La repressione dei diritti inviolabili avvenuta nell’ Italia post-unitaria, in particolar modo fascista, e l’assenza di organi giurisdizionali volti a garantire un controllo sull’agire, a volte arbitrario, delle istituzioni statali furono le principali motivazioni che spinsero il nuovo Stato Repubblicano a evidenziare la necessità di un Giudice custode della democrazia e della tutela dei diritti.[1]
Indice
1. Corte Costituzionale e Alta Corte Siciliana
l’Assemblea Costituente introdusse il titolo VI dedicato alle “Garanzie costituzionali”, nel quale agli artt. 134 a 137 si delinea la Corte Costituzionale. Si tratta di un organo costituzionale specifico, con poteri ben determinati dalla stessa Carta Costituzionale, le cui funzioni furono definite dalla stessa Corte “senza precedenti nell’ordinamento italiano”. [2] Si precisa, a tal punto, che nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario del 1925, Appiani- procuratore generale presso la Corte di Cassazione- proponeva di istituire una suprema magistratura, al fine di attribuirle il potere di annullare gli atti e i provvedimenti che “il popolo più libero del mondo, quello degli Stati Uniti, riconosce alla Corte Suprema”, ma il Guardasigilli Rocco, nel presentare alla Camera la legge fascistissima, escludeva un qualsiasi controllo sugli atti del governo.
È giusto puntualizzare che all’entrata in vigore della Costituzione esisteva già l’Alta Corte per la Regione siciliana, istituita dal R.D. 15 maggio 1946 n. 455. Si trattava di un giudice superiore che aveva il compito di giudicare sulle leggi regionali nel territorio dell’isola su impugnazione del Commissario di Stato, delle leggi e regolamenti statali rispetto allo statuto siciliano su impugnazione del Presidente della Regione Sicilia o del Commissario di Stato. [3]
Oltre a tali funzioni l’Alta corte aveva anche quella di giudice penale per i reati commessi dal Presidente e dagli assessori regionali. Essa era composta da 8 giudici, di cui 6 permanenti e 2 supplenti, nonché da un presidente e da un procuratore generale. Le competenze dell’Alta corte, con l’entrata in vigore della Costituzione, non furono eliminate, seppur in via provvisoria, dalla VII disposizione transitoria della Carta costituzionale.
La Corte Costituzionale[4], dopo aver statuito che “l’art. 134 della Costituzione abbia istituito la Corte costituzionale come unico organo della giurisdizione costituzionale o, più specificamente, come unico giudice della legittimità delle leggi statali o regionali e dei conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni o delle Regioni tra loro”, afferma che “ la competenza generale sulle questioni di legittimità costituzionale delle leggi o degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni attribuita alla Corte costituzionale dagli artt. 134 della Costituzione, legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, non soffra alcuna eccezione o limitazione e che, quindi, con l’entrata in funzione della Corte, sia venuta meno la speciale giurisdizione costituzionale in tale materia attribuita all’Alta Corte, precisamente come é venuta meno quella attribuita ai giudici ordinari dalla VII disposizione transitoria e finale della Costituzione”. La ratio posta alla base di tale statuizione sta nel fatto che l’eventuale concorrenza tra le due giurisdizioni comporterebbe una lesione del principio dell’unità dello Stato, sancito dall’art. 5 della Costituzione e dall’art. 1 dello Statuto Siciliano.
Per tale motivo, nel 1957 la Corte Costituzionale dispose la definitiva caducazione dell’Alta Corte e le funzioni di quest’ultima furono assorbite nella competenza della Corte Costituzionale stessa.[5] Occorre precisare che la caducazione dell’Alta corte si ebbe soltanto de facto nel 1957, in quanto soltanto con una successiva sentenza del 1970[6] si avrà la caducazione de iure relative all’Alta Corte penale. Così si manifestava in modo evidente che nessun organo, istituzione soggetto poteva esercitare funzioni e attività di controllo di legittimità costituzionale “con la stessa pienezza e insindacabilità di poteri”.
