Condotta di invasione di terreni o edifici: configurabilità

Allegati

Quando è configurabile la condotta di invasione di terreni o edifici.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 633)
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Corte di u003cstrongu003eCassazione -sez. II u003cstrongu003epen.u003c/strongu003eu003c/strongu003e-u003cstrongu003e sentenza n. u003cstrongu003e27041u003c/strongu003eu003c/strongu003e del u003cstrongu003e24-03-2023 u003c/strongu003e

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Indice

1. La questione


La Corte di Appello di Catanzaro riformava in punto di pena una sentenza emessa dal Tribunale di Castrovillari che, a sua volta, aveva condannato gli imputati rispettivamente alla pena di mesi quattro di reclusione e di mesi tre di reclusione, per il reato di cui agli artt. 633 e 639-bis c.p..
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponevano ricorso per Cassazione i difensori degli accusati che, tra i motivi addotti, deducevano violazione dell’art. 606, comma 1, lett. B) e E), c.p.p., con riferimento alla sussistenza dei requisiti previsti dagli artt. 633 e 639-bis c.p., sostenendosi che la mancanza delle condizioni per l’assegnazione dell’alloggio non rileva ai fini penali, né sussiste l’elemento materiale dell’arbitraria invasione, in quanto – essendo posta la norma di cui all’art. 633 c.p. non a tutela di un diritto, ma di una situazione di fatto tra il soggetto e la cosa – tutte le volte in cui il soggetto sia entrato legittimamente in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato infondato.
In particolare, gli Ermellini rilevavano prima di tutto che, in tema di occupazione abusiva di immobili, qualora il soggetto subentri nell’immobile di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del legittimo detentore, esistano due orientamenti contrastanti.
Difatti, secondo un primo indirizzo ermeneutico, parte dalla considerazione per cui nel reato di invasione di terreni o edifici la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente“, ossia “contra ius” in quanto privo del diritto d’accesso, per cui la conseguente “occupazione” costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione (Sez. 2, n. 26957 del 27/3/2019), fermo restando che, nella scia di tale impostazione, è stato, altresì, sostenuto che integra il reato di cui all’art. 633 c.p. la condotta di chi, inizialmente ospitato a titolo di cortesia dall’assegnatario di un immobile di edilizia residenziale pubblica, vi permanga anche dopo l’allontanamento dell’avente diritto, comportandosi come “dominus” o possessore, atteso che la “mera ospitalità” non costituisce un legittimo titolo per l’occupazione dell’immobile (Sez. 2, n. 49527 del 8/10/2019) e che il versamento all’ente pubblico proprietario dell’immobile dell’indennità di occupazione ovvero il rilascio all’imputato di un certificato di residenza indicante quale luogo d’abitazione l’immobile occupato e l’allaccio delle utenze domestiche, non escludono la sussistenza del reato, già perfezionato con l’abusiva introduzione nell’immobile e la destinazione dello stesso a propria stabile dimora (Sez. 2, n. 3436 del 27/11/2019).
Invece, secondo un altro orientamento, non integra il reato di invasione di terreni o edifici la condotta del soggetto che subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, atteso che, quand’anche il subentro fosse autorizzato in violazione di vincoli imposti all’assegnatario, ciò potrebbe avere rilevanza ai fini amministrativi o civilistici, ma non sarebbe sufficiente ad integrare il comportamento sanzionato dall’art. 633 c.p., che presuppone l’introduzione arbitraria e dall’esterno (Sez. 2, n. 15874 del 30/1/2019); in altri termini, poiché la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell’introduzione dall’esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, tutte le volte in cui il soggetto sia entrato legittimamente in possesso del bene, deve escludersi la sussistenza del reato.
Di conseguenza, non è configurabile il reato di cui all’art. 633 c.p. laddove il ricorrente subentri nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, legato a lui da vincoli di affinità: in tal caso deve escludersi la rilevanza del possesso o meno delle condizioni richieste per l’assegnazione, posto che detta circostanza può valere a fini amministrativi o civilistici, mentre non rileva sotto il profilo penalistico (Sez. 2, n. 48050 del 26/9/2018, che, a sua volta, richiama tra le altre: Sez. 2, n. 2337 del 1/12/2005, e Sez. 2, n. 23756 del 4/6/2009), tenuto conto altresì del fatto che, nello stesso senso, è stato ritenuto che non integri il reato di invasione arbitraria di edifici il persistere nell’occupazione di un alloggio IACP, continuando a versare il canone locativo, da parte di soggetto legato da pregresso rapporto di convivenza con l’assegnatario, che abbia ivi la propria residenza, da intendersi quale luogo di volontaria e persistente dimora del soggetto, a prescindere da una corrispondenza di tale situazione di fatto con le relative annotazioni sui registri anagrafici (Sez. 2, n. 49101 del 4/12/2015).
