Liquidazione danno da diffamazione: modalità

Danno da diffamazione: nulla per motivazione apparente la sentenza che, nel liquidare il danno, manca di dare atto dei presupposti contenuti nelle tabelle milanesi e applicati per la liquidazione.
Con la sentenza numero 18217 del 26/06/2023 la III sezione della suprema Corte (Pres. Destefano – relatore Giannitti) chiarisce la modalità di liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa.
Volume consigliato per approfondire: Le tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale

Indice

1. I fatti di causa e i giudizi di merito


Tizio era un geologo, e svolgeva la sua professione in Sicilia, collaborando con diversi Enti pubblici e privati, sin dal 1992.
Il 1 ottobre del 2010, su un quotidiano di primaria tiratura nazionale, veniva pubblicato un articolo nel quale si dava atto del coinvolgimento dello stesso Tizio in un procedimento penale per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e della relativa iscrizione di questi nel registro degli indagati. L’articolo, avente il titolo “un colletto bianco nell’inchiesta x”, veniva ripetuto, mantenendo l’errore, il giorno successivo.
Tizio, tuttavia, era estraneo ai fatti, il quanto il geologo realmente coinvolto era Caio, avente lo stesso cognome di Tizio ma diverso nome.
Tizio, in seguito alla lettura dell’articolo, veniva colto da malore e per questo ricoverato presso il reparto di cardiologia dell’Ospedale di Catania.
Tre giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, Tizio riceveva da una delle società con cui aveva un contratto di collaborazione una comunicazione del seguente tenore “a seguito dei noti articoli di stampa riportati sul quotidiano La Repubblica, che la riguardano in prima persona, considerata la delicatezza dell’argomento, pur manifestando la nostra stima nei suoi confronti e sulle sue capacita professionali, si ritiene opportuno in questo periodo sospendere la nostra collaborazione professionale per i danni che tutto ciò ci può arrecare”.
Alcuni giorni dopo Tizio si recava per effettuare un controllo per conto della Protezione civile nella località X, e ivi da un suo collaboratore veniva informato che numerosi cittadini avevano commentato la notizia apparsa sui giornali, affermando che Tizio era stato arrestato perché mafioso. Tizio, quindi, fortemente scosso, si rimise in auto per tornare a casa, ma a causa della frustrazione e della confusione, sulla via del ritorno perdeva il controllo dell’auto e finiva contro un guard rail, danneggiando l’auto e riportando lievi ferite.
Ancora alcuni giorni dopo Tizio riceveva da una società con la quale stava collaborando ad un progetto di rilevante valore economico, la seguente comunicazione “a seguito di sopraggiungere notizie poco rassicuranti sulla integrità morale e professionale nelle vicende in cui Lei è coinvolto, ci rincresce comunicarLe che è opportuno interrompere il rapporto di collaborazione professionale attualmente in corso”.
A questo punto Tizio, per il tramite del proprio legale, scriveva alla testata giornalistica per far rilevare l’errore; ma la stessa si limitava a riportare l’intervento nello spazio dedicato alle lettere dei lettori, mancando di dare uguale risalto alla rettifica rispetto all’articolo errato.
All’inizio del mese di novembre del 2010 il GIP del Tribunale di Catania emetteva una serie di misure cautelare nell’ambito del procedimento cui faceva riferimento l’articolo, indicando il geologo Caio quale soggetto coinvolto. La notizia sul quotidiano, tuttavia, non dava risalto al precedente errore ne conteneva le scuse attese da Tizio.
Tizio, così, sporgeva denuncia/querela in danno del giornalista autore degli articoli e del direttore responsabile della testata, con processo penale che si concludeva con non luogo a provvedere per il giornalista, in difetto della prova dell’elemento psicologico del dolo, e assoluzione del direttore in quanto la responsabilità colposa del direttore del periodico ex art. 57 c.p. presuppone la commissione di reati col mezzo di pubblicazione. La sentenza penale, tuttavia, dava atto dei risvolti risarcitori di cui alla vicenda trattata, da accertare in sede civile ex. art. 2043 cc.
Tizio, così, dopo aver infruttuosamente svolto la media conciliazione, conveniva dinanzi al Tribunale civile di Catania il gruppo editoriale, il redattore dell’articolo e il direttore responsabile, per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali evidenziavano che l’errore era stato involontario e che comunque si era dato risalto alla rettifica inviata dal legale.
Tizio, in particolare, oltre al danno non patrimoniale da reato e per le lesioni fisiche subite in seguito alla lettura della notizia, chiedeva anche il risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla riduzione dell’attività lavorativa e al danno all’autovettura conseguente all’incidente, oltre alle opportune rettifiche e all’oscuramento della pagina web del sito della testata contenente la notizia.
Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda e condannava i convenuti al pagamento del danno non patrimoniale nella misura di euro 50.000,00 e al danno patrimoniale afferente la riduzione dell’attività lavorativa, rigettando invece la domanda relativa al ristoro del danno subito dall’auto a causa dell’incidente stradale.
Avverso la sentenza interponevano appello i convenuti e la Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento, riduceva il danno non patrimoniale ad euro 10.000,00, rigettando la domanda afferente il danno patrimoniale.