La dottrina evidenzia che era assolutamente improbabile che l’Assemblea Costituente avesse dapprima introdotto il sistema di controllo accentrato per poi derogarvi mediante l’introduzione del sistema di controllo diffuso con la legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948.[7]
Per tale motivo, è bene sottolineare che la rigidità della Costituzione italiana emerge analizzando il procedimento aggravato previsto per la sua revisione e “dall’unità della giurisdizione costituzionale, che […] assicura una vita organica e uno sviluppo coerente […] dei principi e delle norme fondamentali che il popolo italiano ha dato a sé stesso nell’esercizio della sua sovranità”.[8]
Eccetto l’esperienza della Corte Siciliana, nella storia dell’ordinamento monarchico italiano non vi sono tracce di un giudice con funzioni di garanzia e tutela.[9]
L’unicità della Corte Costituzionale si comprende sin dall’analisi della stessa fonte costituzionale. Si tenga presente che tutte le sentenze o i provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria sono sottoponibili all’impugnazione. Infatti, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione ogni cittadino può ricorrere alla Corte di Cassazione per la violazione di legge contro qualunque provvedimento dell’autorità giudiziaria, senza dover esperire alcun appello in materia civile o penale, o contro qualunque provvedimento che limiti la libertà personale. Tuttavia, l’unicità della giurisdizione costituzionale si evince dal divieto di impugnazione dei provvedimenti decisionali della Consulta. Infatti, l’art. 137 della Costituzione[10] sancisce che “contro le decisioni della Corte Costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione”.
In primo luogo, si accentua l’unicità della Corte, quale organo costituzionale custode assoluto dell’ordinamento democratico e repubblicano. In secondo luogo, si afferma l’infallibilità della Corte, impedendo “gravami devoluti ad altri giudici, giacché non è configurabile un giudizio superiore rispetto a quello dell’unico organo di giurisdizione costituzionale”[11], si rafforza ulteriormente il ruolo della Corte. Tuttavia, si precisa che una dottrina[12] (minoritaria) sostiene che la ratio posta alla base del divieto di impugnare le pronunce della Corte debba essere ricercata nella possibilità concessa dall’Assemblea Costituente alla Corte di rivalutare eventuali decisioni precedentemente assunte in modo autonomo e privo di condizionamenti esterni.
Come è stato messo in luce fino ad ora, quando si tratta dei poteri della Corte Costituzionale si è soliti far riferimento ad una assoluta unicità della stessa nell’ordinamento; tuttavia, in dottrina alcuni autori sostengono che alla Consulta non debba essere riconosciuto il monopolio nell’applicazione della Costituzione, quanto piuttosto il monopolio nel produrre sentenze di incostituzionalità con efficacia erga omnes. Per tale motivo si dovrebbe porre l’attenzione “sull’unicità della giurisdizione d’invalidità costituzionale”.[13]
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2. Il dibattito in Assemblea Costituente
La necessità di istituire un organo supremo volto a garantire l’integrità dello stato che si stava costituendo si fece sempre più evidente, soprattutto dalla constatazione che lo statuto Albertino del 1848 non aveva avuto la forza di resistere dinanzi ai mutamenti politici e sociali apportati in seguito alla Marcia su Roma.
Dunque, si comprese che l’Assemblea Costituente avrebbe dovuto creare un organo costituzionale con poteri di controllo sulle stesse leggi ad assoluta garanzia dell’ordine democratico e repubblicano. Il pericolo di colpi di stato era ogni giorno sempre più presente, data la guerra civile tra partigiani e fascisti che si combatteva tra le strade e le campagne; tuttavia, questo non era l’unico motivo che spingeva l’Assemblea Costituente a introdurre tale organo giurisdizionale. Infatti, la portata innovatrice della Costituzione si stava manifestando nel rapporto tra lo stato e le Regioni, per cui si stava configurando l’esigenza di individuare un giudice che avesse la forza di decidere su eventuali conflitti di attribuzione. I sistemi costituzionali del common law e quelli del civil law costituivano i principali modelli ispiratori dell’Assemblea, ma essi erano causa di frequenti dibattiti tra i più illustri costituzionalisti.
