Nel TU 309/90, manca una definizione autentica dell’”uso di gruppo”, nonostante siffatta pratica sia assai diffusa presso la popolazione dedita al consumo di sostanze stupefacenti. Per conseguenza, la Dottrina e la Giurisprudenza si sono trovate, esse sole, ad avere il compito di allestire una disciplina organica in tema di consumazione collettiva di droghe. Sotto il profilo storico, i lemmi “uso di gruppo” vengono utilizzati, per la prima volta, in Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375. Tale Precedente statuiva che “nell’Art. 80 comma 2 L. 685/1975 [poi totalmente abrogata, ndr] la finalità dell’uso personale, anche non terapeutico, di modiche quantità di sostanze stupefacenti toglie al fatto il carattere di antigiuridicità, fungendo da causa di giustificazione. Ne deriva che l’anzidetta esimente non può estendersi a chi abbia ceduto modiche quantità delle predette sostanze per farne uso di gruppo”. In Dottrina, molti Autori, giustamente, hanno evidenziato che l’incerta qualificazione normativa dell’”uso personale” cagiona, per conseguenza, un’altrettanto incerta definizione dell’”uso di gruppo”, il quale, ad ogni modo, è una pratica abituale e largamente diffusa, specialmente presso il tossicodipendenti in età giovanile.
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Indice
1. I fondamenti della disciplina dell’uso di gruppo
Nell’Ordinamento italiano, la lacuna, con afferenza all’”uso di gruppo” risale alla L. 685/1975, che disciplinava la “modica quantità” ad uso personale, ma, viceversa, nulla stabiliva in tema di consumo collettivo. Del pari, la successiva L. 162/1990 presentava la medesima deficienza precettiva, in tanto in quanto essa analizzava la ratio della “dose media giornaliera per uso personale”, ma non disciplinava una speculare “dose media giornaliera per uso di gruppo”. Dopo il referendum del 1993, la L. 49/2006 sanzionava, in via amministrativa, il solo consumo personale; pertanto, la Dottrina e, soprattutto, la Giurisprudenza iniziarono a manifestare una vigorosa intolleranza nei confronti di un’eventuale utilizzazione “non individuale” degli stupefacenti; tuttavia, nemmeno la L. 49/2006 giuridificava, con la debita chiarezza, la consumazione collettiva delle droghe. Pure Consulta 32/2014, e la conseguente L. 46/2014, hanno omesso di normativizzare, in maniera esplicita e coerente, la problematica della fattispecie di più soggetti che si riuniscono al fine di fare uso collettivo di sostanze illecite.
Provvidenzialmente e prevedibilmente, la Corte di Cassazione ha sopperito alle lacune de jure condito. In effetti, nell’ultima quarantina d’anni, la Giurisprudenza di legittimità ha precisato quanto segue:
- l’uso di gruppo va interpretato alla stregua di una “modalità dell’uso personale”
- secondo una Giurisprudenza minoritaria ed ormai sorpassata, conformemente al comma 1 Art. 73 TU 309/90, “consumare in gruppo” è (rectius: era, ndr) penalmente sanzionabile, poiché ciascun partecipante al raduno tossicomaniacale “cede”, “passa ad altri”, integrando così gli estremi del predetto delitto p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90
- a prescindere dalle modalità di acquisto della provvista, nella Giurisprudenza prevalente della Suprema Corte, la “detenzione individuale” è diversa dalla “detenzione collettiva”, quindi il “passaggio/cessione” della dose reca ad un consumo finale che ha carattere “personale”, dunque non punibile dal punto di vista penale, bensì amministrativo.
In buona sostanza, pertanto, il consumo di gruppo è un consumo “personale”, perché lo stupefacente è, di fatto, “co-detenuto”, anche se rimane la questione dell’acquisto della provvista, pagata da tutti i partecipanti, oppure solo da alcuni di loro, oppure ancora da un solo soggetto, eventualmente rimborsato; talvolta, può anche darsi che ciascun co-detentore abbia acquistato autonomamente una porzione della totalità della droga, successivamente assunta in forma collettiva.
