Traffico di influenze e millantato credito: c’è continuità?

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Il traffico di influenze illecite per la remunerazione del pubblico agente: sussiste continuità normativa con l’abrogato delitto di millantato credito?

Indice

1. Continuità normativa


Fermo un primo inquadramento e confronto tra il delitto, ormai abrogato, di millantato credito ex art. 346 c.p., ed il delitto attualmente in vigore, di traffico di influenze illecite ex art. 346 bis c.p., il presente contributo intende valutare se, tra le due fattispecie sopra menzionate, sussista o meno continuità normativa.
Come noto, la sussistenza di una continuità normativa tra una norma precedente, poi abrogata, ed altra successivamente inserita, implica che la seconda norma continua di fatto a ricomprendere la condotta penalmente sanzionata dalla norma abrogata, sicché il soggetto che ha commesso i fatti prima dell’abrogazione della prima disposizione, è ancora punibile, anche se ai sensi dell’art. 2, comma. 4, c.p. mediante applicazione della legge più favorevole salvo il limite del giudicato. Infatti, in tal caso, posto che anche la nuova fattispecie sanziona la condotta punita dalla precedente, non risulta violato l’art. 2 comma 2 c.p., a mente del quale, nessuno può essere punito per un fatto che, per effetto di una legge posteriore, non costituisce più reato e, laddove sia intervenuta una condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.  
Come si vedrà, l’aspetto che lascia spazio a dubbi circa un’eventuale continuità normativa tra il millantato credito ed il traffico di influenze illecite, concerne solo una delle due tipologie di condotta tipizzata da entrambe le norme, ovvero il comportamento di chi, millantando relazioni con un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, si faccia dare o promettere denaro o altra utilità per la remunerazione di quest’ultimo (v. meglio infra). La questione rimane attualmente aperta, risultando presenti due correnti giurisprudenziali di fatto quasi sovrapponibili temporalmente.

2. Inquadramento generale e confronto strutturale tra le due fattispecie delittuose


Il delitto di millantato credito, in buona sostanza, sanzionava il soggetto che, vantando relazioni solo asseritamente esistenti con un pubblico ufficiale o con un pubblico impiegato che prestava un pubblico servizio, riceveva o faceva dare o promettere (a sé o ad altri) da taluno denaro o altra utilità, ora come prezzo della propria mediazione verso il pubblico agente, ora, con il pretesto di doverne comprare il favore o di remunerarlo. Il privato che dava o prometteva denaro o altra utilità, non era sanzionato dalla norma in esame, poiché concepito come vittima di un raggiro.
La L. n. 190/2012 (c.d. Legge Severino), introduceva poi il delitto di cui all’articolo 346 bis c.p., attualmente in vigore, ed anche noto come ‘traffico di influenze illecite’. Al tempo della Legge Severino, tale delitto sanzionava – a dispetto del millantato credito – il soggetto che – fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 c.p. e 319 ter c.p. – vantando relazioni effettivamente esistenti con un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, faceva indebitamente dare o promettere (a sé o ad altri) denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico agente, ovvero per remunerarlo affinché quest’ultimo omettesse o ritardasse un atto d’ufficio o portasse a compimento un atto contrario ai doveri d’ufficio. L’inserimento di tale disposizione si giustificava in quanto gli episodi spesso prodromici al fenomeno corruttivo – da bloccare – si riscontravano maggiormente in tutti quei casi in cui la relazione tra il soggetto che fa dare o promettere e il pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio risultava effettivamente esistente.
Successivamente, la L. 9 gennaio 2019 n. 3 (c.d. Legge Spazzacorrotti) – art. 1 co. 1 lett. s) – abrogava il millantato credito, ed interveniva sul traffico di influenze illecite, tra le altre modifiche, dando rilievo anche alla condotta del soggetto che semplicemente millanti relazioni con un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio – al pari del millantato credito – e non solo che agisca vantando relazioni effettivamente esistenti con i medesimi.
Più precisamente, questa l’attuale formulazione del delitto di cui all’articolo 346 bis c.p.:
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319 ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322 bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.
La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità.
La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.
Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie, o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.
Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita”.
Dunque, a partire dall’entrata in vigore della Legge Spazzacorrotti, il traffico di influenze illecite così come da ultimo modificato, sanziona il soggetto che fa dare o promettere denaro o altra utilità (per sé o per altri), da un lato come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (c.d. mediazione onerosa), dall’altro, per remunerare questi ultimi (c.d. mediazione gratuita)[1]. E ciò sia quando la relazione con l’organo della Pubblica Amministrazione esista effettivamente, sia quando sia solo millantata.


