Concorso esterno: il tramonto del nullum crimen sine lege poenali

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Nell’attuale calderone politico sul concorso esterno, emerge la tracotanza degli orientamenti maggioritari, a discapito del ruolo che il legislatore è chiamato a svolgere. Benchè l’esigenza di coprire penalmente le zone grigie della contiguità mafiosa risulti necessaria, quest’ultima non può giustificare alcuna forma di sopraffazione della legalità. Il principio di legalità impone che, in materia penale si debba intervenire tramite la legge, poiché solo il Parlamento è espressione della democrazia. La riserva di legge è tendenzialmente assoluta, risultando ammesse solo fonti regolamentari di natura tecnica. Il concorso esterno viola il principio di legalità, essendo una figura creata dalla giurisprudenza e per come interpretata, non riconducibile alla previsione dell’art. 110 c.p., la quale impone il concorso nel medesimo reato, il che significa concorrere nella realizzazione della stessa fattispecie tipizzata e nel caso di specie, vuol dire realizzare quanto stabilito dall’art. 416 bis c.p. Urge, quindi, un intervento del legislatore che vada a tipizzare il reato in maniera espressa, non potendosi, in ordine alla tutela della libertà personale, accettare un simile sconfinamento dei poteri. Defraudare la separazione dei poteri, appellandosi all’interpretazione sistematica non legittima l’intervento creativo della giurisprudenza ma, conduce solo al declino della legalità, in barba alle conquiste democratiche e liberali raggiunte.

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Indice

1. Il principio di legalità e i suoi corollari

Conquista degli Stati liberal-democratici, il principio di legalità si erge a massima garanzia della libertà personale (art. 3 Cost), del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e dei diritti fondamentali generalmente riconosciuti (art. 2, 24, 111 Cost.), dalla prevaricazione e dai soprusi del c.d. Stato di polizia, improntato all’autoritarismo e al giustizialismo. Trae le sue radici, nel periodo dell’illuminismo, dal principio liberale della separazione dei poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario (Montesquie). Si traduce nella nota locuzione Nullum crimen et nullum poena sine previa lege poenali (Feuerbach). E’ previsto, dapprima nel codice penale agli art. 1 (pene in senso stretto) e 199 (misure di sicurezza), per poi essere recepito direttamente al co. 2 dell’art. 25 Cost. E’ disciplinato dall’art. 7 CEDU, dall’art 49 Nizza e dall’art. 15 Patti sui diritti civili e politici. Si sostanzia come riserva di legge, tale per cui in materia penale non sono ammessi altre fonti, diverse dalla legge che promana dal Parlamento (organo rappresentativo della democrazia ex art. 1 Cost.) o su cui quest’ultimo può esercitare un potere di controllo e di decisione: decreti legge e decreti legislativi ex artt. 76 e 77 Cost. Si traduce nella irretroattività della legge penale sfavorevole (art. 2 co. 2 c.p.), in quanto ogni fattispecie penale deve essere necessariamente conoscibile (pubblicità adeguata ex art. 73 co. III Cost.), prima della commissione dell’illecito. Solo in tal modo, infatti, l’uomo può dirsi libero nelle sue scelte di azione e orientare o meno il proprio comportamento al rispetto del precetto penale.
Il principio di legalità, garantisce la certezza del diritto, che a sua volta tutela l’affidamento che l’individuo ripone nel sistema ordinamentale di cui fa parte. Tale principio viene espressamente affermato anche dalla Corte costituzionale, nella sent. n. 230 del 2012 in cui, lo traduce come “esigenza di prevedibilità e calcolabilità delle coseguenze giuridico-penale della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale”.  Proprio al fine di garantire la funzione della conoscibilità, il principio di legalità comporta che la fattispecie, non solo debba essere prevista in una previa legge scritta ma, che la tecnica utilizzata sia improntata alla chiarezza espositiva, dal contenuto intellegibile, dalla precisione linguistica, dai quali deriva il divieto di analogia in malam partem, e dalla determinatezza, intesa come possibilità di ricostruire nella realtà fenomenica, quanto previsto dalla norma generale e astratta. Tali principi costituiscono il fondamento di una società che può dirsi civile e solo attraverso il loro rispetto, può dirsi realizzata la funzione preventiva generale e speciale della pena.
Come già accennato, a fronte di una fattispecie dal significato dubbio, non si potrà muovere alcun rimprovero di colpevolezza, attivandosi la garanzia dell’ignoranza penale inevitabile, ex art. 5 c.p., così come riformulato dalla Corte Cost. con la nota sentenza Dell’Andro (364/1988), in quanto una norma di tale specie, non è in grado di orientare il comportamento dei consociati. La chiarezza, spesso, è valutata in relazione al criterio della precisione. Insieme, convergono sulla capacità della norma di essere compresa ma, mentre la chiarezza attiene al piano del significato linguistico, la precisione opera sul piano del significato penalmente rilevante. Una norma che risulti imprecisa strutturalmente, non può trovare applicazione funzionale, perchè indeterminata sul piano fenomenico. Sul punto, si pensi al noto caso della dichiarazione di incostituzionalità del reato di plagio ex art. 603 c.p. [1], proprio sulla base della difficoltà ermenutica e pratica di individuare concretamente la fattispecie concreta assoggettabile a pena, in relazione al requisito astratto dello stato di soggezione.  Essendo quest’ultimo di difficile individuazione, continuare a ritenere legittima la fattispecie astratta, avrebbe comportato uno squilibrio delle funzioni, in quanto avrebbe determinato l’estensione, senza misura, dello spazio di manovra interpretativo di cui il giudice dispone. Di conseguenza, il principio di legalità e la garanzia della tutela della libertà personale, sarebbero state svuotate, precipitando nell’oblio della disfunzione penale, a danno dei consociati.
Sul rispetto di tali principi strutturali (chiarezza, precisione, determinatezza) si potrebbero riportare svariati esempi, basti pensare alle clausole generali quali l’ordine pubblico, il sentimento di pietà, i motivi abietti o futili o alle c.d. norme in bianco, ritenute legittime solo se il precetto risulta conforme agli stessi, alle espressioni ondivaghe come ad esempio, i riferimenti a materie simili o casi analoghi. Tutte ipotesi, dubbie ma, che sono state ritenute legittime dalla Corte Costituzionale, in quanto di facile soluzione interpretativa e per questo non in contrasto con la capacità di conoscibilità della norma penale, ne in violazione del favor rei. In effetti, si tratta pur sempre di fattispecie che sono riconducibili ad una disposizione legalmente data e che non destano margini di manipolazione interpretativa.

