Quando è configurabile l’identità del fatto ai fini della preclusione del giudicato
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Indice
1. La questione
La Corte di Appello di Lecce, decidendo in sede di rinvio a seguito di una pronuncia della Corte di Cassazione, che aveva annullato un’altra sentenza della Corte d’Appello di Lecce, con la quale era stata confermata la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva assolto l’imputato dal delitto di cui all’art. 572 c.p. e lo aveva condannato per il delitto di lesioni volontarie, dichiarava l’imputato responsabile del delitto di maltrattamenti in famiglia, limitatamente ad uno specifico frangente temporale, ed aveva altresì dichiarato non doversi procedere in ordine al medesimo reato, quanto ad un altro lasso di tempo, perché coperto da precedente giudicato confermando la precedente condanna per il delitto di cui all’art. 572 c.p., commesso in periodo antecedente al 2011.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure, l’imputato proponeva, per il tramite del difensore, ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, deduceva l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o decadenza e vizio di motivazione in riferimento alla doglianza relativa alla violazione del divieto di bis in idem.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva i motivi summenzionati fondati.
In particolare, gli Ermellini osservavano prima di tutto che, con la sentenza n. 200 del 2016, la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale.
Orbene, in tale occasione, il Giudice delle leggi aveva oltre tutto chiarito che la Convenzione Europea impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest’ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell’agente, rilevandosi al contempo che il diritto vivente, con una lettura conforme all’attuale stadio di sviluppo dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, impone di valutare, con un approccio storico-naturalistico, la identità della condotta è dell’evento, secondo le modalità con cui esso si è concretamente prodotto a causa della prima.
Dunque, evidenziava la Corte di legittimità nella pronuncia qui in commento, sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, sicché non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un’unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico.
In altri termini, deve essere respinta la tendenza ad espandere il concetto di identità del fatto fino a richiedere, quale presupposto per la sua sussistenza, la sola generica identità della condotta, mentre è invece necessario che l’interprete proceda ad analizzare tutti gli elementi costitutivi, seppure riferendosi a un confronto fra fatti materiali e non semplicemente a un confronto fra disposizioni sanzionatorie.
Di conseguenza, ai fini della preclusione del giudicato, l’identità del fatto è configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicché costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell’attività delittuosa, distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa (Sez. 5, Sentenza n. 18020 del 10/02/2022).
Alla luce dell’accoglimento di siffatte doglianze, quindi, la sentenza impugnata era annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce per nuovo giudizio.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando è configurabile l’identità del fatto ai fini della preclusione del giudicato.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un precedente conforme e in conformità con quanto postulato dalla Consulta nella sentenza n. 200 del 2016, che, ai fini della preclusione del giudicato, l’identità del fatto è configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicché costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell’attività delittuosa, distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa.
Dunque, per verificare se sia violato (o meno) il divieto di bis in idem, ben può farsi riferimento a questo principio di diritto.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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