Orbene, a fronte di tali approdi ermeneutici, i giudici di piazza Cavour ritenevano di dover dare continuità al primo orientamento per i seguenti motivi.
Si osservava prima di tutto che nel reato di cui all’art. 633 c.p. oggetto specifico della tutela penale è l’interesse pubblico alla inviolabilità del patrimonio immobiliare, in relazione alla protezione del diritto – spettante ai privati, allo Stato o ad altri enti pubblici – di conservare i terreni o edifici legittimamente posseduti liberi da invasioni di persone non autorizzate.
Dunque, il termine “invasione” non è assunto nel significato comune di questa parola, che richiama una azione irruenta e impetuosa, ma in quello di introduzione arbitraria non momentanea nel terreno o nell’edificio altrui allo scopo di occuparlo o comunque di trarne profitto.
Di conseguenza, i mezzi e il modo con cui avviene l’invasione sono indifferenti, nè è necessario che ricorra il requisito della clandestinità, che costituisce uno degli elementi dello spoglio civile (art. 1168 c.c.), di talché l’invasione può commettersi anche palesemente e senza violenza neppure sulle cose o senza inganno.
Unico requisito dell’occupazione è l’arbitrarietà, vale a dire che essa avvenga contra ius: agisce “arbitrariamente” chi non ha il diritto o altra legittima facoltà di entrare nell’altrui terreno o edificio allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto.
Non poteva essere, dunque, condivisa, per la Corte di legittimità, l’affermazione contenuta nella sentenza n. 15874/2019 citata, secondo cui il concetto di invasione andrebbe ricondotto ad una qualunque introduzione dall’esterno con modalità violente, con la conseguenza che il semplice “subentro” nel godimento di un appartamento di un soggetto ad un altro, che aveva un legittimo titolo occupativo sul bene oggetto della “nuova occupazione“, previa autorizzazione di quest’ultimo, non rappresenterebbe comportamento tale da poter essere qualificato come invasione in senso penalistico, rientrando invece in una fattispecie assimilabile alla figura del comodato, così come non si stimava parimenti condivisibile l’ulteriore affermazione costantemente riconducibile al secondo orientamento secondo cui sarebbe irrilevante il possesso o meno delle condizioni richieste per l’assegnazione, in quanto tale circostanza potrebbe valere solo a fini amministrativi o civilistici, mentre non rileverebbe sotto il profilo penalistico, poiché l’art. 633 c.p. tutela la destinazione pubblicistica del bene, ciò che rileva è il mancato rispetto delle regole nell’individuazione del soggetto assegnatario che deve avvenire secondo forme, non arbitrarie e soggettive, ma pubbliche e regolate, tanto che nemmeno l’acquiescenza dell’ente proprietario elide la situazione di arbitrarietà, non potendo gli organi dell’ente sottrarsi al dovere di assegnazione sulla base dei criteri legali (Sez. 2, n. 53005 del 11/11/2016; Sez. 5, n. 482 del 12/6/2014).
Per gli Ermellini, il reato di invasione deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e come occupazione di un immobile sine titulo devono considerarsi le condotte di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o ancora, come nel caso oggetto di scrutinio, in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario.
La conseguente “occupazione” deve ritenersi, pertanto, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione.
Ed invero, deve rilevarsi come l’autorizzazione del precedente legittimo detentore o la mera ospitalità ovvero il rapporto di parentela con il legittimo assegnatario non determina l’instaurazione di una relazione giuridica di detenzione qualificata ovvero di possesso con l’immobile e, pertanto, la permanenza dell’ospite o del congiunto, nonostante l’allontanamento o, come nel caso di specie, il decesso dell’occupante legittimo, non può saldarsi con la precedente relazione dell’avente diritto. Contrariamente argomentando, anche il rapporto di amicizia potrebbe legittimare il passaggio della detenzione dell’immobile dal legittimo assegnatario a chi invece non ha i requisiti per l’assegnazione dell’alloggio.
In conclusione, ritiene il Collegio che in tutti questi casi si sia in presenza di una occupazione dell’immobile senza un titolo legittimo: l’assegnatario  non è legittimato a trasferire la detenzione od il possesso dell’immobile, in quanto, come si è evidenziato, l’assegnazione avviene secondo procedure ed in presenza dei presupposti soggettivi stabiliti dalla legge, ragion per cui chi subentra con l’autorizzazione dell’originario assegnatario deve essere considerato occupante arbitrario dell’immobile, perché lo occupa contra ius.
Del resto, sempre a parere dei giudici di legittimità ordinaria, una siffatta impostazione ermeneutica consente anche di evitare strumentalizzazioni e speculazioni, avuto riguardo alla delicatissima questione della distribuzione e ripartizione delle limitate risorse pubbliche in tema di alloggi popolari ed evita il paradosso che si legalizzino occupazioni arbitrarie in quanto poste in essere in violazione delle procedure di assegnazione.