Infatti, se da una parte si delineava un modello[14] accentrato (sistema Austriaco)[15], dall’altra si proponeva un modello diffuso[16]. L’uno o l’altro sistema avrebbero prodotto effetti ben specifici sull’assetto costituzionale del nuovo stato. Bisogna ricordare che, a differenza degli stati sconfitti dal secondo conflitto mondiale, in Italia l’Assemblea Costituente non mostrò alcun atteggiamento di soccombenza o condizionamento nei confronti del sistema statunitense[17], che non aveva vinto soltanto la guerra da un punto di vista militare, ma che stava mostrando la sua forza anche dal punto di vista economico e giuridico.
La lungimiranza dei Padri Costituenti si manifestò in modo chiaro nella creazione di un sistema ibrido[18], con caratteristiche sia del sistema costituzionale statunitense sia del sistema austriaco.
Si tenga presente che nella stessa assemblea Costituente vi fu una vera e propria contrapposizione politica sull’introduzione nel sistema costituzionale della Corte. Infatti, il partito Repubblicano, il Partito D’Azione e la Democrazia Cristiana si ponevano quali principali sostenitori dell’organo di giustizia costituzionale, essendo per gli stessi la forma più ampia di garanzia dell’ordine democratico; inoltre, per la DC, in particolar modo Giovanni Leone e Giuseppe Cappi, la Corte Costituzionale sarebbe stata funzionale anche a limitare le spinte eccessive dei partiti della sinistra marxista.
Proprio quest’ultima si opponeva con veemenza all’idea di una Corte con poteri così ampi in quanto metteva in luce il vulnus della democraticità dell’organo. Si pensi che Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista qualificava la Corte costituzionale come “una bizzarria”; lo stesso riteneva che l’introduzione di una corte costituzionale avrebbe bloccato un governo guidato dai quei partiti “espressione libera e diretta di quelle classi lavoratrici, le quali vogliono profondamente innovare la struttura politica, economica e sociale del paese”.[19]
Tale posizione era pienamente condivisa da Pietro Nenni, segretario del Partito Socialista, che sosteneva la piena autonomia e supremazia del Parlamento su ogni cosa. Egli sosteneva che l’eventuale introduzione della Corte Costituzionale avrebbe minato l’auctoritas dell’Assemblea Nazionale e sarebbe stata pur sempre non democratica, in quanto, pur essendo estremamente qualificata per i suoi autorevoli membri, sarebbe stata pur sempre sminuita in quanto “per non essere essi gli eletti del popolo, non hanno diritto di giudicare gli atti del Parlamento”. [20]
Uno degli attacchi più duri mossi all’organo Costituzionale fu lanciato da Vittorio Emanuele Orlando, il quale era il pieno sostenitore della Corte di Cassazione e reputava pericolosa l’introduzione di una ulteriore corte con poteri assolutistici. Ma probabilmente l’attacco più duro fu quello di Francesco Saverio Nitti, che descrisse la composizione della Corte Costituzionale nei seguenti termini: “una multiforme assemblea, una inverosimile mischianza di giudici e politicanti, di alti personaggi e di curiali (non certo giuristi) che avrebbero dovuto accettare o raccattare voti dai partiti per essere eletti”.
In seno alla Costituente, la Seconda sezione della Seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione si occupò dell’istituzione della Consulta.
Diversi furono i progetti elaborati, tra cui quello di Calamandrei, Patricolo e Leone. Ad esempio, Calamandrei presentò il progetto di una corte sia giurisdizionale sia politica; infatti, essa doveva essere costituita da 28 membri, di cui 24 giudici. Questi sarebbero stati così composti: un presidente, tre presidenti di sezione, una metà scelta dalla magistratura tra i Consiglieri della Corte di Cassazione, mentre l’altra metà dalla Camera dei Deputati, tra professori universitari e avvocati con almeno vent’anni di esperienza. La carica dei singoli membri sarebbe durata 5 anni. La Corte si sarebbe divisa in tre sezioni distinte con competenze proprie: la prima sezione si sarebbe occupata dei ricorsi per incostituzionalità delle leggi in via incidentale; la seconda dei conflitti di competenza legislativa tra Stato regioni e dei conflitti di attribuzione tra i diversi poteri; la terza del controllo sui partiti e sulla stampa. La corte, invece, si sarebbe riunita in seduta comune per valutare le impugnazioni in via principale per incostituzionalità delle leggi e per la responsabilità penale del Presidente della Repubblica e dei ministri.
