La Corte di Cassazione in tema di mandato d’arresto europeo, ha affermato che, dovendo intendersi pronunziato “allo stato degli atti” il rifiuto alla consegna per l’esistenza del rischio di sottoposizione del consegnando a trattamenti penitenziari inumani o degradanti nello Stato di emissione, l’Autorità giudiziaria nazionale, a fronte della perdurante inerzia, da parte di tale Stato, nell’evadere la richiesta di informazioni complementari, può assegnare, ex art. 15, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, un termine ultimo all’Autorità giudiziaria dello stesso, rapportato alla specificità del caso concreto, affinché siano raccolte le informazioni necessarie, sollecitando, nel contempo, l’evasione della menzionata richiesta attraverso l’intervento di “Eurojust”.
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Indice
1. I fatti
La pronuncia della Suprema Corte scaturisce dal ricorso presentato dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova avverso la sentenza da questa pronunciata, la quale respingeva la richiesta di consegna alla Grecia di un cittadino albanese in esecuzione del mandato d’arresto europeo emesso dal Giudice istruttore del Tribunale correzionale di Ekaterini, dinanzi al quale il cittadino è indagato per rapina.
Con due precedenti sentenze, la Corte di appello aveva, invece, disposto la consegna del cittadino albanese ma entrambe le decisioni sono state annullate con rinvio dalla Cassazione per difetto di sufficienti informazioni in ordine al trattamento penitenziario che sarebbe stato riservato al consegnando dalla Grecia, così da non potersi ritenere escluso il pericolo di trattamenti inumani o degradanti, in ragione delle condizioni di sovraffollamento degli istituti penitenziari di quello Stato, accertate dai componenti organismi eurounitari.
Con la sentenza impugnata, dunque, permanendo il già ravvisato deficit informativo da parte della autorità dello Stato richiedente, la Corte d’appello ha respinto la richiesta, ritenendo insussistenti le condizioni per dar corso alla consegna.
Tuttavia, il Procuratore generale censura tale decisione rilevando, da un lato, che il d.lgs. 10/2021 ha abrogato l’art. 16 l. n. 69/2005 nella parte in cui prevedeva che la richiesta di consegna dovesse essere respinta, qualora l’autorità giudiziaria dello Stato richiedente non avesse dato corso alla richiesta di informazioni integrative; dall’altro, che la stessa novella ha inserito, nella citata legge, l’art. 22-bis, il quale, per l’ipotesi in cui il procedimento non si possa concludere nei tempi previsti, e quindi anche nel caso dell’inerzia dello Stato emittente nella risposta alle richieste d’informazioni formulategli dallo Stato di esecuzione del mandato, prevede la possibilità di darne comunicazione alla struttura di cooperazione giudiziaria “Eurojust“, attraverso la quale sarebbe possibile sollecitare l’evasione della richiesta.
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2. Mandato di arresto europeo e rischio di trattamenti degradanti: l’analisi della Corte
La Corte di Cassazione, nel dichiarare fondato il ricorso del Procuratore generale, chiarisce alcuni aspetti rilevanti per la risoluzione della questione.
In primis, la Suprema Corte rileva che, “qualora, a seguito della richiesta dell’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, le informazioni trasmesse dallo Stato emittente il mandato non siano sufficienti ad escludere il rischio della persona richiesta in consegna di un trattamento penitenziario contrario all’art. 3 CEDU, la Corte d’appello è tenuta a rifiutare la consegna, ma il rifiuto deve intendersi pronunciato allo stato degli atti“.
Riprendendo alcune pronunce della Corte di Giustizia UE (Grande sezione, sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C659/15, Caldararu), la Cassazione osserva che “nel caso in cui, sulla base delle informazioni fornite, non venga escluso il rischio concreto di un trattamento inumano o degradante del consegnando, l’esecuzione del mandato deve essere rinviata, ma non può essere abbandonata, prevedendosi altresì che di tale rinvio lo Stato esecuzione informi l’Eurojust, con l’indicazione dei motivi del ritardo“.
Dunque, la regola che la Corte di giustizia vuole delineare è quella per cui la decisione del giudice nazionale non deve impedire la consegna qualora pervengano in seguito le informazioni che facciano escludere l’esistenza del suddetto rischio, purché ciò avvenga in un tempo ragionevole. Di qui, la necessaria conseguenza per cui, fintanto che non ottenga, entro un termine da essa prefissato o comunque ragionevole, le necessarie informazioni complementari, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve rinviare la propria decisione sulla consegna.
La Suprema Corte chiarisce che tale lettura normativa trova conforto nella modifica introdotta con la novella n. 21 del 2021 all’art. 16, legge n. 69/2005 (citata nel ricorso del Procuratore generale) da quale è stata eliminata la previsione espressa del rigetto tout court della richiesta di consegna, per il caso di omessa trasmissione delle informazioni supplementari richiestegli, da parte dello Stato emittente il mandato.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte conclude la sua analisi osservando che, se è vero “che il rifiuto della consegna deve intendersi pronunciato soltanto allo stato degli atti, e che tale deve considerarsi anche quello disposto con la sentenza impugnata, benché la Corte di appello non l’abbia detto claris verbis, rimane l’esigenza di stabilire fin quando il procedimento di esecuzione del mandato possa protrarsi, non essendone ovviamente possibile una pendenza sine die, per il caso di perdurante inerzia dello Stato emittente nell’evasione della richiesta di informazioni complementari rivoltagli“.
Nel silenzio della decisione quadro, come pure della legge n. 69 cit., la Cassazione ritiene di individuare la regola di riferimento nella richiamata pronuncia della Corte di giustizia UE.
Questa, infatti, “dà sostanza al presupposto del tempo ragionevole per la trasmissione delle informazioni complementari da parte dello Stato emittente il mandato prevedendo che […] l’autorità giudiziaria di esecuzione possa fissare, a tal fine, un termine ultimo, il quale, però, sia adattato al caso di specie, al fine di lasciare all’autorità giudiziaria dello Stato di emissione il tempo necessario per raccogliere dette informazioni, altresì ricorrendo a tal fine, se necessario, all’assistenza dell’autorità centrale o di una delle autorità centrali dello Stato membro emittente“.
Peraltro, la Corte di giustizia afferma espressamente che, qualora l’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione decida il rinvio della decisione, in quanto ritiene sussistente un rischio di trattamento inumano o degradante del consegnando, lo Stato membro di esecuzione debba informarne l’Eurojust.
Il caso specifico, ad avviso della Corte, è sostanzialmente identico e, pertanto, è ragionevole ravvisare l’esistenza di tale obbligo informativo anche nell’ipotesi speculare di assenza di notizie tali da poter escludere l’anzidetto rischio per il consegnando.
La Suprema Corte conclude, dunque, sancendo che tale meccanismo sollecitatorio non è stato messo in atto dalla Corte di appello, che si è limitata a prendere atto della perdurante inerzia dell’autorità giudiziaria greca e che, pertanto, si rende necessaria la rinnovazione della richiesta di informazioni complementari, con la fissazione, a tal fine, di un termine ultimativo, puntuale e congruo in relazione alle specificità del caso concreto.
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Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2023
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