La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 43384 del 26 ottobre 2023) ha chiarito che il reato di atti persecutori può essere integrato anche tramite reiterata ed assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, diretta a più destinatari che possano darne comunicazione alla vittima.
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Indice
1. I fatti
La pronuncia della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dall’imputato.
Ricostruendo i fatti, la I sezione della Suprema Corte aveva, dapprima, con sentenza 31596 del 9 giugno 2022, annullato la sentenza della Corte d’appello di Brescia in relazione al reato di atti persecutori (stalking) commesso, secondo l’imposizione accusatoria, dall’imputato nei confronti di due coniugi.
In particolare, la I sezione aveva rilevato che nel reato di atti persecutori può non esservi coincidenza tra soggetto passivo e destinatario materiale della condotta, in quanto lo stato di ansia, paura o timore che integra la fattispecie, può essere indotto nel primo anche da comportamenti ai danni di terze persone, legate alla vittima da vincoli qualificati; occorre però, in questo caso, che l’autore del fatto agisca nella consapevolezza che la vittima certamente sarà posta a conoscenza della sua attività intrusiva e persecutoria, volta a condizionarne indirettamente le abitudini di vita, e occorre, ai fini della consumazione, che tale conoscenza condizionante si sia avuta. Su questo secondo aspetto, la sentenza impugnata, ad avviso della Sez. V procedente, presentava una motivazione meramente assertiva, trincerandosi dietro l’affermazione che l’imputato non avrebbe contestato l’insorgenza, in capo ai coniugi, dello stato di ansia paura o timore necessario al ritenere il delitto perfezionato nei loro confronti.
Con sentenza del 5 dicembre 2022 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la decisione di condanna, provvedendo alla rideterminazione della pena e riducendo l’importo della provvisionale liquidato in favore delle parti civili.
L’imputato ha, poi, proposto ricorso per Cassazione affidato ai motivi enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. c.p.p.
Nello specifico, con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, ribadendo che l’imputato aveva intrattenuto rapporti solo con componenti di un’altra famiglia e non con i coniugi costituitisi parti civili e rilevando che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto contestato l’evento di danno prodottosi in questi ultimi.
Con il secondo motivo, invece, si lamentano vizi di motivazione in relazione alla disposta provvisionale, tenuto conto che la costituzione di parte civile era avvenuta a mezzo di procuratore speciale e difensore diverso dall’avvocato nominato all’atto della presentazione della denuncia – querela e senza che si fosse proceduto alla revoca di quest’ultimo. Ne discenderebbe la violazione dell’art. 24 disp. att. c.p.p.
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2. Stalking indiretto: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, analizzando la questione, chiarisce, innanzitutto, che nella presente vicenda è ormai irrevocabile l’accertamento di responsabilità dell’imputato non solo in relazione al delitto di atti persecutori, ma anche di ulteriori autonomi delitti posti in essere.
Per quanto riguarda la fattispecie che in questa sede rileva, la Corte riprende consolidata giurisprudenza secondo la quale integra “il delitto di atti persecutori la reiterata ed assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, oggettivamente irridenti ed enfatizzanti la patologia della persona offesa, diretta a plurimi destinatari ad essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l’agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 8919 del 16/02/2021, F., Rv. 280497 – 01; v., nella stessa linea decisionale, Sez. 5, n. 37272 del 01/07/2022, C., Rv. 284017 – 0; Sez. 5, n. 26456 del 09/06/2022, M, n. m.; Sez. 6, n. 8050 del 12/01/2021, G., Rv. 281081 – 0)“.
Aggiunge la Suprema Corte che “il riferimento all’esistenza di un ‘rapporto qualificato di vicinanza’ non serve a identificare il contenuto di un elemento costitutivo della fattispecie (che, infatti, non lo contempla), ma a individuare, con espressione di sintesi, il significato di un’operazione ricostruttiva che dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, in termini razionali e obiettivamente fondati, la riferibilità di un evento di danno nei confronti di una persona diversa dal destinatario delle condotte“.
Rispetto a quest’ultimo, infatti, l’individuazione dell’evento di danno e la sua riconducibilità causale alla condotta pongono l’esigenza di ancorare l’accertamento ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.
Rispetto alle c.d. “molestie indirette“, ad avviso della Corte, nel reato di stalking”si pone lo stesso problema ricostruttivo di fondo, dovendo in ogni caso verificare, alla stregua di un accertamento dotato di credibilità razionale, che le stesse abbiano provocato l’evento di danno nei riguardi di chi si assuma essere persona offesa“.
3. La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione, alla luce di quanto finora esposto, ha osservato che, nel reato di stalking, il carattere “qualificato” del rapporto non va inteso in senso formale ma riprendendo la giurisprudenza sopra citata, “come idoneità della relazione interpersonale, secondo l’id quod plerumque accidit, a giustificare il verificarsi dell’evento di danno anche nei riguardi di chi non sia il diretto destinatario della condotta persecutoria“.
Chiarisce, poi, che “il fatto che, nei casi esaminati dalla giurisprudenza, vengano prevalentemente in rilievo rapporti di carattere personale o familiare, non toglie che anche rapporti di carattere diverso possano giustificare l’insorgere dell’evento di danno, alla luce di una valutazione che tenga conto di tutte le connotazioni. Sul versante soggettivo, dovrà poi verificarsi la consapevolezza e volontà dell’agente anche in relazione all’individuazione del destinatario finale della condotta“.
Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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