La Corte delineata da tale progetto fu qualificata da Mannironi quale organismo “tecnico-politico con funzione altamente giurisdizionale, nel senso che dovrebbe avere il potere di emanare giudizi e sentenze che gli altri organi dello Stato sarebbero obbligati a rispettare”.
Alcuni emendamenti furono proposti dal Conti che sosteneva che la nomina del presidente e del vicepresidente dovesse rientrare nelle competenze del Parlamento.
Il secondo progetto fu presentato da Giovanni Leone, progetto che fu illustrato e discusso nella seduta del 14 gennaio del 1947. Pur richiamando la suddivisione in sezioni e competenze del progetto di Calamandrei, Leone sosteneva la necessità di indicare un numero di giudici inferiore: 8 membri effettivi e 4 supplenti, con mandato decennale e rinnovabile; ma i membri sarebbero stati nominati dal Parlamento e dalle rappresentanze regionali, tra i magistrati con funzioni non inferiori a consigliere di Cassazione ( fino a 4 giudici), due tra i professori universitari in materie giuridiche con un minimo di dieci anni d’insegnamento nel grado ordinario, due tra soggetti in possesso dei requisiti di eleggibilità a deputato. Come era avvenuto per il precedente progetto, anche per il modello di Corte delineato da Leone fu evidenziata la limitata presenza politica, ritenuta assolutamente necessaria per trattare giudizi non soltanto giuridici ma anche politici.
Un terzo progetto, quello proposto dall’Onorevole Patricolo, non fu discusso in modo approfondito; esso prevedeva un’azione popolare di almeno cinquecento elettori e poi azioni promosse da organi dello Stato qualificati.
Successivamente, la Commissione dei Settantacinque in seduta plenaria estese la discussione ad una quarta tesi, quella di Luigi Einaudi, il quale era sostenitore del modello statunitense di judicial review, e riteneva necessario riconoscere la competenza dei giudici ordinari a sindacare la costituzionalità delle leggi.
Terminata la prima discussione, fu approvato un progetto che poneva al centro soltanto la designazione elettiva dei giudici della Corte costituzionale, attribuendola al Parlamento. In questo modo si apriva in modo evidente alle tesi estremiste della sinistra italiana. Tale progetto vedeva la metà dei giudici costituita da magistrati scelti dal Parlamento. L’assemblea parlamentare, infatti, riceveva dagli organismi supremi della magistratura ordinaria e amministrativa un elenco contenente i nominativi delle possibili candidature, ma il numero dei proposti era pari a tre volte il numero dei designanti finali. Per quanto concerne gli altri giudici da nominare questi sarebbero stati designati da professori universitari tra avvocati e docenti di diritto nella misura di un quarto. Infine, fu previsto che il Parlamento avrebbe dovuto nominare sua sponte un quarto dei membri trai cittadini eleggibili ad ufficio politico, purché aventi quarant’anni di età minima. La corte avrebbe avuto una durata di 9 anni e non potevano essere nominati membri del governo o delle Camere. Per quanto concerne la carica presidenziale, la stessa sarebbe stata individuata tra i giudici della Corte.
Portato tale progetto in Assemblea Costituente[21] si riaprirono nuovamente i dibattiti tra le diverse fazioni politiche; si riformavano le posizioni tra chi avrebbe preferito una natura politica della Corte e chi ne avrebbe apprezzato la sua totale indipendenza. [22] Dunque, due furono le proposte presentate in Assemblea.
La prima- condivisa dai partiti di centro destra- sosteneva la tesi secondo cui la Corte Costituzionale avrebbe dovuto mantenere un grado di autonomia e indipendenza dal parlamento tale da non esserne politicamente condizionata. Per tale motivo, si spingeva per una composizione tecnica e non politica.
