Salario minimo costituzionale: per la Cassazione va garantito

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La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 27713 del 2 ottobre 2023) ha sancito importanti principi di diritto secondo i quali il salario minimo deve essere garantito a livello costituzionale.

Per approfondimenti si consiglia: La prova nel processo del lavoro

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Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – Sentenza n. 27713 del 2 ottobre 2023

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1. I fatti

La decisione della Corte di Cassazione scaturisce da un ricorso presentato da un lavoratore dipendente avverso la sentenza di secondo grado che ha respinto le sue domande nei confronti della datrice di lavoro condannandolo al pagamento del doppio grado di giudizio.
Nello specifico, la Corte d’appello di Torino ha integralmente riformato la sentenza di primo grado che, accogliendo le domande del lavoratore dipendente, aveva accertato, da una parte, l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli condannando l’azienda datrice di lavoro a corrispondergli un’indennità pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione e, dall’altra parte, aveva condannato la stessa convenuta a corrispondere al ricorrente l’importo di € 1.794,52 a titolo di differenze retributive calcolate ai sensi dell’art. 36 Cost. in applicazione del CCNL per i dipendenti da proprietari di fabbricati in relazione ad un inquadramento di livello D, in luogo del CCNL Servizi Fiduciari applicato dalla datrice di lavoro, considerato non conforme alle prescrizioni costituzionali.
A fondamento di ciò, la Corte d’appello, quanto al licenziamento intimato al lavoratore, ha affermato che esso fosse stato intimato per giusta causa a seguito dell’invio di alcuni messaggi whatsapp integranti insubordinazione e comportamento gravemente ingiurioso con plurime minacce ed era, quindi, idoneo per la sua gravità a ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario ai sensi dell’art. 2119 c.c.
Quanto al trattamento retributivo, invece, la Corte d’appello ha affermato che il lavoratore ricorrente percepisse per 30 ore di lavoro part time settimanale, in base alle buste paga, una retribuzione mensile lorda pari ad euro 612,86 al netto di maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo costantemente ricorrenti e che lo scarto tra la retribuzione lorda prevista dal CCNL Servizi Fiduciari per un rapporto full time di 40 ore (817,1309 € pari al netto di € 557,46) e il parametri Istat di povertà assoluta pari ad € 834,64 indicato dal lavoratore, fosse tutt’altro che significativo.
Inoltre, secondo la Corte, il CCNL applicato corrispondeva al settore relativo all’attività svolta dall’imprenditore, era sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi ed appariva corretto attribuire specifica rilevanza alle concrete determinazioni dei soggetti stipulanti in merito all’area contrattuale in concreto da essi individuata.

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Le valutazioni della Cassazione