3. Conclusioni


Con la decisione in esame si è posto il problema di affrontare la tematica connessa a quando può ritenersi configurabile la condotta di invasione di terreni o edifici.
Difatti, come trapela dalla stessa pronuncia qui in commento, la giurisprudenza sul punto non è uniforme.
In effetti, secondo un primo orientamento nomofilattico, la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente“, ossia “contra ius” in quanto privo del diritto d’accesso, per cui la conseguente “occupazione” costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione mentre, secondo un altro indirizzo interpretativo, tutte le volte in cui il soggetto sia entrato legittimamente in possesso del bene, deve escludersi la sussistenza del reato.
Orbene, in tale pronuncia, si è voluto aderire al primo filone ermeneutico, sostenendosi che il reato di invasione deve ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e come occupazione di un immobile sine titulo devono considerarsi le condotte di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o ancora, come nel caso oggetto di scrutinio, in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario, facendosene discendere da ciò che la conseguente “occupazione” deve ritenersi l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione.
Tale approccio argomentativo, tuttavia, ad avviso di chi scrive, non spiega in modo adeguato in che modo possa ritenersi osservato un precedente passaggio motivazionale adottato sempre per sostenere la condivisibilità dell’indirizzo interpretativo per primo citato, ossia quell’affermazione secondo la quale il requisito dell’occupazione è l’arbitrarietà, richiede che essa avvenga contra ius: agisce “arbitrariamente” chi non ha il diritto o altra legittima facoltà di entrare nell’altrui terreno o edificio allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto.
Infatti, se è vero, come sostenuto nella decisione qui in commento, che l’autorizzazione del precedente legittimo detentore o la mera ospitalità ovvero il rapporto di parentela con il legittimo assegnatario non determina l’instaurazione di una relazione giuridica di detenzione qualificata ovvero di possesso con l’immobile e, pertanto, la permanenza dell’ospite o del congiunto, nonostante l’allontanamento o, come nel caso di specie, il decesso dell’occupante legittimo, non può saldarsi con la precedente relazione dell’avente diritto, è altrettanto vero però che siffatta autorizzazione rende chiaro che, nel momento in cui si è entrato nell’altrui terreno o edificio, ciò non è avvenuto arbitrariamente in quanto si è verificato con il consenso di colui che ne aveva la disponibilità del bene, salvo che si dimostri, ma questo non sembra emergere nel caso di specie, che l’assegnatario dell’immobile abbia agito, all’atto di ingresso con colui che poi è rimasto lì, all’atto del suo ingresso, allo scopo di consentire a questi di occuparlo o di trarne profitto, e questa sia stata l’effettiva volontà di quest’ultimo all’epoca del suo ingresso nell’immobile, e non sia invece maturata in un momento successivo.
L’invasione, difatti, sempre a parere dello scrivente, non può che realizzarsi nel momento in cui qualcuno “occupa” un immobile, e non nel momento in cui ci siano le condizioni di un occupare un immobile di cui si abbia già la detenzione o il possesso.
Ad ogni modo, data l’esistenza di siffatto contrasto giurisprudenziale, sarebbe opportuno che su tale questione intervenissero le Sezioni unite.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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