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2. La figura “sintomatica” del concorso esterno

La figura del concorso esterno è di creazione giurisprudenziale. Ad essa si approda, al fine di non lasciare impunite tutte quelle condotte di collusione al fenomeno mafioso (le c.d. zone grigie) ma, che non potevano essere ricondotte alla fattispecie tipica del 416bis, nelle figure criminali da questa prospettate, tra cui la partecipazione. L’elemento di discrimine, viene individuato nella mancata volontà di aderire al vincolo associativo ma, contemporaneamente, nella volontà di apportare un contributo utile alla consorteria. Tale figura cominciò a circolare già nei primi anni ’70 durante i quali, si coniò la possibilità di concorrere alla realizzazione di una fattispecie a concorso necessario, quale è appunto il reato associativo (associazione a delinquere semplice, di stampo mafioso ecc..).
Il nostro codice penale, non individua espressamente nelle norme sul concorso di persone nel reato delle figure tipiche di concorrenti. L’art. 110 c.p. si limita a punire, in via generale, allo stesso modo (visione unitaria), chiunque concorre (materialmente o moralmente) nel medesimo reato, salvo l’applicazione di un trattamento sanzionatorio diverso, sulla base delle caratteristiche soggettive e delle modalità di realizzazione della fattispecie (artt. 111 c.p. ss). Proprio lo schema delle fattispecie associative, ci consente di apprezzare sul piano fenomenico e sanzionatorio il diverso tipo di apporto dato nella realizzazione delle stesse e di conseguenza, ci consente di distinguere le varie tipologie di concorso necessario: promotori, organizzatori, che assumono una carica di pericolosità maggiore, in quanto fondatori del vincolo associativo e partecipanti, puniti più lievemente sulla base del legame al vincolo associativo, che avviene in un secondo momento, tramite adesione.
In merito al reato di associazione di stampo mafioso, sono punite espressamente anche le condotte di assistenza agli associati ex art. 418 e il favoreggiamento personale. Entrambe dirette a punire un certo tipo di apporto prestato, in aiuto alle persone che fanno parte dell’associazione mafiosa e non dirette, quindi, a favorire il vincolo associativo mafioso. La prima opera solo in assenza della configurazione del favoreggiamento personale, ipotesi più grave che la assorbe e del concorso nel reato. Proprio tale disposizione, legittima l’applicazione dell’istituto del concorso di persone, nel reato associativo di stampo mafioso che, anche sulla base dell’interpretazione sistemica, si differenzia per l’apporto prestato in favore dell’associazione mafiosa.

