Con la riforma Cartabia è stato previsto, dopo l’art. 129 cod. proc. pen., un ulteriore articolo, vale a dire l’art. 129-bis cod. proc. pen., volto a regolare l’accesso ai programmi di giustizia riparativa.
Orbene, scopo del presente scritto è quello di esaminare siffatto precetto normativo.
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Indice
1. Il comma primo
Al primo comma è disposto che, in “ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa”.
Orbene, fermo restando che, come recita questo articolo 42, co. 1, lett. b), per “vittima di reato” deve intendersi “la persona fisica che ha subito direttamente dal reato qualunque danno patrimoniale o non patrimoniale, nonché il familiare della persona fisica la cui morte è stata causata dal reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona”, in “forza del primo comma dell’art. 129-bis (…) l’autorità giudiziaria può disporre l’invio dell’imputato e della vittima del reato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento dalle indagini preliminari sino al giudizio di cassazione” (M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, in sistemapenale.it, p. 16) e nel “primo caso, procederà il pubblico ministero, per la semplice ragione che è il soggetto che conosce il fascicolo e può dunque effettuare la valutazione sulla sussistenza dei presupposti indicati nel terzo comma” (M. GIALUZ, op. cit., p. 16) mentre, durante il processo, la competenza spetta al “giudice che procede, il quale viene opportunamente specificato dal nuovo art. 45-ter disp. att. c.p.p.: a seguito dell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio sarà il giudice per le indagini preliminari fino a quando il decreto, unitamente al fascicolo, non è trasmesso al giudice a norma dell’articolo 553, comma 1, c.p.p.; dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti a norma dell’art. 590 c.p.p., provvede il giudice che ha emesso la sentenza; durante la pendenza del ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato” (M. GIALUZ, op. cit., p. 17).
Quanto appena esposto, infine, può avvenire pure d’ufficio, e quindi non è necessariamente richiesta un’apposita istanza di parte.
2. Il comma secondo
Al comma secondo è disposto che la “richiesta dell’imputato o della vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b) del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, è proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale”.
Quindi, ove la richiesta – affinché l’imputato e la vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, siano avviati al Centro per la giustizia riparativa di riferimento per l’avvio di un programma di giustizia riparativa – sia formulata da uno di questi, nel caso in cui sia prospettata dal legale di costoro, non è sufficiente la nomina, essendo per contro necessario il conferimento di un’apposita procura speciale, “venendo in rilievo un diritto personale, rispetto al quale la parte – sia essa la vittima o la persona indicata come autore dell’offesa – è chiamata a esprimere dinanzi al mediatore, e non all’Autorità giudiziaria, un consenso personale, libero, consapevole, informato ed espresso in forma scritta, da raccogliere prima di avviare il programma” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, Rel. n. 2/2023 del 5/01/2023, p. 319).
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3. Il comma terzo
Al comma terzo è disposto che l’“invio degli interessati è disposto con ordinanza dal giudice che procede, sentite le parti, i difensori nominati e, se lo ritiene necessario, la vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti” (primo periodo), fermo restando che nel “corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato” (secondo periodo).
Dunque, questa norma giuridica prevede, da un lato, che “il giudice, in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’articolo 415-bis – e, durante le indagini, il pubblico ministero – senta necessariamente le parti e i difensori nominati e, solo ove lo ritenga necessario, la vittima del reato definita nella disciplina organica” (così: la relazione illustrativa), trattandosi di una scelta che “si giustifica con la necessità di non appesantire eccessivamente il procedimento onerando il giudice della ricerca della vittima e della sua audizione” (così: la relazione illustrativa), dall’altro, che l’“autorità giudiziaria dovrà disporre l’invio – con provvedimento motivato – al Centro per la giustizia riparativa quando reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto, sia per gli interessati, che per l’accertamento dei fatti” (così: la relazione illustrativa) e, dunque, siffatta autorità è tenuta a “valutare, in positivo, se il programma di giustizia riparativa sia utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto di reato ed escludere, in negativo, che l’invio possa comportare pericolo concreto per gli interessati o frustrare l’acquisizione della prova in funzione dell’accertamento dei fatti” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 321), fermo restando che, stante il principio di tassatività delle impugnazioni, a parere di chi scrive, non è possibile proporre alcun rimedio impugnatorio avverso siffatto provvedimento atteso che il precetto normativo in esame non ne prevede alcuno.
