Rapporto di servizio e responsabilità amministrativa

Paola Marino 25/05/23

L’articolo dà conto dell’evoluzione normativo-giurisprudenziale concernente il rapporto di servizio, riscontrabile ogni qualvolta una persona fisica o giuridica venga inserita, a qualsiasi titolo, nell’apparato organizzativo pubblico e venga investita, sia autoritativamente che convenzionalmente, dello svolgimento, in modo continuativo, di un’attività retta da regole proprie dell’azione amministrativa, così da essere partecipe dell’attività della pubblica amministrazione.
La riscontrata sussistenza di tale rapporto fa sì che, nel caso in cui tale persona abbia procurato un danno economico alla pubblica amministrazione, sia configurabile a suo carico la responsabilità erariale, con conseguente devoluzione della cognizione della questione alla giurisdizione della Corte dei Conti.
Volume per l’approfondimento: Il Testo Unico del Pubblico Impiego commentato

Indice

1. I rapporti rilevanti ai fini della responsabilità erariale: di dipendenza tout court, organico e di servizio


 Ai sensi dell’art. 103, comma 2, Cost. “la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre stabilite dalla legge”.
In base all’art. 52 del R.D. 1214/1934, che definisce la nozione di dipendente pubblico sottoposto alla giurisdizione contabile, i funzionari impiegati e agenti, civili e militari, compresi quelli dell’ordine giudiziario, quelli retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni statali a ordinamento autonomo, che nell’esercizio della loro funzioni, per azione od omissione, imputabili anche a sola colpa o negligenza, cagionino un danno allo Stato e ad altra amministrazione dalla quale dipendono, sono sottoposti alla giurisdizione della Corte nei casi e nei modi previsti dalla legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi speciali. La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili parte del danno accertato o del valore perduto.
Indici normativi di analogo tenore sono rappresentati dall’art. 2 l. 658/1984, richiamata dall’articolo 1 della l. 19/1994.
Dall’intreccio sistematico di queste norme deriva che in tanto si può imputare a un soggetto la responsabilità amministrativa, ove si riscontri la sussistenza di una relazione qualificata tra amministrazione danneggiata e responsabile del fatto dannoso.
Sull’interazione sistematica delle predette norme, in un primo momento, si concentrò l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza, per derivarne la nozione di rapporto organico, ritenendo configurabile la responsabilità amministrativa dei soli dipendenti intranei alla p.a.
L’art. 103 Cost. ha attribuito, in generale, alla Corte dei Conti la giurisdizione in materia di contabilità pubblica, comprensiva dei giudizi di conto e di quelli sulla responsabilità amministrativa e patrimoniale, di pubblici dipendenti e amministratori, ma la Corte Costituzionale, sin dalla sentenza 102/1997, ritenne necessaria l’interpositio legislatoris, al fine di individuare specificamente le materie assoggettate alla giurisdizione della Corte dei Conti.
La successiva evoluzione giurisprudenziale ha portato a espandere il concetto di rapporto organico, attraverso un processo di assimilazione.
Pertanto, si è ritenuta sussistente la giurisdizione contabile, quando la controversia riguardasse un danno al patrimonio pubblico inferto da un soggetto (persona fisica o giuridica) che, pur non essendo dipendente di alcuna pubblica amministrazione, operasse per essa in virtù di vincoli giuridici, consistenti in un legame di stabile dipendenza e incardinamento organico, o, nel caso in cui gestisse finanza pubblica, fosse da ricomprendere nella nozione di agente di conto.
Nella successiva evoluzione, la giurisprudenza ha concepito e sviluppato il concetto di rapporto di servizio: tale rapporto sussiste ogni qualvolta una persona fisica o giuridica venga inserita, a qualsiasi titolo, nell’apparato organizzativo pubblico e venga investita, sia autoritativamente che convenzionalmente, dello svolgimento in modo continuativo di un’attività retta da regole proprie dell’azione amministrativa, così da essere partecipe dell’attività della pubblica amministrazione.
Da tanto deriva che, per instaurare un giudizio di responsabilità amministrativa, non è necessario un rapporto d’impiego, essendo sufficiente la compartecipazione del soggetto all’attività dell’amministrazione pubblica ed essendo irrilevante che tale soggetto sia persona fisica o giuridica, pubblica o privata.
A questi fini non rileva neppure la natura giuridica dell’atto di investitura (SU, n. 5756/2012).
Il rapporto di servizio presuppone, quindi, una relazione funzionale, che implichi la partecipazione del soggetto alla gestione di risorse pubbliche e il suo conseguente assoggettamento a vincoli e obblighi volti ad assicurare la corretta gestione di tali beni (SU, n. 1472/2003).