2. La negazione giurisprudenziale dell’”uso di gruppo”
Ai sensi della L. 685/1975 e secondo un’esegesi letterale della normativa, l’”uso di gruppo” altro non è che una variante dell’”uso personale”, dunque non punibile, di una “modica quantità” di stupefacenti. Per conseguenza, anche dopo la L. 685/1975, la “modica quantità” per uso personale è perfettamente analoga alla “modica quantità” per uso di gruppo. Dunque, non essendo penalmente perseguibile il “consumo esclusivamente individuale”, non sarà altrettanto perseguibile, per la via del Diritto Penale, nemmeno il “consumo collettivo”, che, dal punto di vista della logica giuridica, altro non è se non una sommatoria contestuale di modiche quantità individuali.
Tuttavia, negli Anni Ottanta del Novecento, un orientamento giurisprudenziale iper-retribuzionista affermava che il “passaggio dello spinello” dall’uno all’altro componente del gruppo integrava gli estremi della “cessione” penalmente p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. Più nel dettaglio, Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375 reputava che “[l’uso di gruppo è sussumibile nell’attuale comma 1 Art. 73 TU 309/90] sulla base della stessa ratio della legge, la quale, ai fini dell’estirpazione di un male sociale, che è produttivo di deterioramento fisico, ha inteso colpire tutti gli spacciatori, tutelando così, come dispone l’Art. 32 Cost., la tendenze naturali dell’uomo alla conservazione della salute ed al miglioramento delle proprie capacità”. L’interpretazione decisamente proibizionistica di Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375 ha dominato, sino al 1990, nello scenario della Giurisprudenza di legittimità.
Per il vero, Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375, in Dottrina, è stata aspramente criticata, in tanto in quanto la fattispecie dell’uso di gruppo costituisce quasi la normalità delle odierne mode tossicomaniche. Per conseguenza, applicare al consumo collettivo il comma 1 Art. 73 TU 309/90 significa, nella pratica quotidiana, ridurre al niente la diversa sanzionabilità amministrativa dell’uso personale ex Art. 75 TU 309/90. È ipertrofico criminalizzare l’uso in gruppo, poiché si tratta, a parere di quasi tutti i Dottrinari, di una variante dell’uso individuale. Il “passaggio” della cannabis o di altra sostanza, durante una consumazione collettiva, è oggi criminologicamente sociologicamente normale e non costituisce affatto un “passaggio ad altri” nel senso del comma 1 Art. 73 TU 309/90, perché l’uso in gruppo cancella la rilevanza penale dell’atto.
La testé menzionata posizione di Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375 è stata prevalentemente reputata come “anti-storica”, ovvero “anacronistica”, dal momento che la “cessione”, all’interno del gruppo, in epoca odierna, costituisce la normalità, soprattutto con attinenza ai tossicomani adolescenti o giovani adulti. Dunque, la Suprema Corte non ha potuto mantenere, nella prassi, questa assurda prevalenza precettiva dell’Art. 73 TU 309/90 sull’Art. 75 TU 309/90. Pertanto, già negli Anni Ottanta del Novecento, si era levata l’opinione dissenziente di Cass., sez. pen. VI, 14 aprile 1988, n. 1451, a parere della quale “[Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375] per giustificare la propria presa di posizione si aggrappa [oltranzisticamente, ndr] al dato letterale ed alla ratio della legge [ex Art. 32 Cost.], [ma] […] ormai bisogna adeguare la Giurisprudenza alla realtà sociale […]. La Sentenza [di cui in Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375] rappresenta una scelta giurisprudenziale anti-storica […] la normalità dell’uso di gruppo è un problema che non può interessare il giudice, il quale, per espressa statuizione costituzionale, ha l’obbligo di applicare le leggi non sospettabili di incostituzionalità”. Viceversa, Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375 “penalizza” il consumo di gruppo con l’intento giustizialistico di aumentare la tutela della “salute pubblica” ex comma 1 Art. 32 Cost. . All’opposto, la Dottrina nota, in modo pressoché unanime, che l’uso collettivo di sostanze altro non è se non una “sommatoria di usi personali” rilevante in senso prettamente amministrativo ex Art. 75 TU 309/90.
Purtroppo, anche la L. 162/1990 non ha negato il suddetto impianto prevalentemente penalistico e ha precisato, nella ratio contenuta nei Lavori Preparatori, di dover “reagire ai morti nelle strade per overdose”. Anzi, la quantità massima detenibile (QMD), nei decreti ex L. 162/1990, è talmente bassa da provocare sempre, nel caso di una provvista per uso di gruppo, la non precettività dell’Art. 75 TU 309/90.