Ad ogni modo, a “dispetto dell’apparente perentorietà dell’invio, non si tratta (…) che di un’autorizzazione, posto che la vittima e l’imputato possono senza dubbio rifiutarsi di iniziare il programma: in attuazione di consolidati principi internazionali, il d.lgs. n. 150 chiarisce, per un verso, che il consenso alla partecipazione ai programmi di giustizia riparativa si atteggia a canone fondamentale (art. 43, comma 1, lett. d) e, per altro verso, che esso è «personale, libero, consapevole, informato ed espresso in forma scritta», nonché «revocabile anche per fatti concludenti» (art. 48, comma 1)” (M. GIALUZ, op. cit., p. 17), tenuto conto altresì del fatto che, “in forza della clausola di chiusura generale dell’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 150, «la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa»” (M. GIALUZ, op. cit., p. 17).
4. Il comma quarto
Al primo periodo del comma quarto è invece disposto che, nel “caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione e in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’articolo 415-bis, il giudice, a richiesta dell’imputato, può disporre con ordinanza la sospensione del procedimento o del processo per lo svolgimento del programma di giustizia riparativa per un periodo non superiore a centottanta giorni”.
Orbene, fermo restando che la “norma in esame deve essere letta in uno all’art. 152 cod. pen., nella parte in cui prevede la remissione tacita della querela, che si determina nel caso in cui il programma consegua un esito riparativo” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 322), la scelta di concepire una norma di questo genere “si spiega con la considerazione che il blocco ex lege del procedimento penale in attesa dell’esito del programma di giustizia riparativa si può giustificare –alla luce del canone costituzionale della ragionevole durata– solo quando il raggiungimento di un esito riparativo si traduce nell’estinzione del reato: in questo caso, il ritardo è ampiamente compensato dalla definizione extragiudiziale del conflitto e dal conseguente risparmio di attività processuale” (così: la relazione illustrativa) mentre non “si prevede invece un’ipotesi sospensiva nei casi in cui la partecipazione a un programma di giustizia riparativa non possa tradursi in una deflazione; resta in questi casi, comunque, salva la possibilità di valorizzare l’istituto – già impiegato nella prassi – del rinvio su richiesta dell’imputato, per consentire di concludere il programma e quindi di permettere al giudice di tenerne conto in sede di definizione del trattamento sanzionatorio” (così: la relazione illustrativa).
Ebbene, secondo quanto ritenuto dall’Ufficio del Massimario della Cassazione, questa “disposizione, pur se inserita nella norma sull’accesso alla giustizia riparativa, rileva (…) per i casi in cui le parti siano già state avviate a tale forma di giustizia e abbiano un programma da svolgere” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 323); in “altri termini, la disposizione in esame disciplina, nel procedimento penale, la fase di svolgimento della giustizia riparativa e presuppone che il giudice abbia già deciso di avviare le parti presso i centri di riferimento e sia stato già individuato un programma da svolgere, sulla bontà del quale, evidentemente, il giudice non si pronuncia” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 323).
Ad ogni modo, la “sospensione del procedimento ex articolo 129-bis comma 4 c.p.p. deve essere comunque richiesta dall’imputato – anche perché determina la sospensione del decorso del termine di prescrizione – e potrà essere disposta quando il giudice accerti che vi sono effettivamente le condizioni per uno svolgimento proficuo del programma di giustizia riparativa” (così: la relazione illustrativa).
Oltre a ciò, è altresì previsto “un termine massimo di sospensione pari a centottanta giorni” (così: la relazione illustrativa) fermo restando che la “circostanza che la sospensione del procedimento principale – e con essa la sospensione della prescrizione, dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione e di quelli di custodia cautelare – sia prevista solo in caso di reati che, in quanto procedibili a querela, possono essere dichiarati estinti qualora la stessa venga rimessa (anche tacitamente, secondo il disposto normativo fissato dall’art. 152 cod. pen.) porta fondatamente a ritenere che il meccanismo sospensivo trovi applicazione solo in queste ipotesi, e non in tutti i casi: ciò conferma la natura incidentale del procedimento di applicazione della giustizia riparativa rispetto al procedimento/processo penale, in linea con la connotazione che gli è propria, ossia di una forma di giustizia che non sostituisce, né si pone in alternativa alla giustizia penale, ma che si affianca ad essa, con la conseguenza che, se gli eventuali accadimenti del percorso riparativo non incideranno (se non
nei termini in cui si dirà quando si analizzeranno gli esiti riparativi e la valutazione che ne fa il giudice) sul procedimento penale, allo stesso modo gli accadimenti del procedimento penale non avranno ripercussioni sul programma riparativo” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 323).