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3. Eventuale sussistenza di una continuità normativa


Ebbene: ad oggi, che ne è dei soggetti che, millantando relazioni con un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, si sono fatti dare o promettere denaro o altra utilità, prima dell’entrata in vigore della L. 9 gennaio 2019 n. 3 come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico agente o con il pretesto di remunerarlo?
Quanto alla condotta del mediatore che si faccia dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita, non si sono mai posti dubbi, la continuità normativa tra il 346 (co. 1) c.p. e il 346 bis c.p., sussiste, essendo la condotta prevista dalla vecchia norma perfettamente coincidente con quella presente nella nuova.
Più problematico è invece il caso di chi abbia agito con il pretesto di remunerare il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio prima dell’entrata in vigore della Legge Spazzacorrotti, ma si trovi ad essere giudicato successivamente alla sua entrata in vigore (naturalmente, in ipotesi di prescrizione non maturata). Riconoscere o meno la presenza di una continuità normativa è un aspetto tutto fuorché teorico. Infatti, laddove vi sia continuità, per i fatti posti in essere prima della L. 9 gennaio 2019 n. 3, l’autore della condotta penale rimane sanzionabile a tutti gli effetti, anche se, formalmente ai sensi dell’articolo 346 bis in luogo del 346 c.p.
Dall’altro lato, invece, ritenere insussistente la continuità normativa tra le due fattispecie fa sì che, per i fatti posti in essere prima della Legge Spazzacorrotti, l’autore della condotta non risulti più sanzionabile, così come previsto dall’articolo 2 comma 2 c.p., travalicando ciò anche il limite del giudicato in caso di condanna definitiva – anche se, occorre altresì precisare che, come si vedrà, chi sostiene l’insussistenza della continuità normativa tra il delitto di cui all’articolo 346 co. 2 c.p. e quello di cui all’articolo 346 bis, ritiene che la condotta possa integrare un’ipotesi di truffa ex art. 640 c.p.
Si registrano allo stato due diverse correnti giurisprudenziali, una che ritiene inesistente una continuità normativa tra il millantato credito ex art. 346 co. 2 c.p. ed il traffico di influenze illecite ex art. 346 bis co. 1 c.p. ed altra, opposta.

