Crisi rifiuti campani: l’inquinamento viola i diritti umani

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La Corte europea dei diritti dell’uomo il 19 ottobre, con una sentenza emessa della I Sezione, ha condannato l’Italia per l’inquinamento conseguito dalla crisi dei rifiuti in Campania, violando i diritti umani.
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Indice

1. Il caso Locascia e altri contro l’Italia


Il ricorso era stato presentato da 19 residenti di alcuni comuni della Campania, riguardo la crisi che si era verificata in Campania circa la raccolta, il trattamento, lo smaltimento, e l’inquinamento nelle discariche. Nel 1994 era stato dichiarato lo stato di emergenza per far fronte a gravi problemi di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e cioè quella che divenne nota come la “crisi della gestione dei rifiuti” e che proseguì per i successivi 15 anni. In particolare, i servizi di raccolta dei rifiuti di Caserta e San Nicola La Strada erano stati interrotti dalla fine del 2007 al maggio 2008. A causa delle grandi quantità di rifiuti accumulati lungo le strade, le autorità locali avevano dovuto adottare misure di emergenza, tra cui la chiusura temporanea di asili nido, scuole, università e mercati locali. Nel 2010, quando è terminato lo stato di emergenza, sono state adottate ulteriori misure, tra cui la costruzione di nuovi impianti di smaltimento dei rifiuti e l’esecuzione di indagini per la mappatura delle aree colpite dall’inquinamento da rifiuti. Era stato inoltre istituito un piano d’azione di emergenza per smaltire le cd. “ecoballe”.

2. L’impianto di Lo Uttaro


Nel frattempo, erano state fatte ispezioni sugli impianti privati di trattamento e smaltimento dei rifiuti per verificare se potevano essere utilizzati per far fronte alla crisi. Uno degli impianti, in funzione dalla fine degli anni ’80, si trovava nella zona di Lo Uttaro nei pressi dell’abitazione dei ricorrenti. Tuttavia, un rapporto del 2001 affermava che l’area di Lo Uttaro era “assolutamente inadatta” per un nuovo impianto in quanto la discarica non era conforme alle normative ambientali. Nel 2005 era stato approvato un piano di decontaminazione ma, nonostante quello e la chiusura dell’impianto, nel 2007 le autorità hanno dato l’autorizzazione allo smaltimento di rifiuti non pericolosi presso quella discarica. I procedimenti giudiziari e amministrativi, dal 2005 al 2020, hanno accertato che Lo Uttaro costituiva un rischio per la salute pubblica, in particolare per le acque sotterranee. La concentrazione di sostanze tossiche nelle acque sotterranee aveva anche portato, dal 2013 al 2019, a vietare ripetutamente l’uso delle acque sotterranee e la coltivazione dell’area. Nel 2020 non erano stati ancora eseguiti i lavori di messa in sicurezza e bonifica dell’area di Lo Uttaro. Nelle loro osservazioni dinanzi alla Corte di giustizia europea, i ricorrenti si sono basati su una serie di documenti ufficiali, comprese alcune sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, inchieste parlamentari e studi scientifici. Da questi documenti è emerso che la crisi dei rifiuti aveva messo in pericolo la salute umana, aumentando il rischio di sviluppare il cancro o malformazioni congenite nelle generazioni a venire.


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3. Il ricorso


Basandosi in particolare sull’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), i ricorrenti hanno sostenuto che le autorità italiane non avevano garantito il buon funzionamento del sistema servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, mettendo in pericolo la loro salute e danneggiando la loro vita privata. Il ricorso è stato depositato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo il 23 giugno 2010.

4. La gestione dei rifiuti


La Corte ha rilevato che Caserta e San Nicola La Strada, dove risiedono i ricorrenti, erano state colpite dalla crisi della gestione dei rifiuti dal 1994 al 2009. Durante tale periodo, i ricorrenti erano stati costretti a vivere in un ambiente inquinato dai rifiuti ammucchiati lungo le strade e dai rifiuti temporanei nei siti di stoccaggio. Essa ha constatato che tale esposizione ai rifiuti, in violazione delle norme di sicurezza, aveva indotto, nei vulnerabili, varie malattie. Tale constatazione è corroborata dagli studi scientifici presentati dai ricorrenti, riconosciuti dalla CGUE e in una relazione d’inchiesta parlamentare del 2013. In effetti, le autorità italiane non erano state in grado di garantire il buon funzionamento dei rifiuti servizi di raccolta, trattamento e smaltimento durante lo stato di emergenza nella regione Campania dall’11 febbraio 1994 al 31 dicembre 2009 e, pertanto, non aveva adottato tutte le misure necessarie per l’effettiva tutela del diritto dei richiedenti al rispetto dei loro diritti, in violazione dell’articolo 8. Tuttavia, il Tribunale ha constatato che le ricorrenti non avevano dimostrato se e in quale misura tali carenze avevano avuto un impatto diretto sulle loro case e sulla loro vita privata dopo la fine dello stato d’emergenza, cioè a decorrere dal 1° gennaio 2010. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che non vi fosse stata violazione dell’articolo 8 riguardo la gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti a partire da tale data.

5. Le prove


Dai documenti ufficiali forniti dalle parti risultava che il sito di Lo Uttaro aveva causato gravi problemi di inquinamento ambientale dovuto a circa 20 anni di smaltimento illegale dei rifiuti. In effetti, il sin dal 2001 le autorità erano a conoscenza del fatto che l’impianto di smaltimento dei rifiuti costituiva un grave pericolo. Nel 2007 era stata rilasciata l’autorizzazione a utilizzare la discarica per lo smaltimento di rifiuti non pericolosi, peggiorando il danno ambientale. Tale situazione, che ha comportato ripetuti divieti di utilizzo delle acque sotterranee, ha avuto un impatto diretto sul benessere personale di coloro che vivono a Caserta e a San Nicola La Strada, come i richiedenti. I documenti, inoltre, evidenziavano che, anche se l’impianto era stato chiuso nel 2007, i rifiuti avevano continuato a mettere in pericolo la salute dei ricorrenti. Secondo le ultime informazioni disponibili, i progetti messi in atto per mettere in sicurezza e ripulire non erano ancora stati pienamente attuati e non c’era un calendario per farlo.

6. La condanna


La Corte ha quindi dichiarato che le autorità italiane non avevano adottato le misure necessarie per tutelare il diritto alla vita privata dei ricorrenti contro l’inquinamento ambientale causato dalla discarica di Uttaro, in violazione dell’articolo 8 (aspetto sostanziale). Inoltre, la Corte ha ritenuto che non vi fosse stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione (aspetto procedurale) per quanto riguarda l’asserita mancata comunicazione ai ricorrenti dell’inquinamento ambientale causato dalla discarica di Lo Uttaro. Tale situazione era infatti pubblica grazie alle inchieste parlamentari svoltesi nel 2007 e nel 2013, varie ordinanze emesse dalla Commissione sindaci di Caserta e San Nicola La Strada, nonché i comunicati stampa pubblicati dalla procura negli anni dal 2013 al 2019.

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