Ciò posto, il secondo periodo di questo comma, infine, stabilisce che si “osservano le disposizioni dell’articolo 159, primo comma, numero 3), primo periodo, del codice penale, e dell’articolo 344-bis, commi 6 e 8, nonché, in quanto compatibili, dell’articolo 304” cod. proc. pen. le quali, a loro volta prevedono rispettivamente quanto segue: 1) art. 159, co. 1, n. 3, cod. pen. (“Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di: (…) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell’impedimento aumentato di sessanta giorni. Sono fatte salve le facoltà previste dall’articolo 71, commi 1 e 5, del codice di procedura penale”); 2) art. 344-bis, co. 6 (“I termini di cui ai commi 1 e 2 sono sospesi, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo, nei casi previsti dall’articolo 159, primo comma, del codice penale e, nel giudizio di appello, anche per il tempo occorrente per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. In caso di sospensione per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il periodo di sospensione tra un’udienza e quella successiva non può comunque eccedere sessanta giorni. Quando è necessario procedere a nuove ricerche dell’imputato, ai sensi dell’articolo 159 o dell’articolo 598-ter, comma 2, del presente codice, per la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello o degli avvisi di cui all’articolo 613, comma 4, i termini di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono altresì sospesi, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo, tra la data in cui l’autorità giudiziaria dispone le nuove ricerche e la data in cui la notificazione è effettuata”), e co. 8 (“Fermo restando quanto previsto dall’articolo 624, le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e 7 del presente articolo si applicano anche nel giudizio conseguente all’annullamento della sentenza con rinvio al giudice competente per l’appello. In questo caso, il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall’articolo 617”), cod. proc. pen.; 3) art. 304 cod. proc. pen. (“1. I termini previsti dall’articolo 303 sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell’articolo 310, nei seguenti casi: a) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell’imputato o del suo difensore ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per esigenze di acquisizione della prova o a seguito di concessione di termini per la difesa; b) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati; c) nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti dall’articolo 544, commi 2 e 3; c-bis) nel giudizio abbreviato, durante il tempo in cui l’udienza è sospesa o rinviata per taluno dei casi indicati nelle lettere a) e b) e durante la pendenza dei termini previsti dall’articolo 544, commi 2 e 3; c-ter) nei casi previsti dall’articolo 545- bis, durante il tempo intercorrente tra la lettura del dispositivo indicato al comma 1 dello stesso articolo e l’udienza fissata per la decisione sulla eventuale sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva ai sensi dell’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689; in tal caso, la sospensione dei termini previsti dall’articolo 303 non può comunque avere durata superiore a sessanta giorni. 2. I termini previsti dall’articolo 303 possono essere altresì sospesi quando si procede per taluno dei reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), nel caso di dibattimenti o di giudizi abbreviati particolarmente complessi, durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni. 3. Nei casi previsti dal comma 2, la sospensione è disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, con ordinanza appellabile a norma dell’articolo 310. 4. I termini previsti dall’articolo 303, comma 1, lettera a), sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell’articolo 310, se l’udienza preliminare è sospesa o rinviata per taluno dei casi indicati nel comma 1, lettere a) e b), del presente articolo. 5. Le disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1, anche se riferite al giudizio abbreviato, e di cui al comma 4 non si applicano ai coimputati ai quali i casi di sospensione non si riferiscono e che chiedono che si proceda nei loro confronti previa separazione dei processi. 6. La durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall’articolo 303, commi 1, 2 e 3 senza tenere conto dell’ulteriore termine previsto dall’articolo 303, comma 1, lettera b), numero 3-bis), e i termini aumentati della metà previsti dall’articolo 303, comma 4, ovvero, se più favorevole, i due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. A tal fine la pena dell’ergastolo è equiparata alla pena massima temporanea. 7. Nel computo dei termini di cui al comma 6, salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1, lettera b)”).
5. Il comma quinto
Al comma quinto, infine, è stabilito che al “termine dello svolgimento del programma di giustizia riparativa, l’autorità giudiziaria acquisisce la relazione trasmessa dal mediatore”.
Di conseguenza, all’“esito del programma, l’autorità giudiziaria deve acquisire la relazione redatta dal mediatore di cui dovrà tener conto in ambito processuale, nei limiti di utilizzabilità stabiliti nella disciplina organica” (così: la relazione illustrativa), fermo restando che siffatta acquisizione si pone “in linea con quanto previsto, più in generale, nella disciplina organica della giustizia riparativa agli artt. 57 e 58 del d.lgs. n. 150 del 2022, laddove si stabilisce che, al termine del programma, viene trasmessa all’Autorità giudiziaria procedente una relazione redatta dal mediatore contenente la descrizione delle attività svolte e dell’esito riparativo raggiunto” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 324)
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