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2. Il giudizio in Cassazione


Avverso la sentenza della Corte d’appello proponeva ricorso Tizio, censurando sia la riduzione del danno non patrimoniale che la mancata liquidazione del danno patrimoniale.
Per quel che qui interessa, i tre motivi iniziali afferivano il danno non patrimoniale e si censurava la sentenza in quanto affetta da difetto assoluto di motivazione laddove affermava di far riferimento e applicazione delle tabelle di Milano, senza tuttavia rispettare, nella liquidazione del danno, le indicazioni ivi contenute.
In particolare, e secondo quanto riportato nel primo motivo, nella motivazione della sentenza impugnata e a sostegno della riduzione del quantum si faceva rilevare che l’errore era stato episodico, che si era dato spazio alla rettifica, che negli articoli dei giorni successivi si dava atto del corretto nominativo del geologo coinvolto e che nell’articolo che dava conto dei provvedimenti cautelari si indicava, appunto, il nominativo esatto e non quello di Tizio. Per tale motivo, quindi, la Corte aveva ritenuto la condotta di tenue gravità e liquidato il danno nella misura minima.
Il ricorrente, tuttavia, censurava il fatto che la motivazione non considerasse diversi parametri delle tabelle milanesi e, in particolare, la notorietà del diffamante organo di informazione, la rilevanza dell’offesa di mafiosità, la diffusione dell’organo di informazione, la rilevanza dell’articolo nella pagina del giornale, la risonanza mediatica del fatto, l’elemento soggettivo della condotta e la irrilevanza dell’intervento rettificatorio.
Nel secondo e terzo motivo, poi, si censuravano, invece, l’assenza di motivazione in ordine ai criteri adottati per ritenere di tenue entità il danno.
La Corte accoglie il ricorso, decidendo i motivi in modo congiunto e affermando quanto segue.
La Corte premette l’evoluzione del danno non patrimoniale e la affidabilità delle tabelle milanesi come criterio corretto di liquidazione del danno. Venendo al caso specifico, in particolare, bene ha fatto la corte di merito ad adottarle, partendo da giusto presupposto che il danno morale ha una sua comune determinazione, che in ragione di quanto riportato nelle tabelle e ai criteri ivi indicati, andrà adottato al caso concreto.
Venendo al caso concreto e ai riferimenti contenuti nelle tabelle, le stesse attestano un valore che va dai 3000 ai 5000 euro sulla scorta dei seguenti parametri:
– il tipo di condotta diffamatoria attribuita alla persona danneggiata con la notizia veicolata: a) tra le ipotesi che consigliano l’adozione di un valore massimo, sono annoverabili l’eventuale rilievo penale dei fatti pubblicati, l’uso di espressioni oggettivamente ingiuriose; b) tra le ipotesi che possono rientrare in un valore medio, sono annoverabili le notizie diffamatorie, che, benché prive dei suddetti caratteri, sono comunque circostanziate e, quindi, determinano, comunque, un significativo grado di incisività dell’evento di danno; c) un valore minimo, infine, può riconoscersi alle affermazioni di carattere diffamatorio del tutto generiche o solo dequalificanti;
– la condotta degli autori e, in particolare, l’intensità dell’elemento psicologico (si considerino, ad esempio, le fattispecie in cui vi è prova della consapevolezza, in capo all’autore convenuto, della falsità della notizia pubblicata);
– il mezzo di comunicazione utilizzato per commettere la diffamazione e la diffusività dello stesso sul territorio nazionale (fermo restando che una minor tiratura non significa necessariamente un minor danno, specialmente nel caso di un mezzo di stampa che abbia un raggio di distribuzione limitato sul territorio nazionale, ma di elevata penetrazione nel ristretto territorio di vita e relazione del danneggiato);
