La nozione di consumatore nel Regolamento UE 1215/2012

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La nozione di consumatore nel regolamento 1215/2012 alla luce della sentenza JA contro Wurth Automotive GMBH (c-177/22)
Volume per approfondire: I contratti e le nuove tutele dei consumatori

CGUE -Sez. IX- causa C-177/22

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Indice

1. L’articolazione della disciplina ai sensi del Regolamento (UE) 1215/2012 (Bruxelles I-bis)


Il regolamento (UE) n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) sulla competenza giurisdizionale e l’efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale contempla, notoriamente, un “regime protettivo a carattere esaustivo” per quanto riguarda la materia dei contratti conclusi dai consumatori. Compongono tale regime gli articoli 17, 18 e 19 della citata disposizione, rispettivamente, il primo disciplina le condizioni di ammissibilità per l’applicazione del secondo che, a sua volta, individua, distinguendo sulla base di una logica protettiva, i giudici competenti alla risoluzione della controversia insorta tra due particolari soggetti: la “controparte” e il “consumatore”; l’articolo 19, infine, pone la possibilità di derogare al regime attraverso la stesura di una convenzione e detta le condizioni alle quali essa possa essere reputata come valida.
Nello specifico l’articolo 18 distingue a seconda che ad agire sia il primo dei due soggetti o il secondo: se da un lato, l’”l’altra parte del contratto” agisce “contro il consumatore” questi potrà esperire tale azione “solo davanti alle autorità giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore”; dall’altro, il “consumatore” potrà esperire la propria azione non solo “davanti alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui è domiciliata” l’altra “parte”, ma anche, “indipendentemente” dal suo domicilio, di fronte alle “autorità giurisdizionali del luogo in cui è domiciliato” egli stesso. La logica a cui obbedisce tale bipartizione sembra ovviamente protettiva: conscio della posizione tipicamente “debole” in cui si trova il consumatore, il legislatore europeo, decide di controbilanciare le posizioni di potere permettendo a quest’ultimo di trovare tutela attraverso un giudice che gli è prossimo e le cui procedure sono, dalla parte debole, conoscibili; al tempo stesso permettendo di adire alternativamente il giudice competente nello Stato membro di domicilio della controparte o quello competente nello Stato membro di domicilio del consumatore stesso, si pone nelle mani di quest’ultimo una duplice opportunità difensiva, ampliando gli ordinamenti da cui poter attingere una tutela ai suoi interessi giuridicamente qualificati più conforme.
Contemporaneamente la disciplina della electio fori e quindi la delineazione di una convenzione inter partes, derogando come poc’anzi definito alle menzionate disposizioni, diviene ammissibile, ai sensi dell’articolo 19 già richiamato, a patto che: questa sia “posteriore al sorgere della controversia”, questa “consenta al consumatore di adire un’autorità giurisdizionale diversa da quelle indicate” dagli articoli precedenti e che, se il consumatore e la controparte siano entrambi domiciliati o residenti abitualmente nel medesimo Stato membro, questa “conferisca la competenza alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro, sempre che la legge di quest’ultimo non vieti siffatte convenzioni”.

2.Segue Le condizioni di applicabilità ai sensi dell’art. 17 del Regolamento (UE) 1215/2012


L’articolo 17 del regolamento (UE) n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) definisce a che condizioni il regime si applica, in particolare, “fatto salvo quanto previsto dall’articolo 6 e dall’articolo 7 punto 5”, disciplinanti, rispettivamente, il caso in cui il convenuto non sia “domiciliato in uno Stato membro”, e la disciplina in materia di “esercizio di una succursale, di un’agenzia o di qualsiasi altra sede d’attività”, per “contratti conclusi da una persona, il consumatore, per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività professionale” (prima condizione necessaria ma non sufficiente), qualora si tratti di “una vendita a rate di beni mobili materiali”, “un prestito con rimborso rateizzato o di un’altra operazione di credito, connessi con il finanziamento di una vendita di tali beni” oppure, negli altri casi, “qualora il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali si svolgono nello Stato membro in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato membro o verso una pluralità di Stati che comprende tale Stato membro, purché il contratto rientri nell’ambito di dette attività” (alternativamente la seconda condizione necessaria).
Escludendo al punto 3 l’applicabilità ai “contratti di trasporto che non prevedono prestazioni combinate di trasposto e di alloggio per un prezzo globale”, emergono taluni quesiti di fondo che interessano l’intera disposizione. In primis e alla luce dello sviluppo del commercio online, entra in crisi il criterio di direzione dell’attività del professionista verso Paesi che possano definirsi determinati. Con la sentenza Pammer (C-585/08 e C-144/09), infatti, la Corte comincia ad escludere taluni “indizi” che possano essere intesi come cruciali per l’identificazione del luogo a cui il soggetto indirizzi la propria professione, ponendo la necessità di ricercare “indizi anteriori alla conclusione del contratto di cui si discute”.
Peraltro, nulla dice l’articolo su cosa siano le vendite a rate di beni mobili materiali o i prestiti con rimborso rateizzato o di un’altra operazione di credito, e se tali nozioni vadano intese in senso autonomo o basandosi sui diritti nazionali che costellano l’Unione Europea a cui il regolamento si riferisce.
E ancora, cosa avvenga se la controparte contrattuale ponga in dubbio che la persona rivendicante tale qualità sia effettivamente un consumatore sulla base di comportamenti idonei a generare, nella prima, l’impressione che ella agisca a fini professionali.