La seconda- condivisa tra i partiti di centro sinistra- sosteneva l’importanza della matrice politica nell’organo di garanzia Costituzionale, dovendo questo giudicare sulla corrispondenza tra la legge e la Costituzione. Per tale motivo, furono contrastate le tesi che attribuivano la sola competenza ai giudici ordinari[23] o che vedeva una eventuale corte costituita prevalentemente da magistrati.
A causa di tali contrasti, si manifestò l’esigenza di ampliare il numero dei giudici della Corte oppure di sottrarre la stessa all’influenza totale della magistratura. Ciò portò l’Assemblea a riconoscere la durata della Corte quale pari a quella del Parlamento; pur sé tale decisione non fu priva di contrasti.
Il parere della Commissione dei settantacinque riportò equilibrio rispetto ai contrasti tra le due posizioni. Infatti, sosteneva che la competenza circa la nomina dei membri non dovesse essere posta in capo soltanto alla Magistratura, ma anche al Parlamento e al Capo dello Stato in egual misura. In questo modo, oltre a garantire un numero uniforme tra i membri, si sarebbe garantito un alto grado di tecnicismo giuridico ma anche di politicizzazione .
Fu disposto, infatti, che l’Assemblea Parlamentare avrebbe dovuto nominare, in modo autonomo, non tutti i membri della Corte, bensì soltanto un terzo degli stessi. Non fu ammessa la nomina tra i cittadini (ritenuti privi di un’adeguata qualificazione tecnica), bensì soltanto magistrati, avvocati e docenti di diritto.
La magistratura avrebbe nominato un terzo dei giudici tra le giurisdizioni ordinarie e amministrative supreme, al fine di “assicurare la presenza di una componente selezionata con criteri tecnico-funzionali (o meglio non integralmente politici) in un organo chiamato a operare secondo forme tipiche della giurisdizione”.[24]
Infine, fu previsto che gli avvocati sarebbero stati soggetti idonei alla nomina a condizione di detenere almeno venti anni di esercizio. In questo modo, la dottrina ritiene che l’Assemblea Costituente abbia introdotto una vera e propria tripartizione dei poteri, così come aveva ideato Montesquieu.[25]
Nella stesura definitiva dell’art. 135, la Corte veniva definita come “ altissimo organo” e la stessa Corte Costituzionale si definì come quell’organo posto “ai vertici dell’ordinamento costituzionale”, con poteri volti a perseguire una funzione di “garanzia” o di “tutela della legalità”, perseguendo come telos istituzionale finale “l’imperio della Costituzione nei confronti di tutti gli operatori costituzionali”[26].
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- [1]
Si tenga presente che l’idea di attribuire simile potere ad uno specifico organo contro i possibili abusi da parte delle forze politiche di maggioranza era alla base del dibattito costituzionale sorto a fine XVIII secolo. “Basti pensare alle affermazioni – costituiscono poi il presupposto teorico per l’affermazione del controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi negli U.S.A. da parte della Corte Suprema – di A. Hamilton nei Federalist Papers, ove è stata esplicitamente teorizzata la necessità di mettere le neonate istituzioni statunitensi sotto tutela del potere giudiziario, in base alla considerazione che esso fosse il <ramo meno pericoloso> dell’ordinamento giuridico”. In voce Treccani https://www.treccani.it/enciclopedia/corte-costituzionale#:~:text=La%20Corte%20costituzionale%20(artt.,non%20a%20caso%2C%20gli%20artt.
- [2]
Corte Costituzionale, sent. n. 13 del 1960
- [3]
V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, Padova, 1984, p. 224 ss
- [4]
“ Vero é che lo Statuto siciliano stabilisce all’art. 25 che l’Alta Corte giudica sulla costituzionalità delle leggi emanate dall’Assemblea regionale e delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato rispetto allo Statuto e limitatamente alla efficacia loro nel territorio della Regione. Ma, se si pone mente che quello Statuto fu approvato con D.L.L. 15 maggio 1946, quando cioè la Costituzione della Repubblica non era ancora nata, in un delicato momento di trapasso dal vecchio al nuovo ordinamento, del quale é in certa parte quasi un preannunzio, non si può non riconoscere che la ricordata competenza dell’Alta Corte sia stata travolta dalla Costituzione”.(cfr. Corte Costituzionale, sent. 38 del 1957.)