2. Il rapporto di servizio


La nozione di rapporto di servizio ha conosciuto essa stessa un’evoluzione giurisprudenziale.
Nei primi tempi, è stata intesa in senso restrittivo: nel senso che erano escluse dal suo ambito le prestazioni saltuarie rese da soggetto esterno all’amministrazione.
Successivamente, la nozione di rapporto di servizio si è ampliata, per cui l’inserimento di un soggetto esterno, in relazione funzionale e non organica, nell’iter procedimentale dell’ente pubblico, si è ritenuto integrasse il requisito del rapporto di servizio, a prescindere dalla natura privatistica dell’ente ovvero dello strumento contrattuale, con il quale tale rapporto sia sorto.
La Giurisprudenza di Legittimità ha rinvenuto, ad esempio, tale rapporto nel caso in cui la pubblica amministrazione abbia affidato in appalto l’esecuzione di un’opera pubblica, con specifico riferimento al direttore dei lavori e al collaudatore, senza che rilevi, in contrario, la circostanza che le relative funzioni siano state affidate a privati estranei agli uffici tecnici dell’ente stesso, poiché costoro devono ritenersi funzionalmente e temporalmente inseriti nel suo apparato organizzativo (SU, n. 6022/2016).
In base all’art. 1, comma 4, l. 20/1994, la Corte dei Conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato da amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, per i fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della predetta legge.
Sulla scorta di questo dato normativo, la Corte dei Conti ha ritenuto sussistere la responsabilità, per danno erariale, dei componenti le commissioni mediche, incaricate di accertare il grado di invalidità civile, nei confronti del Ministero dell’Interno.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno, inoltre, riconosciuto sussistere il rapporto di servizio tra un ente pubblico (Inpdap) e la società privata incaricata di gestire gli interventi manutentivi del patrimonio dell’ente, sulla scorta della considerazione che la predetta società stesse compiendo funzioni istituzionalmente spettanti all’ente pubblico (Sezioni Unite, n. 15599/2009).
Successivamente, si è assistito a un progressivo ampliamento del novero dei soggetti in capo ai quali ascrivere la responsabilità amministrativa: l’albergatore, che incassa per conto del Comune l’imposta di soggiorno e poi non la riversa alle casse dell’ente; il professionista, che svolga per conto dell’ente pubblico perizia su attività indispensabile all’ottenimento di fondi pubblici; coloro che, ricevuto un finanziamento dalla pubblica amministrazione erogatrice, dispongano della somma così ottenuta in modo diverso da quello per cui è stata stanziata; i medici e i farmacisti, collusi con i fornitori medici, per la redazione di ricette false; il presidente di una ONLUS costituita per erogare prestazioni assistenziali nei confronti di disabili, che utilizzi i contributi corrisposti da una Asl per fini diversi dallo scopo perseguito (fini appropriativi), non coincidenti con gli interessi istituzionali dell’ente; il concessionario, che agisce in regime di accreditamento in materia di assistenza sanitaria pubblica, il quale, benché estraneo all’ente, sia investito, anche di fatto, di una determinata attività a favore dello stesso in modo continuativo; il soggetto privato, che, avendo percepito fondi pubblici, ne disponga in modo diverso da quello programmato.


