Furto in abitazione (art. 624bis c.p.): differenze interpretative e recenti sviluppi

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Diversamente dalla previgente predisposizione normativa, la novella legislativa n. 128//2001, ha introdotto l’autonoma fattispecie del reato di furto in abitazione (art. 624bis c.p.), ispirata alla ratio della maggior difesa nei confronti dell’incolumità dell’offeso, la quale si affianca alla già esistente fattispecie di furto semplice, di cui all’art. 624 c.p.
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Indice

1. La nuova fattispecie di “furto in abitazione (art. 624bis c.p.) e la nozione di “privata dimora”


Partendo da un caso di specie, il Tribunale di Bologna ha condannato in primo grado di giudizio un soggetto che era stato sorpreso mentre si accingeva a rubare una bicicletta sita all’interno del cortile della sagrestia della Basilica di San Petronio. Il soggetto è stato imputato del reato di cui all’art. 624bis c.p., comma 1 e condannato alla pena di anni 1 di reclusione.
Date le circostanze del fatto, appare opportuno chiedersi per quale ragione il Giudice di primo grado abbia deciso di condannare l’imputato per la fattispecie specifica di furto in abitazione e non, invece, quella del furto semplice prevista dall’art. 624 c.p. A tal proposito bisogna volgere lo sguardo in primis alla differenza tra le due fattispecie previste dal codice e, in secondo luogo, ai recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di furto in abitazione.
Tra le due norme vige un rapporto di genere-specie, secondo cui il furto in privata dimora integra tutti gli elementi costitutivi del furto semplice, delineando maggiormente i contorni della fattispecie, il che giustifica l’aumento di pena previsto.
Seppur entrambe vengano collocate all’interno della categoria dei reati contro il patrimonio, l’elemento che li distingue si rinviene nel luogo, o per meglio dire, nella percezione che ha del luogo, in cui avviene  “l’impossessamento della cosa mobile altrui”, la persona offesa. Mentre, infatti, l’art. 624 c.p., contiene un generico riferimento all’impossessamento, senza altra specificazione, l’art. 624bis comma 1 c.p., sancisce che il furto, per potersi dire realizzato in abitazione, occorre che avvenga “mediante introduzione in edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora”.
Dunque, per comprendere la sentenza di primo grado del Tribunale di Bologna, occorre chiedersi cosa si intende per “edificio o altro luogo destinato a privata dimora”.
La Corte di Cassazione, sul tema, ha sviluppato una copiosa giurisprudenza, comprendendo sin dall’inizio che, la nuova nozione di “privata dimora” è dotata di un significato marcatamente più ampio rispetto alla precedente nozione di “abitazione”. Per tale ragione, il raggio di applicabilità dell’art.624bis c.p., è stato ampliato a “qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente all’esplicazione della vita privata o delle attività lavorative, culturali, professionali” (Cassazione penale sez. IV, Sent. N. 43452 14/10/2009). Successivamente, facendo leva su tale orientamento, i Giudici della Suprema Corte si sono spinti fino al punto di ammettere l’applicabilità dell’art. 624bis c.p., in ordine al furto commesso all’interno di un ristorante in orario di chiusura (Sez. 2, n. 24763 del 26/05/2015) sul presupposto secondo cui all’interno di tali luoghi, una volta cessata l’attività aperta al pubblico, vengano svolti atti della vita privata.


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2. La nozione di “privata dimora” dopo la sent. N. 31345/2017 della corte di cassazione a sezioni unite


L’eccessivo ampliamento della portata interpretativa della nozione di “privata dimora”, ha spinto, tuttavia, la Suprema Corte a Sezioni Unite ad intervenire.
Ecco che, sul punto, lo snodo fondamentale è rappresentato dalla Sent. N. 31345 22/06/2017,  Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Secondo tale pronuncia, riprendendo il significato del termine “dimora”, la portata interpretativa della nozione deve essere ridimensionata, escludendo “tutti i casi in cui ci si trovi in un luogo in modo del tutto occasionale (anche se per svolgere atti della vita privata) e senza avere alcun rapporto (tranne la presenza fisica) con il luogo medesimo”.
Di fatti, lo stesso ampliamento interpretativo non si dimostra coerente con il tenore letterale della norma presa in considerazione poiché lo spostamento del baricentro dal luogo in cui avviene il reato al tempo in cui lo stesso viene commesso, determina una “tutela ad intermittenza”, condizionata esclusivamente ad elementi esterni alla fattispecie quali, ad esempio, l’orario dell’attività. Allo stesso tempo, l’interpretazione propugnata dalle sentenze prima citate, se  giustificata da un lato dall’esigenza di tutela dell’individuo qualora questo commetta atti della vita privata anche al dì fuori dell’abitazione, dall’altro, prevarica il tenore letterale della norma, la quale richiede che si tratti di un luogo destinato a privata dimora, dotato quindi, delle caratteristiche dell’abitazione in sè. La sentenza, dunque, si distingue per aver posto un limite all’interpretazione estensiva della nozione di dimora, sancendo che questa, comunque, deve possedere le caratteristiche della abitazione ed inoltre, specificando che, come tale, deve trattarsi di un luogo in cui, proprio per ragioni di riservatezza, l’accesso a terzi non è consentito in mancanza del consenso dell’avente diritto.
Tale impostazione si dimostra, altresì, coerente con l’indirizzo della Corte Costituzionale sul tema della libertà di domicilio, secondo cui la stessa possiede “una valenza essenzialmente negativa, concretandosi nel diritto di preservare da interferenze esterne, pubbliche o private, determinati luoghi in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo”.
Sulla scorta di tali principi, la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 624bis c.p. in relazione ad un furto commesso all’interno di una stanza adibita a spogliatoio riservato agli operai che stavano effettuando lavori di ristrutturazione di un edificio (Sez. V, Sent. n. 37795 21/09/2021), mentre invece ha ritenuto non applicabile lo stesso in ordine ad un furto commesso all’interno della segreteria di un circolo sportivo, trattandosi di un luogo non precluso a priori a terzi e destinato ad attività non riconducibili a comportamenti inerenti alla vita privata (Sez. V, Sent. n. 11744 6/02/2020).
La motivazione sottostante la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Bologna si rinviene, pertanto, nel fatto che il furto è stato commesso nel parcheggio interno della sacrestia, luogo in cui non ci si trova in maniera del tutto occasione, all’interno del quale si commette un atto della vita privata e che, seppur non adibito ad abitazione, può essere considerato di pertinenza di un’abitazione stessa.

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Antonio Giulisano

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