3. L’evoluzione giurisprudenziale

Il dibattito giurisprudenziale sull’applicazione del concorso esterno, ha preso corpo dall’inizio degli anni 90, a seguito delle numerose stragi mafiose a danno di personaggi di spicco della politica e della magistratura italiana (si pensi all’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino). L’esigenza di rispondere in maniera più penetrante ed efficiente alla forza criminale delle mafie, ha condotto gli interpreti ad un lungo iter giurisprudenziale rivolto alla costruzione legale del reato, al fine di legittimarne l’applicazione e di conseguenza punire ogni ambito legato alla mafia. Sul punto, infatti, non vi era concordanza e di fatto, la giurisprudenza era divisa a metà, tra il riconoscerne la configurazione sulla base della fattispecie del concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p. e il negarla per le difficoltà ermenutiche annesse alla figura e al contestuale difetto di determinatezza. Tale iter si è andato consolidando nel tempo, a cominciare dalla sentenza Demitry dell’ottobre del 1994, dove le Sezioni Unite sembrano approdare ad un punto fermo, convergendo per la configurabilità dello stesso. Nello specifico, si delinea la figura del concorrente esterno nel soggetto che, pur non aderendo al vincolo associativo, fornisce un particolare contributo alla consorteria, quando quest’ultima si trovi in un momento di fibrillazione, che proprio grazie a tale contributo viene affrontato e superato. Proprio la temporaneità dell’intervento, discrimina il concorrente esterno dal partecipe, il quale, invece, è legato all’associazione in maniera organica e stabile. Pochi anni dopo, la sentenza Carnevale del 2002, ne ribadisce la configurabilità e individua il concorrente esterno nel soggetto che non aderisce al vincolo associativo, ma fornisce un contributo causalmente rilevante alla conservazione o al rafforzamento del sodalizio. Tale pronuncia, da una parte, allarga la soglia di punibilità, perchè elimina il riferimento allo stato patologico e di fibrillazione in cui l’associazione si sarebbe dovuta trovare secondo il dictum della Demitry, dall’altra, richiede un accertamento concreto dell’effettività causale del contributo. Il concorso esterno giunge nuovamente all’attenzione delle Sezioni Unite, con la seconda sentenza Mannino del 2005, le quali seguono l’orientamento della Carnevale, richiedendo che l’accertamento dell’effetività causale del contributo al rafforzamento dell’associazione mafiosa, venga condotto con il metodo della conditio sine qua non e a differenza di quest’utima, non si ritiene sufficiente il dolo eventuale, necessitandosi, invece, della prova del dolo diretto.              
Quando il dibattito intorno al concorso esterno sembrava essersi placato, nel 2015, con il caso Contrada approdato all’attenzione della Corte Edu, gli animi degli interpreti si accesero nuovamente. La Corte Edu fu chiamata a giudicare della legittimità o meno della figura delittuosa applicata nei confronti dell’ex funzionario della Polizia di Stato Bruno Contrada, concludendo per la violazione dell’art. 7 CEDU da parte dello Stato italiano, in quanto, ai tempi (1979-1988) in cui quest’ultimo commise i fatti contestategli, non era stato raggiunto l’acquis giurisprudenziale sul punto, difettando la tipicità della fattispecie e di conseguenza la conoscibilità e la previsione della stessa [2], requisiti ritenuti raggiunti solo dalla sentenza Demitry in poi (1992). Sul punto bisogna svolgere una breve precisazione. La Corte EDU applica il principio di legalità in senso sostanziale in coerenza al tipo di ordinamento dal quale trae origine e che si basa sul common law. Tutto questo si traduce, nella non necessarietà