Danno da illecito extracontrattuale e termine di prescrizione lungo ex art. 2947, co. 3 c.c.

Allegati

Con la sentenza numero 29859 del 27/10/2023 la III sezione della suprema Corte (Pres. Travaglino – relatore Vincenti) chiarisce gli oneri delle parti e i poteri ufficiosi del Giudice in materia di prescrizione da reato, ex. art. 2697 III comma cc.

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Corte di Cassazione – Sez. III Civ. – Sent. n. 29859 del 27/10/2023

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Indice

1. I fatti di causa e i giudizi di merito

Gli eredi di Tizio agivano in giudizio contro la struttura sanitaria che, a loro dire, aveva cagionato la morte del proprio congiunto a seguito di intervento di osteosintesi chiusa del chiodo PFN.
In particolare gli eredi agivano sia iure proprio che iure hereditatis, convenendo la struttura sanitaria presso il Tribunale di Gorizia.
Il Tribunale, istruita la causa a mezzo di una CTU, rigettava in primo grado la domanda iure hereditatis, perché ritenuta non fondata e quella relativa al danno parentale per intervenuta prescrizione del diritto.
La sentenza veniva confermata in Corte d’appello, con motivazione, relativamente al danno iure proprio che qui interessa, consistente nel decorso del termine quinquennale ex. art. 2947 cc del danno parentale che, come noto, attiene alla responsabilità extracontrattuale.
Andava escluso, secondo la Corte d’appello, che si potesse applicare il più lungo termine di prescrizione previsto per il reato di omicidio colposo, giacchè gli appellanti, al fine di ottenere in via incidentale l’accertamento dell’ipotizzato reato, secondo “gli strumenti probatori e i criteri propri del procedimento civile“, non avevano originariamente “formulato alcuna espressa domanda“, nè successivamente, dopo averla dedotta alla prima udienza di comparizione (in data 8 giugno 2016), l’avevano corredata “di circostanze idonee” a dimostrare o quanto meno a far desumere una condotta penalmente rilevante, nè, infine, una tale domanda era stata coltivata anche in sede di precisazione delle conclusioni.

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2. Danno extracontrattuale e prescrizione lunga: il giudizio in Cassazione

La pronuncia veniva impugnata dagli eredi di Tizio, sia in ordine al danno iure hereditatis che, per quel che qui interessa, in ordine al danno parentale.
In particolare, affermano i ricorrenti che la Corte territoriale avrebbe errato sotto due ordini di profili: nel ritenere che, ai fini del beneficio del termine prescrizionale più lungo di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, le parti appellanti avrebbero dovuto sollevare, ritualmente, domanda di accertamento incidentale dell’illecito penale sin nell’atto introduttivo del giudizio e perchè la deducibilità del termine di prescrizione più lungo di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, in quanto contro-eccezione, presuppone un’eccezione di prescrizione della parte convenuta in giudizio e, dunque, incompatibile con la rilevazione all’interno dell’atto introduttivo.
Altresì, e con ulteriore motivo, lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello non ha valorizzato il fatto che le parti, nella prima occasione processualmente utile (cioè in occasione della udienza di primo grado), hanno verbalizzato espressamente la richiesta di accertamento incidentale del fatto criminoso, violando – se si considera tale controdeduzione alla stregua di un’eccezione – l’art. 183 c.p.c., comma 5 e, infine, nel non rilevare che la controeccezione de qua è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
Il ricorso viene accolto sul punto, sulla scorta del seguente ragionamento.
E’ principio consolidato che, qualora l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato ma il giudizio penale non sia stato promosso, ancorchè per difetto di querela, all’azione civile di risarcimento si applica, ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato purchè il giudice civile accerti, incidenter tantum, con gli strumenti probatori ed i criteri propri del processo civile, l’esistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sia soggettivi che oggettivi (sul punto si richiamano i precedenti Cass. n. 24988/2014 e Cass. n. 2350/2018).
Tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non è “necessario” dover coltivare “un’espressa domanda volta a ottenere in via incidentale l’accertamento dell’ipotizzato reato”, giacchè – alla luce dell’orientamento del pari consolidato della Corte di legittimità (Cfr Cass., S.U., n. 9993/2016; Cass. n. 24260/2020; Cass. n. 21404/2021) – la deduzione circa l’applicabilità del termine prescrizionale più lungo di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, integra una contro-eccezione in senso lato, la cui rilevazione può avvenire anche d’ufficio, nel rispetto dei termini di operatività delle preclusioni relative al thema decidendum ex art. 183 c.p.c., qualora sia fondata su nuove allegazioni di fatto.
Là dove, invece, essa sia basata su fatti storici già allegati entro i termini di decadenza, la sua proposizione è ammissibile nell’ulteriore corso del giudizio di primo grado, in appello e, con il solo limite della non necessità di accertamenti di fatto.
La rilevabilità ex officio della contro-eccezione è, dunque, subordinata alla allegazione – tempestiva, giacchè effettuata originariamente con l’atto introduttivo del giudizio dei fatti posti a suo fondamento e, quindi, ai fini dell’applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, del “fatto considerato dalla legge come reato”.
Nel caso de quo i ricorrenti avevano correttamente sollevato la controeccezione in sede di prima udienza, quindi nella prima circostanza utile in seguito all’eccezione di prescrizione contenuta nella comparsa di costituzione e risposta, evidenziando la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi del reato già dalla esposizione fattuale e dalle produzioni originarie, poi confermate dalla CTU.
La Corte di legittimità, quindi, bacchetta la Corte d’Appello laddove ha ritenuto necessario che gli attori proponessero “rituale domanda” ai fini dell’accertamento incidentale sul fatto reato, essendo a tal fine sufficiente la contro-eccezione dagli stessi avanzata in sede di prima comparizione. A causa di detto errore, la Corte d’appello ne ha commesso un altro, mancando di esaminare i fatti allegati in primo grado nella loro idoneità a provare la fattispecie penale dell’omicidio colposo.
Il ricorso veniva, quindi, accolto, con rinvio alla corte d’appello per la decisione sulla scorta dei principi esposti.

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Michele Allamprese

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