ed autonoma detenzione dello stupefacente – che si integra anche con l’ assunzione [rectius: la responsabilità, ndr] dell’ autonoma gestione dell’attività volta all’effettivo trasferimento nel territorio nazionale – rende consumata la condotta di importazione, per la quale, altrimenti, è necessario l’effettivo ingresso dello stupefacente nel territorio nazionale, anche se solamente alla frontiera geografico-politica”. Tale orientamento fattualista e concretizzante è stato espresso anche in Cass., sez. pen. IV, 15 ottobre 2019, n. 49896. Del pari, Cass., sez. pen. II, 18 gennaio 1996, n. 5632, per quanto ormai datata, ribadisce pur’essa che, senza la “traditio” materiale dello stupefacente, il delitto di importazione rimane tentato o, comunque, non possiede la pericolosità piena caratterizzante un ordinario delitto consumato.
7. Passaggio o spedizione in transito
Si ha passaggio a mezzo corriere o spedizione via posta quando lo stupefacente è trasferito dall’Italia verso uno Stato estero. Nella fattispecie del passaggio, il corriere deve avere, per la configurabilità del reato, la consapevolezza dolosa di transitare una sostanza d’abuso
Come precisato da Cass., sez. pen. IV, 13 giugno 2007, n. 34116, “l’attribuzione della giurisdizione va al giudice italiano, che è individuato, sotto il profilo della competenza territoriale, a seconda del luogo dell’ingresso della droga entro il confine di Stato”.
Nella quasi totalità delle fattispecie, dopo la novella del 2006, il passaggio di stupefacenti è reputato aggravato dalla transnazionalità. A tal proposito, Cass., sez. pen. III, 19 aprile 2016, n. 23896 precisa che “ai fini della configurabilità dell’aggravante della transnazionalità, prevista dall’Art. 4 L. 146/2006, è necessario che alla consumazione del reato transnazionale contribuisca consapevolmente un gruppo criminale organizzato”.
8. Vendita
La vendita si consuma quando due o più soggetti, con piena volizione dolosa, si accordano per il passaggio di uno stupefacente, pagato con denaro o altra utilità. Anche nella fattispecie della vendita, la conclusione dell’accordo, anche senza consegna materiale, è già atto consumativo, dunque punibile.
9. Offerta o messa in vendita
Secondo la Dottrina e la Giurisprudenza prevalenti, l’offerta è rivolta ad uno specifico gruppo di tossicodipendenti, mentre la messa in vendita è rivolta ad incertam personam, per esempio via Internet. Nella realtà fattuale, il valore semantico di questi due lemmi non è nitidamente separato. Ciononostante, nel tentativo di porre distinzioni, Cass., sez. pen. VI, 15 novembre 2011, n. 16938 precisa che “la messa in vendita della droga si ha quando l’autore dimostra di avere una pronta disponibilità/detenzione [per fini di spaccio] degli stupefacenti e non la sola concreta possibilità di acquisirla (come nell’ offerta in vendita)”. Dunque, secondo Cass., sez. pen. VI, 15 novembre 2011, n. 16938, la messa in vendita reca una potenzialità materiale più intensa rispetto alla potenzialità teorica dell’offerta in vendita”.
Egual parere è espresso pure da Cass., sez. pen. III, 16 aprile 2014, n. 31849, a norma della quale “al fine di configurare l’ipotesi di offerta in vendita di stupefacente, è sufficiente la mera dichiarazione di essere in grado di procacciare lo stupefacente stesso, purché l’offerta si presenti realizzabile e seria, nel senso che l’offerente abbia o possa conseguire la disponibilità, anche non immediata, della sostanza stupefacente”. Dunque, di nuovo, Cass., sez. pen. III, 16 aprile 2014, n. 31849 sostiene che alla mera eventualità dell’offerta si contrappone la materialità fattuale della messa in vendita. Tale binomio potenzialità/fattualità è ribadito pure da Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 22471, nel senso che “la condotta criminosa di offerta di sostanze stupefacenti si perfezione nel momento in cui l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente dall’accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un’offerta collegata ad un’effettiva disponibilità, sia pure non attuale, della droga, per tale intendendosi la possibilità di procurare lo stupefacente, ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con modalità che garantiscano il cessionario”. Quindi, come prevedibile, spetta, di volta in volta, al Magistrato del merito valutare, nel concreto, l’eventualità dell’offerta o, viceversa, la fattualità immediata della messa in vendita.