della fonte legale ed è per tale ragione che non si è affrontato il problema della violazione della riserva di legge. Il caso, invece, è stato analizzato sulla base dei principi insiti nella disposizione dell’art. 7 CEDU, che si traducono nel rispetto della precisione del significato della fattispecie e soprattutto nella prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie, a tutela della libera autodeterminazione delle persone, il che si aggancia al principio dell’interpretazione ragionevole. Non della fattispecie in sé, si è trattato ma, del contesto in cui quest’ultima è stata applicata. La pronuncia sul caso Contrada, ha scatenato uno scenario interno fortemente polemico in ordine all’applicazione del dictum della Corte EDU, anche ai c.d. fratelli minori (soggetti condannati per la medesima fattispecie). In merito, è bene riprendere le conclusioni raggiunte con la pronuncia Taricco, che disciplina proprio i rapporti tra ordinamento interno, fonti UE e internazionali, in combinato alle pronunce gemelle 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale che sono intervenute proprio in relazione al ruolo della CEDU nel diritto inteno (fonte subcostituzionale). Nella specie, rileva inquadrare o meno la decisione sul caso Contrada nella categoria delle sentenze Pilota (art. 61 reg. CEDU) o in quella della giurisprudenza consolidata, perchè solo in questi casi è concesso fare applicazione del decisum ultra partes, nonostane la Corte EDU, anche nella recente pronuncia sul caso Genco, abbia ribadito che non esistono differenze qualitative e che ogni sentenza debba essere applicata [3]. Condizioni, che la Cassazione, con la pronuncia Dell’Utri del 2016 non ritiene raggiunte e di conseguenza non estende il giudicato del caso Contrada allo stesso, confermando la condanna, anche sulla base di una posizione differente dei due soggetti [4].
A bene vedere, però, i dubbi di legittimità di tale fattispecie sono ancora tanti. Non solo per il requisito della determinatezza ma, soprattutto per il rispetto del principio della riserva di legge [5]. Invero, la Cassazione ha più volte respinto [6] ogni tentativo di delegittimazione, riconducendo il concorso esterno all’applicazione dell’art. 110 c.p., in combinato alla fattispecie base ex art. 416bis. Invero, proprio la disposizione dell’art. 110 c.p., ci fornisce l’elemento per poter affermare l’illegittimità del reato.
La norma sul concorso di persone nel reato, infatti, deve essere ritenuta espressiva del principio di tipicità. La locuzione, nel medesimo reato, stabilisce che il concorso di persone, può realizzarsi solo quando più persone realizzano sul piano fenomenico lo stesso reato. Questo vuol dire che, si deve violare la stessa fattispecie e di conseguenza, per ogni concorrente deve ritenersi configurabile il fatto tipico, comprensivo degli elementi oggettivi e soggettivi che lo costituiscono. Il punto, quindi, non è ragionare in termini di compatibilità o meno del concorso di persone eventuale con le fattispecie a concorso necessario. Ciò che rileva è la corretta configurazione del concorso di persone eventuale, in relazione a qualsiasi fattispecie di parte speciale e dunque anche in riferimento all’associazione mafiosa. In altre parole, il c.d. concorso esterno, per come è stato costruito dall’interpretazione giurisprudenziale, si pone in violazione del principio di tipicità e del principio di legalità formale perchè, si costituisce sulla base di una fattispecie diversa rispetto all’associazione di stampo mafiosa. Ne consegue che, si è verificato, da parte della giurisprudenza uno sconfinamento di poteri e funzioni, attribuendosi, indebitamente, il ruolo di creatore della fattispecie penale.