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3. Una figura controversa: il direttore dei lavori negli appalti pubblici


In alcuni casi, si è ritenuto che sussistesse una relazione funzionale tra direttore dei lavori e pubblica amministrazione, in ragione del suo inserimento nell’apparato dell’ente e con riferimento all’attività concretamente svolta, mentre, in altri casi, lo si è ritenuto persino privo di poteri autoritativi: per esempio, il direttore dei lavori, nominato dal contraente generale, non può ritenersi funzionalmente inserito nell’apparato amministrativo della stazione appaltante, con relativa insussistenza del rapporto di servizio.
Tuttavia, proprio la figura del direttore dei lavori, quale soggetto legato da un rapporto funzionale all’ente pubblico (quindi suscettibile di essere condannato per responsabilità erariale), nel caso in cui lo stesso fosse da ritenersi stabilmente inserito nell’apparato dell’ente, ha fatto sì che, con un ragionamento a contrario, la Corte di Cassazione escludesse la responsabilità amministrativa in capo al progettista di un’opera pubblica, proprio in quanto lo stesso non rivestiva la funzione di direttore dei lavori.
A questo riguardo, rileva la causa petendi e cioè il contenuto della domanda da proporre al giudice: quando, infatti, si fanno valere carenze in sede di progettazione o violazioni del regolamento negoziale tra le parti, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario.
La complessità del discorso si coglie pienamente facendo riferimento alla pronuncia n. 16240 del 2014, con cui le Sezioni Unite hanno statuito che, per i danni subiti dall’Anas s.p.a., a causa dell’indebito riconoscimento di riserve nella procedura di accordo bonario, sussistesse la giurisdizione della Corte dei Conti verso gli organi e i dipendenti dell’Anas, attesa la sua natura pubblicistica, e verso i componenti della commissione di collaudo, attesa la relazione funzionale che li lega all’ente pubblico appaltante.
Tale giurisdizione è invece esclusa con riferimento ai componenti della commissione di accordo bonario (in quanto la funzione conciliativa è estranea all’ente pubblico) e con riferimento al contraente generale, perché l’iscrizione delle riserve ha natura contrattuale; è, infine, esclusa con riferimento al direttore dei lavori, visto che, nel caso di specie, costui opera per conto del contraente generale e non come agente pubblico.
Da tanto deriva che uno stesso soggetto, il direttore dei lavori, può essere considerato in relazione funzionale o meno con l’ente pubblico, a seconda del tipo di relazione in concreto intrattenuta con lo stesso o del contenuto della domanda innanzi al giudice fornito di giurisdizione.
La Corte di legittimità ha, in altre pronunce, precisato che la controversia appartiene al giudice contabile tutte le volte in cui il professionista debba ritenersi inserito in modo continuativo, ancorché temporaneo, nell’apparato organizzativo della P.A., assumendo particolari vincoli e obblighi funzionali volti ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali e, cioè, tutte le volte in cui la relazione tra l’autore dell’illecito e l’ente pubblico danneggiato integri un rapporto di servizio in senso lato.
Altrettanto pacifica è da ritenersi la sindacabilità, da parte della Corte dei Conti, della condotta del soggetto, che abbia svolto contemporaneamente le funzioni di progettista e direttore dei lavori, allorché il danno venga prospettato quale conseguenza della complessiva attività svolta: in tali casi, infatti, la progettazione costituisce un elemento prodromico alla successiva attività di direzione dei lavori e non può ritenersi ammessa la scissione delle giurisdizioni (contabile e ordinaria) (Corte dei conti, Sez. giurisdizionale, Regione Friuli Venezia Giulia, n. 20/2017; Corte dei conti, Sez. giurisdizionale, Regione Lombardia, n. 71/2008).
Al contrario, nelle controversie risarcitorie proposte dall’Amministrazione appaltante contro il professionista, che abbia svolto l’incarico di progettista e di direttore dei lavori per l’esecuzione di un’opera pubblica, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando, nella prospettazione della domanda, la parte ne abbia dedotto la responsabilità non nella qualità di direttore dei lavori, ma in quella di progettista per gli errori e le carenze progettuali allo stesso imputabili, stante la piena indipendenza e autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa che, anche per gli stessi fatti, compete alla Procura generale della Corte dei conti per il danno erariale subito dalla stazione appaltante (Cass., SS.UU., n. 365/2011)

