La percentuale di perdita di capacità lavorativa specifica non è ancorata automaticamente al corrispondente valore della riduzione della integrità psicofisica, dipendendo la prima dalla tipologia di attività lavorativa svolta antecedentemente al sinistro e dalla incidenza concreta che sulla stessa determina la lesione riportata.
Con la sentenza numero 14241 del 23/05/2023 la III sezione della suprema Corte (Pres. Travaglino – relatore Rubino) chiarisce il rapporto sussistente tra riduzione dell’integrità psicofisica accertata con valutazione medico-legale e perdita della capacità lavorativa specifica, affermando che tra i due valori non vi è automatica dipendenza e che il secondo non può appiattirsi agli esiti del primo.
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1. I fatti di causa e i giudizi di merito
Tizio, in seguito ad un sinistro della strada subiva lesioni fisiche e, segnatamente, la frattura del malleolo. In particolare, Tizio alla guida della propria motocicletta, veniva investito da una autovettura, e in seguito alla caduta subiva la lesione alla caviglia destra.
Tizio agiva in giudizio per ottenere il ristoro dei danni non patrimoniali, e quindi la lesione dell’integrità psicofisica, e patrimoniali subiti, convenendo in giudizio l’assicuratore del danneggiante e il responsabile civile.
In particolare Tizio allegava di aver subito, oltre al danno biologico in senso stretto, quale forma di danno patrimoniale la riduzione della capacità lavorativa specifica, allegando di essere un camionista e che, in seguito alle gravi lesioni riportate alla caviglia, era fortemente compromessa la sua capacità lavorativa.
Il Tribunale, in primo grado, rigettava la domanda ritenendo, sulla scorta della CTU svolta, non compatibili le lesioni subite da Tizio con l’evento infortunistico.
Tizio impugnava la sentenza, e la Corte d’appello, dopo aver rinnovato la CTU, accoglieva la domanda individuando la lesione dell’integrità fisica nella misura del 10% e la compromissione della capacità lavorativa nel 50%. La Corte d’Appello, così, liquidava il danno patrimoniale stimando i futuri guadagni, sulla base dei pregressi, e liquidando il danno nella misura del 50% degli stessi, ritenuti non più realizzabili a causa delle lesioni subite.
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2. Il giudizio in Cassazione
L’assicuratore ricorreva in Cassazione con due motivi, dei quali il primo di interesse per la questione oggi trattata.
L’assicuratore censurava la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c. e dell’art. 137 del codice delle assicurazioni private, evidenziando come da una invalidità permanente contenuta nella misura del 10% non si potesse giungere ad una incapacità lavorativa specifica del 50%.
Secondo l’assicuratore, quindi, il danno alla capacità lavorativa specifica non poteva discostarsi troppo dalla percentuale di invalidità riscontrata.
La Corte rigetta il motivo, richiamando il suo precedente Cass. 19537/2007 a mente del quale “non esiste una automatica correlazione diretta tra percentuale di invalidità e percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica, in quanto il grado di invalidità personale determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza”.
Nel caso specifico, argomenta la Corte, emerge che la lesione dell’integrità fisica stimata è pari al 10%, ma la stessa è dislocata su un distretto anatomico ben preciso, la caviglia, che è di particolare utilità per l’attività lavorativa, quella di camionista, svolta dal danneggiato. Sulla scorta di questo condivisibile ragionamento, e valutate le produzioni documentali in ordine al reddito percepito prima del sinistro e svolta una proiezione sul reddito futuro, quindi, la Corte di merito aveva correttamente riconosciuto il danno patrimoniale in esame nei termini della riduzione pari al 50% della capacità di produrre reddito.
Il ragionamento è lineare e assolutamente condivisibile, se si prende in esame un caso di scuola. L’amputazione del dito per un chitarrista professionista, che seppur stimato come micropermanente dalla medicina legale, determina con ogni probabilità la fine della carriera per il danneggiato, con conseguente diritto al ristoro del relativo danno patrimoniale futuro.
La Corte, quindi conclude l’esame del motivo affermando che La valutazione della misura della perdita della capacità lavorativa specifica costituisce giudizio in fatto, non censurabile in grado di legittimità se adeguatamente motivato, nè costituisce violazione di legge essersi discostati, in eccesso o anche in difetto, nel quantificare il danno da perdita della capacità lavorativa specifica, dalla percentuale di invalidità permanente, in quanto la valutazione della perdita o riduzione della capacità lavorativa specifica deve partire dalla considerazione dei postumi permanenti ma non si esaurisce con essa nè si appiattisce su di essa, dovendo tale considerazione essere integrata dalla valutazione delle caratteristiche del lavoro precedentemente svolto (o delle aspettative lavorative realisticamente apprezzabili, sulla base della formazione del danneggiato e delle esperienze maturate), e della possibile idoneità della invalidità permanente conseguente al sinistro di pregiudicare in concreto la situazione lavorativa preesistente e le prospettive future.
Il ricorso veniva rigettato, e il risarcimento riconosciuto al danneggiato confermato.
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