  • La giurisprudenza che non considera esistere una continuità normativa tra il millantato credito ed il traffico di influenze illecito nella forma della mediazione gratuita da rilievo alla mancata trasposizione del termine ‘pretesto’ di cui all’articolo 346 co. 2 c.p., nell’articolo 346 bis co. 1 c.p. L’esplicito richiamo ad un pretesto nell’ipotesi del millantato credito rappresenterebbe, secondo tale filone, un atteggiamento di tipo raggirante nei confronti del privato da parte del soggetto che agisce facendo dare o promettere denaro o altra utilità a sé o ad altri, richiamo assente – volutamente – nel delitto di traffico di influenze illecite. Dunque, chi opta per tale scelta interpretativa ritiene che, laddove un soggetto abbia agito facendosi dare o promettere denaro o altra utilità col pretesto di remunerare il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, prima della L. 9 gennaio 2019 n. 3, ad oggi, non debba più essere punito, quantomeno non ai sensi dell’articolo 346 bis c.p. Letta in questi termini, infatti, si commetterebbe una violazione, in primo luogo, dell’art. 2 comma 2 c.p., e, in secondo luogo, anche del divieto di analogia in malam partem, sancito dall’articolo 14 delle Preleggi, in quanto si andrebbe a punire un soggetto per un fatto non più penalmente rilevante, interpretando estensivamente la nuova norma introdotta, in sfavore del reo. Tuttavia, chi esclude la continuità normativa tra gli articoli 346 co. 2 c.p. e 346 bis c.p., ritiene – proprio alla luce dell’interpretazione che viene fatta del termine ‘pretesto’ – che la condotta possa integrare una truffa ex art. 640 co. 1 c.p. Laddove poi non ne ricorressero tutti i presupposti – o se difettasse ormai la condizione di procedibilità in relazione a tale fattispecie – l’autore della condotta non potrebbe più essere sanzionato in alcun modo[2].
  • Altra corrente, invece, non da alcun peso alla mancata trasposizione del termine ‘pretesto’ nel delitto di traffico di influenze illecite, ritenendo perfettamente coincidenti le due condotte, esattamente come nel caso della mediazione illecita (onerosa)[3].

Ad oggi, il contrasto non è stato risolto. Non resta dunque che vedere come si pronuncerà il Giudice nella prossima occasione. La questione, peraltro, potrebbe anche essere rimessa alle SS.UU. in modo da chiarire i dubbi una volta per tutte. Il tema potrebbe riaprirsi anche considerata l’attenzione attualmente presente sul delitto di traffico di influenze illecite, soggetto ad una proposta di modifica – Proposta di legge Pittalis (AC 645)[4]. Quest’ultima, vorrebbe modificare l’articolo in modo da sopperire ad un deficit di determinatezza della norma penale in entrambe le forme di mediazione sopra richiamate, con particolare riguardo alla c.d. mediazione onerosa. Tale modifica non sembrerebbe comunque impattare sul dubbio relativo alla continuità normativa con il millantato credito in relazione alla mediazione gratuita.

Volume consigliato

  1. [1]

    Come si nota dalla lettura dell’attuale formulazione dell’articolo 346 bis c.p., con la Legge Spazzacorrotti, peraltro, è richiesto che la mediazione onerosa o gratuita siano effettuate perché il pubblico agente agisca esercitando le proprie funzioni o i propri poteri, mentre il richiamo alla mediazione verso il pubblico agente per il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o un ritardo o un’omissione di un atto d’ufficio, diventa circostanza aggravante. Ancora, non si parla più di “denaro o altro vantaggio patrimoniale”, bensì di “denaro o altra utilità”.

  2. [2]

    Sull’insussistenza della continuità normativa in relazione alla condotta di chi fa dare o promettere denaro o altra utilità (a sé o ad altri) per la remunerazione del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio tra l’articolo 346 co. 2 c.p. e 346 bis c.p., cfr., ex multis Cass., sez. VI, 10 marzo 2022 – 15 giugno 2022, n. 23407; Cass., sez. VI, 2 febbraio 2021 – 22 luglio 2021, n. 28657; Cass., Sez. VI, n. 5521, 18 settembre 2019 – 7 febbraio 2020. Tutte le pronunce richiamate, peraltro, trattano altresì il tema di una possibile integrazione del delitto di cui all’articolo 640 c.p.

  3. [3]

    In tal senso, ex multis: Cass., sez. VI, 26 maggio 2022 – 5 settembre 2022, 32574; Cass., sez. I, 5 maggio 2021 – 17 giugno 2021, n. 23877; Cass., sez. VI, 7 ottobre 2020 – 18 gennaio 2021, n. 1869.

  4. [4]

    Di seguito il testo oggetto della proposta di legge AC 645, come consultabile dal sito:  http://documenti.camera.it/leg19/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2023/03/29/leg.19.bol0085.data20230329.com02.pdf

Veronica De Guzzis

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