Svariati Dottrinari, unitamente a molti Magistrati di merito, insistevano sulla natura anacronistica del divieto criminalizzante dell’uso di gruppo ex comma 1 Art. 73 TU 309/90, in tanto in quanto essa rappresentava una modalità di consumazione ormai ordinaria nella prassi forense di tutti i giorni. Perlomeno, non pochi Operatori giuridici proponevano di sussumere automaticamente l’uso collettivo entro lo spazio precettivo della “lieve entità” di cui al comma 5 Art. 73 TU 309/90. A tal proposito, si veda Cass., SS.UU., 31 maggio 1991, n. 9148, secondo la quale “sono da ritenersi fatti di lieve entità [ex comma 5 Art. 73 TU 309/90] la cessione gratuita o la detenzione di qualche dose per uso di gruppo, [nonché] l’offerta dello spinello tra fumatori di haschisch […] a condizione che non siano effettuati con professionalità, organizzazione dei mezzi, anche rudimentale, o continuità […]. Non si deve criminalizzare il consumatore e non si deve sanzionare penalmente l’uso personale […] e ciò non può non ripercuotersi su quella particolare modalità di uso personale che è l’uso di gruppo”. In ultima analisi, Cass., SS.UU., 31 maggio 1991 ha confermato l’anti-storicità astratta ed astraente del non applicare l’Art. 75 TU 309/90 ad una fattispecie socio-criminologica ormai rientrante nella normalità dei costumi e delle mode tossicomaniacali giovanili. P.e., fumare insieme una provvista di canapa acquistata insieme è oggi una condotta ordinaria ed ampiamente diffusa. Dunque, non ha senso applicare il comma 1 Art. 73 TU 309/90 ad un “male minore” rientrante nel semplice “utilizzo personale” ex Art. 75 TU 309/90. Nel bene o nel male, le condotte socialmente approvate vanno affrancate dal prepotente dominio della Giuspenalistica.
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3. Lo stare decisis giurisprudenziale prima di Sezioni Unite 25401/2013
Provvidenzialmente, verso la fine degli Anni Novanta del Novecento, la Giurisprudenza della Corte di Cassazione, finalmente, ha equiparato l’uso di gruppo a quello “esclusivamente personale”, amministrativamente sanzionato dal comma 1 Art. 75 TU 309/90. La suddetta nuova tendenza giurisprudenziale è stata inaugurata da Cass., sez. pen. IV, 27 maggio 1994, n. 776, a parere della quale “l’ipotesi di concorso in detenzione di sostanza stupefacente, destinata ad uso personale da parte di ciascuno dei detentori, non è più preveduta dalla legge come reato, in base all’Art. 75 TU 309/90, come modificato dal DPR 171/1993 […]. La codetenzione per l’uso in comune di sostanze stupefacenti è una situazione di fatto unitaria, caratterizzata da un rapporto intimo che si stabilisce e si esaurisce fra i soggetti, codetentori di singole quote ideali. Da siffatta situazione non può derivare – a priori – un concorso nel reato di codetenzione di droga a fine di spaccio, nel presupposto astratto di una presunta cessione reciproca di quote, oppure per effetto di una possibile disponibilità, da parte di ciascun codetentore, dell’intero quantitativo della sostanza drogante”. Come si può notare, Cass., sez. pen. IV, 27 maggio 1994, n. 776 aderisce alla qualificazione dell’uso di gruppo concepito alla stregua di una “sommatoria di consumi meramente personali”. Il “passaggio” subitaneo della droga nel gruppo di assuntori non integra gli estremi della nozione di “spaccio” così come descritta nel comma 1 Art. 73 TU 309/90, poiché il quantitativo totale della provvista viene immediatamente frazionato tra i codetentori.