- [5]
B. Biondi, Assorbimento dell’Alta corte costituzionale per la Sicilia nella Corte costituzionale, in Foro it., IV, 1956, c. 277.
- [6]
Corte Costituzionale, sentenza n. 6 del 1970.
- [7]
C. Esposito, Corte costituzionale e Alta corte per la Regione siciliana, in Giur. cost., 1956, p. 1229.
- [8]
Corte Costituzionale, sentenza n. 38/1957.
- [9]
P. Curci, La Corte costituzionale, Giuffrè editore, Milano, 1957.
- [10]
F. DAL CANTO, Commento all’art. 137 Cost., in R. BIFULCO, A. CELOTTO e M. OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, Utet Giuridica, vol.3, p. 2686.
- [11]
Corte cost., 26 febbraio 1998, n. 29, par. 3 Cons. diritto, in Giur. cost., 1998, p. 176 ss.
- [12]
L. P. Comoglio, Inoppugnabilità e limiti di correzione delle pronunzie costituzionali, in Giur. cost., 1991, p. 1530.
- [13]
A. Ruggeri, e A. Spadaro , Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2014, p. 255. .
- [14]
E. DI ROBILANT, Modelli nella filosofia del diritto, Bologna, il Mulino, 1968.
- [15]
M. OLIVETTI, La giustizia costituzionale in Europa tra le due guerre, in R. ORRÙ, F. BONINI, A. CIAMMARICONI, La giustizia costituzionale in prospettiva storica: matrici, esperienze e modelli, Napoli, Edizioni scientifiche, 2012.
- [16]
G. ROLLA, Il processo di ibridazione dei sistemi accentrati di giustizia costituzionale. Note di diritto comparato, in Giurisprudenza costituzionale, 2013, 3979-4006
- [17]
Si vedano , a titolo di esempio, gli interventi posti nell’Assemblea Costituente dall’on. Nitti, intervento dell’8 marzo 1947 e dall’on. Togliatti, intervento del 11 marzo 1947.
- [18]
V. Varano- V. Barsotti, La tradizione giuridica occidentale, Giappichelli, Torino, 2014, p. 176.
- [19]
P. Togliatti, Assemblea costituente, 11 marzo 1947 in G. D’Orazio, La genesi della Corte costituzionale, Comunità, Milano, 1981, p 96.
- [20]
P. Nenni, Assemblea costituente, 10 marzo 1947.
- [21]
L’assemblea Costituente, eletta il 2 giugno 1946, si riunisce in prima seduta il 25 giugno 1946. Viene poi deliberata la Commissione per la Costituzione, composta da 75 Deputati, incaricata di “elaborare e proporre il progetto di Costituzione”. Il 25 luglio 1946, la Commissione definisce gli argomenti da deferire alle tre Sottocommissioni e ne nomina i Presidenti ed i Segretari .
C. RODOTÀ, Storia della Corte costituzionale, Roma-Bari, Laterza, 1999. - [22]
F.P. Casavola, Genesi della Corte costituzionale italiana, in Sententia legum tra mondo antico e moderno, III, Napoli, 2005 pp. 63-75 e in 1956-2006 Cinquant’anni di Corte costituzionale, op. cit., p. 1515 e ss.
- [23]
G. Azzariti, Giurisd. Speciali, Corte Cost. e Magistr. Ordinaria, in Problemi attuali di diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1951.
- [24]
G.Scaccia, Dizionari sistematici – Diritto Costituzionale, il Sole24ore, Milano, 2008, p.1085.
- [25]
[1] A. Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino 2004, p. 39.
- [26]
Corte costituzionale., sentenza n. 13 del 1960.
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