4. La nota questione dei derivati


Infine, sempre valorizzando il petitum sostanziale, la Corte dei Conti del Lazio, n. 346 nel 2018, ha escluso che sussistesse il rapporto di servizio tra una banca, in qualità di advisor, e il Ministero dell’economia e delle finanze con riferimento ad operazioni in materia di derivati, poiché nella specie veniva in rilievo un rapporto contrattuale tout court.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 2157/2021, hanno chiarito che difetta, nella relazione fra banca d’affari e MEF, il rapporto di servizio, il quale sussiste solamente nei confronti dei “dipendenti” e “funzionari” dello Stato; di conseguenza, viene confermato il difetto di giurisdizione del giudice contabile nei confronti della banca d’affari, mero consulente, già statuito in primo ed in secondo grado.
Effetto riflesso e contrario di questa statuizione è che, in base ai principi generali, sussiste pur sempre una responsabilità contrattuale della banca d’affari per violazione delle regole del mandato alla stessa conferito.
Il privato può essere assoggettato alla giurisdizione del giudice contabile, a condizione che allo stesso sia attribuita effettivamente un’attività o un servizio, nell’interesse e con risorse della pubblica amministrazione, in luogo di questa.
In queste ipotesi, tuttavia, la pubblica amministrazione dovrebbe essere totalmente estranea all’operare del privato, in quanto questo opererebbe con spogliazione totale del ruolo della p.a.
Invece, nell’operazione dei derivati tra la banca e il Mef, quest’ultimo aveva mantenuto un ruolo attivo, senza delega a terzi ad agire in sua vece.

5. Il rapporto tra società ed ente socio-partecipante ai fini della responsabilità erariale


L’articolo 12 d.lgs. 175/2016 rappresenta la sintesi dell’evoluzione giurisprudenziale in tema di danno erariale sofferto dagli enti, che possiedono partecipazioni in società pubbliche.
Infatti, al primo comma della norma in esame, viene sottolineata la sussistenza  della giurisdizione del giudice contabile per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti della società in house, visto che la stessa, svolgendo oltre l’80% della sua attività nello svolgimento dei compiti alla medesima affidati dall’amministrazione controllante, può considerarsi longa manus dell’ente, che esercita sulla stessa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, mentre, al secondo comma, viene definito danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o, comunque, dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano, con dolo o colpa grave, pregiudicato il valore della partecipazione.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l’ordinanza 614/2021, ha esaminato tutti i requisiti necessari per la qualificazione della partecipata come società in house providing, affinché l’azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo, per i danni cagionati al patrimonio della società, spetti alla Corte dei Conti.
Più in generale, in tema di società di capitali partecipate da enti pubblici, sussiste l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità: tranne che per le società in house e le società c.d. legali (quelle, cioè, attraverso le quali l’ente pubblico svolge un’attività amministrativa in forma privatistica), il danno subìto dalla società a causa della mala gestio degli amministratori o dei componenti dell’organo di controllo non è qualificabile come danno erariale.
Non è esclusa la possibilità di un concorso tra la giurisdizione ordinaria e quella contabile, in quanto, laddove sia prospettato sia un danno erariale che un danno arrecato alla società – oltre ad una semplice interferenza fra i due giudizi – deve ritenersi ammissibile la proposizione, per gli stessi fatti, di un giudizio civile e di un giudizio contabile risarcitorio.
Lo stesso art. 12 d.lgs. n. 175 del 2016 ribadisce l’assoggettamento degli organi di amministrazione e controllo delle società a partecipazione pubblica alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, facendo però salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house.
Considerato che le due giurisdizioni sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, e tenuto altresì conto della tendenziale diversità di oggetto e di funzione tra i relativi giudizi, il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività e non di esclusività.
Ciò non dà quindi luogo a questioni di giurisdizione ma, eventualmente, di proponibilità della domanda, con divieto di duplicazione del risarcimento, di cui ciascuno dei Giudici deve tener conto, nella liquidazione, decurtando il quantum risarcitorio di quanto eventualmente già riconosciuto dall’altro.

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