Dopo Cass., sez. pen. IV, 27 maggio 1994, n. 776, bisognerà attendere ancora sino al 1997 per vedere la fine del filone ermeneutico formalistico supinamente connesso al comma 1 Art. 73 TU 309/90. Più precisamente, la svolta decisiva è giunta con Cass., SS.UU., 28 maggio 1997, n. 4, Iacolare, ai sensi della quale “ non sono punibili – e rientrano, pertanto, nella sfera dell’illecito amministrativo di cui all’Art. 75 TU 309/90 – l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso personale che avvengono, sin dall’inizio, per conto e nell’interesse anche di soggetti diversi dall’agente, quando è certa, fin dall’inizio, l’identità dei medesimi [codetentori], nonché manifesta la loro volontà di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo […]. L’omogeneità teleologica della condotta del procacciatore rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo caratterizza la detenzione quale codetenzione ed impedisce che il primo si ponga in rapporto di estraneità e, quindi, di diversità rispetto ai secondi, con la conseguente impossibilità di connotazione della sua condotta quale cessione [penalmente rilevante ex comma 1 Art. 73 TU 309/90] […]. Altresì ad opposta conclusione si deve invece pervenire qualora l’acquirente- detentore non sia anche assuntore, ovvero non abbia avuto alcun mandato all’acquisto o alla detenzione”.
Dunque, Cass., SS.UU., 28 maggio 1997, n. 4, Iacolare fonda la prevalenza precettiva del comma 1 Art. 75 TU 309/90 sulla ratio della “omogeneità teleologica della condotta del procacciatore/co-detentore/co-assuntore”. La provvista non è tecnicamente “spacciata”, bensì collettivamente frazionata in più dosi “ad uso personale”. Si tratta di una fattispecie lontana dalla ratio penalistica della “cessione” o dello “spaccio” etero-diretto per fini di lucro come p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. In ogni caso, malaugurevolmente, Cass., SS.UU., 28 maggio 1997, n. 4, Iacolare viene a sostituirsi all’ordinario ruolo del Legislatore, la cui lacuna quarantennale è fisiologicamente colmata dalla Giurisprudenza della Suprema Corte.
Dopo Cass., SS.UU., 28 maggio 1997, n. 4, Iacolare, sino al 2006, molti altri autorevoli Precedenti di legittimità hanno proseguito nel de-penalizzare il consumo di gruppo. P.e, Cass., sez. pen. VI, 4 giugno 1999, n. 9075 ha rimarcato, di nuovo, che “[in materia di stupefacenti] va esclusa la configurabilità del reato previsto dall’Art. 73 TU 309/90 nel caso del c.d. consumo di gruppo, e cioè nel caso in cui la consegna di modesti quantitativi di sostanza stupefacente destinati all’uso personale dei percettori rappresenti l’esecuzione di un preesistente accordo tra l’agente e gli altri soggetti, che non si pongono, quindi, in posizione di estraneità rispetto ai cedenti, ma debbono considerarsi come codetentori della sostanza fin dal momento dell’acquisto, eseguito anche per conto loro. Pertanto, un accordo del genere non deve necessariamente essere espresso; né è necessaria la preventiva raccolta del denaro per l’acquisto collettivo della sostanza stupefacente. Essa è apprezzabile come elemento sintomatico dell’accordo, ma l’esistenza dello stesso può però essere desunta anche da altri elementi, quali il rapporto di amicizia tra l’acquirente e gli altri consumatori, l’effettiva consumazione della sostanza da parte di tutti quanti, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo e l’unicità della confezione contenente la sostanza”. Da evidenziare è che, in Cass., sez. pen. VI, 4 giugno 1999, n. 9075, i lemmi “acquisto collettivo della sostanza stupefacente” richiamano da vicino, in Cass., SS.UU., 28 maggio 1997, n. 4, Iacolare, l’espressione “omogeneità teleologica della condotta del procacciatore”. Ecco, dunque, la rinnovata prevalenza, nella fattispecie del consumo di gruppo, del comma 1 Art. 75 TU 309/90; ovverosia, l’unità dell’intento esclude l’eventuale applicabilità della nozione di “spaccio” ex comma 1 Art. 73 TU 309/90.