3. Segue La sentenza JA contro Wurth Automotive GmbH (C-177/22)


Su tale problema si fonda il rinvio pregiudiziale posto, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Landesgericht Salzburg (Tribunale del Land, Salisburgo, Austria) in occasione della controversia tra JA, cittadina austriaca, e Wurth Automotive GmbH, società tedesca, vertente sulla competenza dei giudici austriaci a statuire sul risarcimento per vizi occulti di un’automobile oggetto di un contratto di vendita. La prima, ricorrente nel procedimento principale, affermava, sulla base dell’articolo 17 par. 1 lett. c del Regolamento (UE) 1215/2012 (Bruxelles I-bis), la giurisdizione dei giudici del Bezirksgericht Salzsburg (Tribunale circoscrizionale, Salisburgo, Austria) in quanto consumatrice e sulla base del fatto che la società convenuta indirizzasse la propria attività verso l’Austria. Quest’ultima eccepiva la competenza dei giudici aditi asserendo di trattarsi di un contratto tra professionisti così come menzionato all’interno delle “clausole speciali” del suddetto, dal fatto che per la ricorrente interveniva, nello svolgimento dei rapporti con la società, un concessionario di automobili, come tale, un professionista, e ancora dalla vendita del bene oggetto del contratto poco dopo la sua conclusione con l’eventuale realizzazione di un profitto.
I giudici austriaci si reputano così internazionalmente incompetenti, riconoscendo che la ricorrente pur non essendo imprenditrice avesse generato nella convenuta l’impressione di agire come un professionista e quindi la convinzione di poter stipulare un accordo tra professionisti. JA appella presso il giudice del rinvio che, affermando fosse pacifico che l’attività della società s’indirizzasse verso il paese di riferimento, sospende il processo chiedendo alla Corte di Giustizia, in sostanza:

  • se l’articolo 17 par. 1 del regolamento n. 1215/2012 potesse essere interpretato nel senso che qualificare una persona come consumatore occorra tenere conto delle “finalità attuali o future perseguite mediante la conclusione di tale contratto, e della natura, autonoma o subordinata, dell’attività esercitata da tale persona”;
  • se l’articolo 17 par. 1 del regolamento n. 1215/2012 potesse essere interpretato nel senso che per qualificare un consumatore si possa tenere conto dell’”impressione creata, nella sua controparte contrattuale, dal comportamento di tale persona”;
  • se l’articolo 17 par. 1 del regolamento n. 1215/2012 potesse essere interpretato nel senso che qualora un giudice nazionale non potesse acclarare in modo giuridicamente adeguato talune circostanze che si accompagnano alla conclusione del contratto, possa essere “concesso il beneficio del dubbio a favore della persona che invoca la qualità di “consumatore” ai sensi di tale disposto.