– il rilievo attribuito dai responsabili al pezzo contenente le notizie diffamatorie all’interno della pubblicazione cui lo stesso è riportato (con attribuzione del valore massimo ad un articolo in prima pagina o al corsivo del direttore ed un valore minimo ad un piccolo trafiletto, privo di segni grafici evidenzianti);
– lo Spazio che la notizia diffamatoria occupa all’interno dello scritto in questione (elemento che incide sulla portata lesiva della notizia diffamatoria, amplificata dal fatto che tale notizia occupi tutto o solo una minima parte dell’articolo o del libro);
– le conseguenze sull’attività professionale e sulla vita personale della parte lesa;
– il ruolo istituzionale ricoperto dal danneggiato all’epoca dei fatti e la correlazione tra le notizie diffamatorie e l’esercizio delle pubbliche funzioni proprie della carica esercitata;
– la natura “sensazionale” della notizia diffamatoria e la capacità della stessa di incidere sulla formazione dell’opinione pubblica, suscitando e veicolando una vera e propria campagna di stampa denigratoria.
Fatte queste premesse, poi, le tabelle prevedono l’applicazione delle stesse sulla scorta dei seguenti ulteriori parametri per giungere ad un risarcimento compreso tra un minimo di Euro 18.000,00 (3.000,00 × 6) ed un massimo di Euro 40.000,00 (5.000,00 × 8).
La possibilità, al fine di adeguare la quantificazione del danno alle peculiarità del caso concreto, rendendo il risarcimento aderente alla profondità del danno non patrimoniale effettivamente subito, di adottare ulteriori coefficienti – di aumento o di diminuzione – per i casi di pubblicazione diffamatorie di significativa gravità o di modestissima entità: così applicandosi un coefficiente variabile, da 1 a 5, da rapportarsi non alla somma finale ottenuta all’esito della prima valutazione, bensì ad una o più voci della griglia (indicata ai punti da 1 a 8) ed eventualmente anche ad ognuna di esse. Tale seconda operazione può portare ad un risarcimento compreso tra un minimo di Euro 3.600,00 (così ottenuto Euro 3.000,00, assegnati ad ogni singola voce, diviso per il coefficiente 5 = 600,00, sommato per ciascuna delle voci riconosciute per complessivi 3.600,00 Euro o 4.800,00 in caso siano riconosciuti i punti 6 e 7) sino ad un massimo di 200.000,00 Euro (nei casi in cui si dovessero riconoscere Euro 5.000,00 di base per ciascuna voce, ciascuna di esse moltiplicata per 5: 5 x 5.000,00 = 25.000,00, sommando tutte le voci 25.000,00 x 8 = 200.000,00);
La possibilità di diminuire tali valori nel caso in cui parte attrice abbia ottenuto, medio tempore, la pubblicazione di una rettifica (da quantificarsi, secondo i parametri monetari sopra indicati, in un valore compreso tra 3.000,00 e 5.000,00 Euro, eventualmente da rivalutare o devalutare in ragione dei tempi e dei termini in cui tale rettifica è stata eseguita).
Ebbene, dalla lettura della motivazione appare evidente che nel caso di specie la corte territoriale ha del tutto omesso di considerare i parametri indicati nelle tabelle milanesi, dandone conto in motivazione, così ponendo in essere una motivazione apparente e, in quanto tale affetta di nullità e suscettibile di cassazione ex. art. 360 I comma n. 4 cpc. In altre parole la corte territoriale ha mancato di motivare la valutazione sulla tenuità del fatto e, per tale ragione, la sentenza è cassata e rinviata alla medesima Corte d’appello di Catania, diversa sezione, perché decida il caso applicando le tabelle milanesi sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione.

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Michele Allamprese

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