La ratio profondamente e vigorosamente proibizionistica della L. 49/2006 tende a rendere meno tollerato il “consumo personale” e la propria variante del “consumo personale in gruppo”. In special modo, il comma 1 bis Art. 75 TU 309/90 costringe la Corte di Cassazione a distinguere sottilmente tra il consumo “personale” e quello “esclusivamente personale”. P.e., Cass., sez. pen. III, 20 aprile 2011, n. 35706 afferma che “[con la nuova L. 49/2006] la diversa intenzione del Legislatore è quella di sanzionare penalmente ogni uso promiscuo dello stupefacente […]. [Pertanto] integra il reato di cui al comma 1 Art. 73 TU 309/90 la detenzione di sostanza stupefacente in caso di uso di gruppo, circoscrivendosi l’ambito sanzionatorio di rilevanza amministrativa [ex Art. 75 TU 309/90] alle sole ipotesi di uso esclusivamente [e strettamente, ndr] personale dello stupefacente […] [perché] a seguito della novella [apportata dalla L. 49/2006] si è attribuita […] rilevanza penale a qualsiasi detenzione di droga destinata ad uso promiscuo”. Dunque, Cass., sez. pen. III, 20 aprile 2011, n. 35706 segna un ritorno alle posizioni ermeneutiche adottate dalla Suprema Corte negli Anni Ottanta del Novecento. Fa eccezione, tuttavia, all’interno di siffatta altalenante ed incoerente Giurisprudenza, Cass., sez. pen. VI, 27 febbraio 2012, n. 17396, a parere della quale “il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, nell’ipotesi del mandato all’acquisto collettivo ad uno degli assuntori, e nella certezza originaria dell’identità degli altri, non è [penalmente] punibile ai sensi della lett. a) comma 1 bis Art. 73 TU 309/90, anche a séguito delle modifiche apportate a tale disposizione dalla L. 49/2006”.
4. La grande svolta di Sezioni Unite n. 25401/2013
Prima del risolutivo intervento di Sezioni Unite n. 25401/2013, l’uso di gruppo veniva depenalizzato da Cassazione n. 8366/2011, n. 21375/2011 nonché da n. 3513/2012. Diversamente, l’Art. 73 TU 309/90 era precettivo nei confronti della consumazione collettiva in Cassazione n. 23574/2009, n. 7971/2011 nonché in n. 35706/2011.
Tuttavia, la non perseguibilità penale dell’uso di gruppo è stata definitivamente sancita, ex comma 1 Art. 618 Cpp, da Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401, Galluccio, la quale conferma che “l’uso personale, anche se di gruppo, non è reato […]. Anche all’esito delle modifiche apportate dalla L. 49/2006 all’Art. 73 TU 309/90, il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l’illecito amministrativo sanzionato dall’Art. 75 TU 309/90”. Assai illuminante e filo-abolizionista, in Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401, è il passaggio in cui tale Precedente specifica che “con il riferimento all’uso esclusivamente personale, inserito nella L. 49/2006, il Legislatore non ha introdotto una nuova norma penale incriminatrice, con una conseguente restrizione dei comportamenti rientranti nell’uso personale dei componenti del gruppo, ma ha di fatto ribadito che la non punibilità [penale] riguarda solo i casi in cui la sostanza non è destinata a terzi, ma all’utilizzo personale degli appartenenti al gruppo che la co-detengono”. Ecco, nuovamente, il ritorno alla semplice precettività amministrativa del comma 1 Art. 75 TU 309/90.
Stante la lacunosità del TU 309/90, Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401, Galluccio, ha la premura di indicare, con un elenco catalogico non chiuso, i requisiti dell’uso di gruppo; ossia è “collettivo”, dunque penalmente non perseguibile il consumo in cui
1. l’acquirente sia uno degli assuntori
2. l’acquisto avvenga, dall’inizio, per conto degli altri componenti del gruppo
3. sia certa, sin dall’inizio, l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo, anche finanziariamente, all’acquisto.
Anche la suddetta qualificazione giurisprudenziale dell’”uso di gruppo” di sostanze stupefacenti concepisce il consumo collettivo alla stregua di una sommatoria di usi personali, punibile, pertanto, esclusivamente in via amministrativa ex comma 1 Art. 75 TU 309/90. Quindi, è stato abbandonato definitivamente, nelle Sezioni Unite Galluccio del 2013, il retribuzionismo inopportuno espresso in Cass., sez. pen. I, 21 aprile 1981, n. 5375. Ormai, la Corte di Cassazione non poteva non prendere atto della ordinarietà dell’uso di gruppo, specialmente presso la popolazione giovanile. Applicare il comma 1 Art. 73 TU 309/90 al “passaggio” dello spinello o di altre sostanze illecite costituirebbe una forma sanzionatoria avulsa dalla concreta realtà criminologica quotidianamente riscontrabile. Viceversa, l’alternativa è quella di scadere nell’uso ipertrofico della Giuspenalistica, come già accade nella Common Law statunitense.