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3.1. La prima questione e l’esclusione della situazione soggettiva


Riferendosi alla prima delle tre questioni, la Corte, esclude che ai fini della qualificazione di una persona come “consumatore” il giudice nazionale debba guardare alla natura soggettiva della parte nei confronti di quella determinata operazione economica, ma piuttosto alla “natura e alla finalità” del contratto posto in essere. In altre parole, per la Corte, il giudice nazionale guardando alla natura effettiva del contratto e alle finalità perseguite mediante esso, deve ricavare quel quid che possa giustificare l’eventuale ammissibilità dello status di “consumatore” o meno in capo a una parte che intende rivendicare tale qualifica.
Questo presupposto viene identificato, dal giudice europeo, dalla “professionalità” del contratto, profilo che, per l’appunto, non ne deve, per l’ottenimento dello status di “consumatore”, caratterizzarne né natura né scopo: solo quel contratto concluso “indipendentemente da qualsiasi attività o finalità di natura professionale” avente lo scopo di soddisfare “necessità di consumo privato” è atto idoneo a evidenziare come il soggetto sia un “consumatore”; in caso contrario, ovviamente, tale qualifica viene a mancare.
Peraltro, facendo uno step aggiuntivo, la Corte sottolinea le condizioni alle quali quel soggetto che concluda il contratto per un duplice fine, uno privato e uno professionale, mantenga lo status di “consumatore”. E ciò avviene, secondo la Corte, quando il “collegamento” del contratto sia, rispetto all’”attività professionale” del soggetto, “talmente tenue da divenire marginale”, cioè da rimanere sullo sfondo rispetto all’operazione intesa nella sua complessità. In altre parole, non è a tale attività e mediante essa che la parte svolge quell’operazione, ma semmai tale realtà rappresenta un di più eventuale che potrebbe benissimo venire a mancare senza variare significativamente natura e scopo del contratto.
Inoltre, la Corte evidenzia, come menzionato, come la natura di tale attività professionale sia del tutto irrilevante, il fulcro della lente d’ingrandimento che dev’essere utilizzata dall’autorità giurisdizionale nazionale deve essere posto su quelle due dimensioni rilevanti e oggettive che caratterizzano il rapporto tra la parte e l’operazione economica nel suo complesso.

3.2. La seconda questione e il criterio dell’impressione


Per quanto riguarda la seconda questione, la Corte, pur cercando di promuovere un’interpretazione restrittiva della nozione di “consumatore”, conscia della particolarità costituita, sulla scorta del considerando 18 del Bruxelles I-bis, dal regime dei contratti conclusi da consumatori rispetto tanto alla regola generale di cui all’articolo 4 del suddetto regolamento, quanto delle competenze speciali di cui all’articolo 7, finisce per fornire, per converso, un criterio ulteriore attraverso il quale si amplia la possibilità della persona che rivendica tale status di ottenerlo: l’”impressione” che il proprio comportamento susciti nella controparte. È vero che nel caso di specie ci si chieda se tale criterio sia valido per escludere, non ammettere, la persona che rivendica la qualifica dalla qualifica stessa, ma è anche vero che, appunto, tutte quelle volte in cui tale impressione dovesse orientarsi nel senso conforme allo status di “consumatore” evidentemente tale status dev’essere accertato come esistente.
Ma la Corte fa anche un passo ulteriore, spiega al giudice di rinvio, in particolare, e a tutti i giudici nazionali che compongono il sistema delle autorità giurisdizionali degli Stati membri, quando l’uso di un simile criterio possa essere ammesso ai sensi dell’articolo 17 par. 1 del regolamento n. 1215/2012 e su quali elementi argomentare l’esistenza di un’impressione valida ad escludere o ammettere l’esistenza dello status di “consumatore” rispetto che a quello di “professionista”.
Bisogna, secondo la Corte, volgere lo sguardo prima al fascicolo e capire se dallo stesso emergano o meno “elementi di prova risultanti oggettivamente” da esso, sufficienti a poter far accertare già solo sulla base di essi le finalità concretamente ricercate dalla parte attraverso quel determinato contratto, e in particolare se questo possa, o meno, confermando quanto statuito in ragione della prima questione, far evincere un “uso professionale” che consenta di escludere la qualifica di consumatore della parte.
Solo quando “tali elementi non siano sufficienti” è ammesso il richiamo al “comportamento” che la parte assume nei confronti dell’altra, e all’”impressione” che da tale possa emergere nella controparte, in particolare, se questa possa “legittimamente ignorare la finalità extraprofessionale dell’operazione” e cioè presumere di star trattando e concludendo, un contratto non con un consumatore ma con un professionista. Se a scattare è questo secondo livello, la Corte sottolinea come il giudice nazionale ben possa sfruttare agli scopi d’accertamento dello status vari comportamenti: nel caso di specie il giudice austriaco, secondo la Corte, può fondare la sua cognizione su indizi quali l’inerzia della parte nei confronti della clausola speciale con la quale si qualificava il rapporto come tra professionisti, oppure sulla presenza di un intermediario, o ancora la vendita dell’oggetto del contratto, poco dopo la conclusione dello stesso, per l’ottenimento di un profitto.
Quello dell’impressione è quindi un criterio che la Corte ammette, per la prima volta, nell’interpretazione del sistema di Bruxelles I-bis, valido, potenzialmente, per certi versi ad attuarsi all’interpretazione anche di altre disposizioni, quali per esempio l’art. 2 punto 1 della direttiva 2011/83 sui diritti dei consumatori, che rappresenta la base da cui trarre la definizione del termine “consumatore” valida, per comune appartenenza all’ordinamento europeo, a imporsi anche nel regime in esame.