Anzi, la predetta Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 22471 sposta il momento consumativo all’atto della sola offerta, ovverosia “anche la fase delle trattative costituisce reato, e anche se il promesso venditore non è in possesso della merce. Anche la semplice dichiarazione di essere in grado di procacciare sostanze stupefacenti può essere, di per sé sola, generatrice di responsabilità penale, non essendo necessario né il raggiungimento di un accordo, né che la proposta sia tanto circostanziata da consentire, se accolta, la cessione della sostanza, né, tanto meno, la traditio della sostanza medesima”. Questi ultimi asserti giustizialistici di Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 22471, a parere di chi commenta, non sono condivisibili, in tanto in quanto trasportano l’offerta nel campo precettivo della pericolosità astratta. A parere di chi redige, la semplice offerta, priva della traditio materiale dello stupefacente, rimane priva di un’apprezzabile fisionomia penale, poiché la rilevanza penalistica richiede fattualità e non semplice eventualità. In effetti, con maggiore pragmatismo e garantismo, Cass., sez. pen. VI, 22 maggio 1997, n. 7333 richiede che “la messa a disposizione della droga […] si presenti come realizzabile e seria […] cioè l’offerente deve avere l’effettiva, anche se non immediata, disponibilità della sostanza”. D’altra parte, una offerta che si sostanzi in una generica promessa non ha nemmeno le caratteristiche ordinarie della rilevanza penale. Un’ offerta puramente teorica e solo verbale non è sussumibile entro l’ambito applicativo dell’Art. 73 TU 309/90.
Tuttavia, Cass., sez. pen. IV, 20 novembre 2020, n. 34754 omologa offerta e messa in vendita, per le quali, comunque, è richiesta sempre “un’effettiva disponibilità della droga, anche non immediata, ma entro tempi ragionevoli”. Parimenti, Cass., sez. pen. II, 22 maggio 2001, n. 32299 invita a non distinguere, con elucubrazioni intellettualoidi, l’offerta e le massa in vendita, perché l’essenziale, nell’ Art. 73 TU 309/90, rimane la ratio del “prevenire le conseguenze dannose dello spaccio e del reprimere il pericolo di traffico di stupefacenti”.
10. Distribuzione
Durante l’atto della distribuzione, il narcotrafficante consegna lo stupefacente agli spacciatori medio-piccoli i quali, successivamente, frazioneranno la sostanza in dosi da cedere ai singoli consumatori. Evidentemente, come precisato da Cass., sez. pen. III, 15 giugno 2016, n. 37233, “la distribuzione ha per presupposto la detenzione delle sostanze stupefacenti, quale potere di disposizione delle stesse”.
11. Commercio
Il lemma “commercio” è riservato, in Giurisprudenza, all’ambito del grande narcotraffico. P.e., Cass., sez. pen. VI, 20 febbraio 2018, n. 13982 precisa che “il commercio consiste nello svolgimento, continuativo e professionale, delle attività di acquisto e di cessione di sostanze stupefacenti. La condotta in esame è connotata da un’articolata organizzazione di supporto e difesa, che assicura uno stabile commercio di sostanza stupefacente”. La “professionalità” e la “stabilità” del commercio, quando esso rileva, sono rimarcate pure da Cass., sez. pen. VI, 6 ottobre 2016, n. 48565, ovverosia “il commercio deve escludere il carattere estemporaneo delle condotte legate al narcotraffico; sovente esso confina o sfocia nel reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti [ex Art. 74 TU 309/90]”.
12. Procurare ad altri
Procura ad altri droga l’”intermediario” che acquista, con denaro o altra utilità propri, la sostanza che, successivamente, verrà consumata da un terzo estraneo alla compravendita. Qualora il “procacciatore” consumi anch’egli parte dello stupefacente, il reato di procurare ad altri viene assorbito nell’ipotesi del “consumo di gruppo”.
13. Inviare
Come intuibile, nella fattispecie dell’invio, il reo aliena lo stupefacente a mezzo posta o spedizioniere/corriere privato.
14. Consegna per qualunque scopo
Tali lemmi indicano la cessione di uno stupefacente per il raggiungimento di finalità non direttamente tossicovoluttuarie. P.e., si ponga mente al custode di una partita di droga. Oppure ancora, si pensi alla sostanza trasferita come mezzo di pagamento. Cass., sez. pen. IV, 17 marzo 2021, n. 11734 specifica che la consegna per qualunque scopo non rileva come reato se il soggetto che consegna e/o quello che riceve non è consapevole del fatto che l’oggetto consegnato sia uno stupefacente.
La consegna ad un minore degli anni diciotto è aggravata ex lett. a) comma 1 Art. 80 TU 309/90 (“[Le pene previste per i delitti di cui all’ Art. 73 sono aumentate da un terzo alla metà] […] a) nei casi in cui le sostanze stupefacenti o psicotrope sono consegnate o, comunque, destinate a persona di età minore”).
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Santi Bologna, Alessandro Bosco, Alfredo Spitaleri | Maggioli Editore 2021
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