Dopo Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401, Galluccio, tutte le Sezioni della Suprema Corte hanno depenalizzato l’utilizzazione collettiva di droghe. Tuttavia, la Giurisprudenza di legittimità prosegue, come doveroso, nel predicare la piena precettività dell’Art. 73 TU 309/90 nelle ipotesi in cui non sussista “omogeneità teleologica” nelle varie fasi dell’acquisto e della cessione. Ciò al fine di evitare che l’uso di gruppo divenga un pretesto finalizzato ad evitare conseguenze di matrice penalistica. P.e., Cass., sez. pen. VI, 10 marzo 2008, n. 29174 ha puntualizzato che “[l’uso di gruppo non si ravvisa] quando l’imputato ha ceduto, per l’uso in comune, sostanze di cui era già autonomamente in possesso”. Del pari, secondo Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401, va esclusa la sussistenza di una “ consumazione collettiva” “quando l’imputato ha acquistato [sostanze illecite] su mandato di terzi, ma senza essere anch’egli assuntore”. Pure Cass., sez. pen. VI, 1 marzo 2007, n. 37078 nega che l’utilizzo delle droghe sia in comune “quando vi è stata anche cessione di parte della sostanza a soggetti estranei al gruppo dei mandanti”. Interessante è pure Cass., sez. pen. III, 8 luglio 2016, n. 6871, a parere della quale “[l’uso di gruppo non si ravvisa] quando vi è stata prima la cessione di droga [ex comma 1 Art. 73 TU 309/90] e poi un consumo comune della droga ceduta”. Come si può notare, la Giurisprudenza di legittimità, negli Anni Duemila, ha saputo distinguere tra l’Art. 73 TU 309/90 e l’Art. 75 TU 309/90, senza abbandonarsi ad un oltranzista abolizionismo totale.
In effetti, Cass., sez. pen. IV, 23 gennaio 2014, n. 6782, pur non integrando gli estremi della “zero tolerance”, tuttavia mantiene dei limiti all’applicabilità del comma 1 Art. 75 TU 309/90, in tanto in quanto “il gruppo [degli assuntori finali] deve preesistere, deve essere certa, sin dall’inizio, l’identità dei partecipanti e l’acquirente deve farne parte”. Similmente, Cass., sez. pen. VI, 3 giugno 2003, n. 28318 mette in risalto che “[anche] l’accordo deve preesistere all’acquisto e occorre che l’acquisto avvenga, sin dall’inizio, per conto degli altri componenti del gruppo, al cui uso personale la sostanza è destinata […] [Necessita] la dimostrazione dell’esistenza di un preventivo incarico all’acquisto dato dal gruppo ad uno dei partecipanti, dovendo escludersi sia l’ulteriore condizione del previo versamento della somma necessaria all’acquisto da parte di tutti, sia la sussistenza di una precedente intesa in ordine al luogo ed ai tempi del successivo consumo”. Analogamente, Cass., sez. pen. IV, 11 maggio 2000, n. 12001 postula che, ai fini dell’applicabilità dell’Art. 75 TU 309/90, “si ha consumo di gruppo [solo] se tutti i consumatori detengono, fin dall’acquisto, in comunione, la sostanza per uso personale, in virtù dell’accordo preventivo e del mandato conferito ad uno dei partecipanti [all’assunzione collettiva]”: D’altra parte, pure negli Anni Novanta del Novecento, Cass., sez. pen. VI, 4 giugno 1999, n. 9075 affermava che “non è necessario che, prima dell’acquisto, vi sia la raccolta del denaro, che può avvenire anche dopo; non è necessario che il futuro consumo di gruppo sia già programmato nei dettagli di tempo e luogo. Si possono valorizzare, per provare l’accordo, elementi molto eterogenei, quali il rapporto di amicizia tra l’acquirente e gli altri consumatori o l’unicità della confezione contenente la sostanza”
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Santi Bologna, Alessandro Bosco, Alfredo Spitaleri | Maggioli Editore 2021
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