3.3. La terza questione e il rinvio alla legislazione nazionale


La Corte, infine, sottolinea, per quanto attiene all’ultima questione riportata, come il sistema del regolamento (UE) n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) sia una dimensione attraverso la quale l’operatore del diritto e i vari operatori economici che caratterizzano il mercato, possano  al più prevedere quale sia il giudice competente alla risoluzione della controversia di cui s’intende, ipoteticamente, dibattere; ma anche una realtà che fornisce le regole di reciproco riconoscimento e attuazione delle decisioni fra Stati.
Non s’intende, dunque, con esso, afferma la Corte, “uniformare il diritto processuale degli Stati membri” ma cercare di adempiere agli scopi menzionati informati di valori prestabiliti e presenti nella coscienza del legislatore europeo al momento della stesura del regolamento Bruxelles I-bis; se questo è l’intento, la scelta del giudice europeo di rinviare alla legislazione nazionale, appare come una scelta sensibilmente obbligata: la pretesa di interpretare la disposizione per colmare l’inadeguatezza giuridica dell’impianto probatorio attraverso il quale stabilire la sussistenza o meno dello status di consumatore in capo a una parte, non può essere soddisfatta se non attraverso un richiamo alla dimensione interna.
In altre parole, il giudice nazionale deve servirsi del proprio ordinamento processuale e alla luce di esso, e dei criteri che lo compongono, statuire in merito agli elementi probatori e ai principi, tra i quali anche il “beneficio del dubbio” a favore della persona che rivendica la qualifica di “consumatore” quando l’analisi delle “circostanze oggettive del fascicolo” non siano tali da “dimostrare in modo adeguato che l’operazione” perseguisse finalità professionali o meno, che caratterizzano il caso di specie.

4. Rilievi conclusivi


Le considerazioni della Corte sull’interpretazione di una disposizione, quale l’articolo 17 par. 1 del regolamento (UE) 1215/2012 (Bruxelles I-bis), del regime in materia di contratti conclusi da consumatori, finiscono per innovare e approfondire la giurisprudenza del giudice europeo sul punto. Quello della sentenza JA contro Wurth Automotive GmbH (C-177/22) è il passo più recente con il quale la Corte, come menzionato, precisa una nozione rilevante dell’ordinamento europeo e degli ordinamenti nazionali presi singolarmente: porre un metodo attraverso il quale definire la natura dello status di “consumatore” e dare rilevanza all’”impressione” generata nei confronti della controparte, rappresentano due tentativi ulteriori attraverso i quali il giudice europeo equilibra le posizioni tra parte debole e parte forte.
Ammettere il criterio dell’”impressione” singolarmente è vero consenta potenzialmente alla parte forte che, ravvisando comportamenti professionali, possa argomentare dubitando sulla reale esistenza dello status di “consumatore” in capo alla parte debole, ma appare altresì chiaro come la Corte finisca in ogni caso per tutelare quest’ultima: da un lato, perché subordina il riferimento a tale criterio solo in mancanza di elementi di prova risultanti oggettivamente dal contratto sufficienti ad accertare la natura di “consumatore” o di “professionista” della parte; e dall’altro, perché richiede al giudice un esame di tutta una serie di comportamenti che possano univocamente affermare la natura “professionale” della parte debole.
Semmai un potenziale vulnus della sentenza, che però la Corte non poteva evitare, può essere rappresentato dalla delega alla legislazione nazionale del giudice per poter statuire circa tali comportamenti ed elementi probatori, generando all’interno dell’ambito del mercato unico europeo una disparità sostanziale tra le decisioni che su tale eterogeneità di criteri si va a fondare e, ragionando in extremis, potenzialmente ledendo le posizioni giuridiche soggettive dei vari operatori di tale realtà.

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