Il ricorso del lavoratore è stato parzialmente accolto dalla Suprema Corte.
Nel suo percorso decisionale, sono stati analizzati diversi aspetti, partendo dalla definizione legale di “salario minimo” (o di giusto salario) “esistente nel nostro Paese a livello costituzionale, con i requisiti pure essi giuridici di sufficienza e di proporzionalità espressi al massimo grado dell’ordinamento, in relazione a cui andava effettuato dal giudice di appello un corretto giudizio di sussunzione“.
Riprendendo consolidata giurisprudenza (sentenza n. 24449/2016), la Cassazione afferma che “l’art. 36, 1° co., Cost. garantisce due diritti distinti che, tuttavia, nella concreta determinazione della retribuzione, si integrano a vicenda: quello ad una retribuzione proporzionata garantisce ai lavoratori una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell’attività prestata; mentre quello ad una retribuzione sufficiente dà diritto ad una retribuzione non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d’uomo, ovvero ad una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa“.
Per quanto concerne il valore della soglia di povertà assoluta, la Corte ricorda che “è noto che esso viene calcolato ogni anno dall’Istat relativamente ad un paniere di beni e servizi essenziali per il sostentamento vitale differenziandolo in ragione dell’età, dell’area geografica di residenza del singolo e dei componenti della famiglia; mentre i concetti di sufficienza e proporzionalità mirano a garantire al lavoratore una vita non solo non povera ma persino dignitosa, orientando il trattamento economico non solo verso il soddisfacimento di meri bisogni essenziali ma verso qualcosa in più che la recente Direttiva UE sui salari adeguati all’interno dell’Unione n. 2022/2041 individua nel conseguimento anche di beni immateriali“.
La Corte continua la sua analisi sancendo che in nessun caso la verifica della sufficienza della retribuzione in concreto corrisposta, anche attraverso il livello Istat di povertà assoluta, può esaurire l’oggetto della articolata valutazione demandata al giudice ai sensi dell’art. 36 Cost. come si è invece verificato con il giudizio in oggetto. Essa deve condurre sempre alla determinazione del quantum del salario costituzionalee spetta al giudice di merito valutarne la conformità ai criteri indicati dall’art. 36 Cost., mentre il lavoratore che deduca la non conformità della retribuzione corrispostagli dal datore di lavoro all’art. 36 Cost. deve provare solo il lavoro svolto e l’entità della retribuzione, e non anche l’insufficienza o la non proporzionalità che rappresentano i criteri giuridici che il giudice deve utilizzare nell’opera di accertamento“.
Tra l’altro, nel caso di specie, il lavoratore oltre a richiamare il valore soglia di povertà, aveva dedotto che il CCNL Servizi Fiduciari applicato nella fattispecie prevedeva retribuzioni inferiori di circa un terzo rispetto a quelle precedentemente applicate nel settore, e previste in differenti CCNL maggiormente rappresentative.
La Cassazione aggiunge che sotto il profilo del quantumappare altresì priva di fondamento la tesi affermata come valida in generale dalla Corte di appello di Torino, secondo cui ai fini dell’art.36 Cost. bisogna prendere a riferimento il trattamento complessivo della retribuzione comprensivo della retribuzione per lavoro straordinario, in quanto riconosciuto dalla Corte Cost n. 470/2002 e dalla sentenza di questa Corte n. 5934/2004“: secondo costante e maggioritaria giurisprudenza, l’apprezzamento dell’adeguatezza della retribuzione in concreto resta riservato al giudice di merito.
La Corte, poi, enuclea una serie di disposizioni che prevedono l’introduzione e la definizione dei salari minimi legali cui l’Italia non ha mai dato seguito, in particolare: “da quasi un secolo la convenzione OIL n. 26 del 16 giugno 1928 prevede l’introduzione o la conservazione di meccanismi per la definizione di salari minimi legali mediante contratto collettivo o in altro modo e laddove i salari siano eccessivamente bassi (art. 1). Mentre la convenzione OIL n. 131/1970, che l’Italia non ha ratificato, impegna a stabilire un sistema di salari minimi che protegga tutti i gruppi di lavoratori dipendenti (art. 1), aggiungendo che i salari minimi devono avere forza di legge e non potranno essere abbassati (art. 2)” Altre disposizioni in materia sono dettate dall’art. 4 della Carta sociale europea e negli artt. 23 e 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; ed inoltre dal Pilastro Europeo dei Diritti sociali del novembre 2017 che nel puno 6, lettera a) prefigura la necessità di una retribuzione che offra un tenore di vita dignitoso, mentre la lettera b) impegna all’implementazione di retribuzioni minime adeguate per i bisogni del lavoratore e della famiglia“.
Tutto ciò, insieme al citato art. 36 Cost., si rivolge al legislatore “che deve operare politiche di valorizzazione e di sostegno al reddito in funzione della promozione individuale e sociale dei lavoratori e delle indeclinabili esigenze familiari a cui lo stesso reddito deve far fronte“.

3. La decisione della Cassazione

Sulla base dei motivi suesposti la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore, ha sancito che il giudice si dovrà attenere ai seguenti principi di diritto:
– “Nell’attuazione dell’art. 36 della Costituzione il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita nella contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’art. 36 Cost., anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata“;
– “Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe“;
– “Nella opera di verifica della retribuzione minima adeguata ex art. 36 Cost. il giudice, nell’ambito dei propri poteri ex art. 2099, comma 2, c.c., può fare altresì riferimento, all’occorrenza, ad indicatori statistici, anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022“.

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Riccardo Polito

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