La Cassazione sulla condotta del reato di produzione di materiale pedopornografico

Allegati

La Corte di Cassazione con una recente sentenza (n. 44175 del 3 novembre 2023) ha chiarito gli elementi che configurano la condotta del reato di produzione di materiale pedopornografico.

Per approfondimenti si consiglia: Dibatimento nel processo penale dopo la Riforma Cartabia

Indice

Corte di Cassazione – Sez. III Pen. – Sent. n. 44175 del 03/09/2023

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1. I fatti

La Corte di appello di Lecce, Sez. dist. di Taranto, accogliendo parzialmente il gravame proposto dall’imputato, ne ha confermato la penale responsabilità in ordine ai reati di produzione di materiale pedopornografico e di tentata produzione del medesimo materiale e ne ha rideterminato la pena riconoscendo la circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. sulla scorta delle conformi conclusioni rese dal perito nominato in secondo grado.
Avverso la sentenza di appello, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo (per quello che in questa trattazione rileva) motivi attinenti la condotta.
Nello specifico, con il primo motivo, violazione di legge e mancanza di motivazione per non essere stata effettuata alcuna rilettura dei fatti alla luce della parziale incapacità di intendere e di volere riconosciuta in sede di rinnovazione istruttoria.
Con il secondo motivo si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per essere stato ritenuto il reato consumato di cui all’art. 600 ter cod. pen. in relazione a due sole fotografie che, per un verso, non avevano natura pedopornografica e, per altro verso, non erano state prodotte su induzione dell’imputato, avendole questi tratte dal profilo Instagram ove la minore le aveva pubblicate, come dalla stessa dichiarato nella sua deposizione.
Con riguardo al delitto tentato, si lamenta che la contestata minaccia di rendere pubbliche le foto in possesso dell’imputato qualora la minore non ne avesse prodotte altre per mandargliele era in realtà priva di qualsiasi carattere intimidatorio, posto che, appunto, si trattava di foto della ragazzina già pubblicate sul suo profilo social, mentre la dichiarazione circa la minaccia di rendere pubblica una chat intercorsa tra i due, inizialmente, resa dalla persona offesa, era stata da questa successivamente ritrattata avendo ella ammesso che mai vi era tra loro stata una chat.
Si lamenta anche che sussisteva ignoranza inevitabile della minore età della ragazza in capo all’imputato.
Inoltre, si deduceva vizio di motivazione per non essere stata la condotta derubricata nel delitto previsto dall’art. 600 quater cod. pen., potendosi, al più, contestare all’imputato l’ipotesi di detenzione di materiale pedopornografico, posto che, come in precedenza argomentato, la minore non gli aveva mai trasmesso sue fotografie, essendo stati accertati soltanto contatti a mezzo SMS.
Con gli ultimi motivi di ricorso si lamentava violazione della legge penale, rispettivamente, per il diniego non motivato delle circostanze attenuanti generiche e per essere stata erroneamente applicata la diminuente ex art. 89 cod. pen. sulla pena base stabilita per il più grave reato, piuttosto che sulla pena risultante sull’aumento praticato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo 2).

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2. La condotta del reato di cui all’art. 600 ter cod. pen.: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione analizza la questione osservando, in relazione al primo motivo, che “l’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono concetti diversi e operano su piani diversi, con la conseguenza che il dolo generico è compatibile con il vizio parziale di mente“.
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Suprema Corte ha chiarito che i giudici di merito hanno escluso che le foto oggetto di contestazione possano essere state tratte dal profilo Instagram della minore “potendo ciò essere invece avvenuto, ma la circostanza è priva di rilievo, per altre foto, di contenuto normale, aprimenti rinvenute sul cellulare dell’imputato – trattandosi, invece, di quelle da lei trasmesse all’imputato su sua insistente richiesta“.
Viene, poi, sottolineato che per l’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico “non è del resto necessaria una condotta di costrizione, essendo all’uopo sufficiente che l’agente abbia istigato o indotto il minore a realizzare detto materiale, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore che ne implica una strumentalizzazione idonea ad integrare il reato“.
La Cassazione si sofferma, in seguito, su ciò che caratterizza il disvalore penale del fatto: la rappresentazione che deve necessariamente riguardare gli organi sessuali dei minori di età (non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei).
Del resto, la definizione di “pornografia minorile” nella disposizione introdotta dall’art. 4, comma 1, lett. h), l. n. 172/2012 si caratterizza per il suo maggior rigore rispetto a quella precedente (desunta dalla legge n. 46/2002 di ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia stipulato a New York il 06/09/2000), in quanto, per quel che qui rileva, si contenta della rappresentazione “per scopi sessuali” degli organi genitali del minore e non esige più l’esibizione lasciva degli stessi.
Quanto alle contestazioni relative al reato tentato, con valutazione di fatto (ad avviso della Corte) non illogicamente argomentata e non scalfita dalle generiche contestazioni mosse in ricorso, che anche qui sottendono inammissibilmente una differente ricostruzione fattuale, la sentenza impugnata ha non illogicamente ritenuto provata la minaccia di pubblicazione delle foto intime dalla minore già trasmesse quale forma di costrizione per ottenerne altre, così come riferito dalla persona offesa, la cui attendibilità, dunque, è stata adeguatamente vagliata e, anche su questo punto, è peraltro riscontrata dalle ammissioni fatte dall’imputato.

3. La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso complessivamente infondato, sottolineando come la sentenza impugnata “fa buon governo del principio, anche recentemente ribadito, giusta il quale lo scopo sessuale, che rende materiale pedopornografico la rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto non coinvolto in attività sessuali esplicite, simulate o reali, implica l’accertamento della finalità della sua produzione, che, laddove, non immediatamente evincibile, può essere desunta da ogni elemento utile, compresa l’intenzione dell’agente, posto che il reato sussiste quando tale rappresentazione, non altrimenti giustificabile, sia qualificabile come diretta a soddisfare il piacere sessuale o suscitarne lo stimolo“.
Il ricorso è stato, quindi, rigettato con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Riccardo Polito

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