4. Conclusione

Si sta attraversando un periodo storico in cui il principio di legalità è sempre più aggredito. La carenza della qualità nella produzione legislativa, la frantumazione delle forze politiche e la conseguente crisi della rappresentatività, il sistema dellle fonti multilivello (fonti sovrastatali e private[1]), l’esigenza di sopperire alle lacune tecniche, hanno comportato il disequilibrio delle competenze e delle funzioni. Un disequilibrio, a volte necessitato dalle contingenze storico-fattuali, altre volte, frutto dell’opera duttile di chi la legge la deve applicare per trovare la miglior soluzione al caso concreto, spesso dovuto a causa della fallacia della tecnica legislativa. Ma, tutto questo, non può ritenersi conforme ai principi costitutivi del diritto penale. Il principio di legalità è entrato in piena crisi e l’opera di “salvataggio” non può provenire dalla giurisprudenza. In tal modo, infatti, si realizza la c.d. truffa delle etichette[2], in quanto ciò che si mostra strutturalmente debole, viene interpretato creativamente e tale risultato non può ritenersi ammissibile in uno Stato fondato sulla separazione dei poteri, a tutela della democraticità. Il concorso esterno ne è dimostrazione. Bisogna intervenire legislativamente su tale fattispecie, introducendola espressamente o dichiarandone l’illegittimità e la non necessarietà. In genere, è bene che il legislatore recuperi il suo ruolo di decisore e massimo interprete, puntando allo svecchiamento della tecnica normativa, allo snellimento e al riordino delle fattispecie penalistiche e alla garanzia della tutela della libertà personale, la quale, non può subire alcuna forma di limitazione, se non espressa dalla legge.
Ogni politica criminale infatti, prima che rispondere all’esigenza sociale, deve rispondere alla legalità. 

Bibliografia

M. Donini, Il concorso esterno “alla vita dell’associazione” e il principio di tipicità penale, riv. D.P.C., 2017;
V. Maiello, Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale, Giappichelli, 2014;
V. Manes, Retroattività, diritto e processo penale (da Scoppola a Contrada), riv. Questione e Giustizia, 2019;
R. Mazzon, Il concorso di reati e il concorso di persone nel reato, CEDAM, 2011; 
Red., Concorso esterno in associazione mafiosa: infondata la questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di legalità, riv. Giurisprudenza Penale, 2016, su https://www.giurisprudenzapenale.com/2016/05/03/concorso-esterno-in-associazione-mafiosa-infondata-la-questione-di-legittimita-costituzionale-per-violazione-del-principio-di-legalita/

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Note

  1. [1]

    Corte Cost. sent. n. 96 del 1981

  2. [2]

    La Corte EDU ritiene rispettato il principio di legalità, quando la fattispecie penale risulta accessibile e prevedibile, non risultando rilevante la fonte da cui la prima deriva. Sul punto si vedano le note pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Affaire Varvaria.ra c. Italie, 29/10/2013, http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-127394, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Affaire Contrada c. Italie, 14/04/2015, http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-153771, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Case of De Tommaso v. Italie, 23/02/2017, http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-171

  3. [3]

    Il testo della sentenza è disponibile su https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1583877426_sezioni-unite-8544-2020-genco-fratelli-minori-contrada.pdf

  4. [4]

    Il testo della sentenza è rinvenibile su https://www.archivioantimafia.org/sentenze2/dellutri/dellutri_cassazione_2014.pdf

  5. [5]

    S. Sasso, Principio di tassatività, concorso esterno ed erosione del giudicato, riv. Diritto & Diritti, 2020, su https://www.diritto.it/principio-di-tassativita-concorso-esterno-ed-erosione-del-giudicato/

  6. [6]

    Red., Concorso esterno in associazione mafiosa: infondata la questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di legalità, riv. Giurisprudenza Penale, 2016, su https://www.giurisprudenzapenale.com/2016/05/03/concorso-esterno-in-associazione-mafiosa-infondata-la-questione-di-legittimita-costituzionale-per-violazione-del-principio-di-legalita/

  7. [7]

    Si pensi agli interessi finanziari UE da una parte e alle norme sulla sicurezza dei lavoratori, nei luoghi di lavoro, ai protocolli, ai modelli di comportamento dall’altra.

  8. [8]

    Un chiaro esempio di truffa delle etichette può essere rintracciato nelle sanzioni formalmente amministrative e sostanzialmente penali: Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Case of Engel and others v. The Netherlands, 8/06/1976, http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-57479

Francesca Fuscaldo

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