Un approfondimento riguardante la previsione, introdotta con l. n. 33/2019, dell’esclusione del rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo.
Indice
1. Presupposti generali del rito abbreviato
Il rito abbreviato è un rito alternativo così chiamato perché “abbrevia” il processo, risolvendolo nel corso dell’udienza preliminare, senza giungere fino al dibattimento.
È definito rito “premiale” perché l’imputato che ne faccia richiesta, rinunciando ad una fase del processo e, quindi, realizzando un risparmio di energie processuali, ha diritto ad una riduzione di pena pari a un terzo, in caso di condanna.
L’imputato viene giudicato in base agli atti raccolti in fase di indagini preliminari e raccolti nel fascicolo del P.M.
È previsto dal Libro VI, Titolo I del Codice di procedura penale, artt. 438 e ss.
Questa norma descrive i presupposti e le modalità di richiesta di celebrazione del giudizio abbreviato, disponendo che l’imputato può chiedere, appunto, che il processo sia definito all’udienza preliminare “allo stato degli atti“.
La volontà dell’imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore.
Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato.
Inoltre, il rito abbreviato può essere subordinato ad una richiesta di integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione.
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2. La l. n. 33/2019
La riforma, in vigore dal 20 aprile 2019, ha modificato la disciplina prevista per l’applicazione del rito abbreviato con la finalità di assicurare per i reati più gravi la celebrazione del processo davanti a una Corte d’assise e non davanti a un giudice monocratico.
Proprio la norma sopra citata, nel descrivere le modalità della richiesta di celebrazione di giudizio abbreviato, al comma 1-bis aggiunto dalla riforma del 2019, dispone che “non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo”.
Inoltre, è stato inserito anche il comma 6-ter il quale dispone che “qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1 bis, il giudice, se all’esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell’articolo 442, comma 2. In ogni altro caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile o rigettata, l’imputato può riproporre la richiesta prima dell’apertura del dibattimento e il giudice, se ritiene illegittima la dichiarazione di inammissibilità o ingiustificato il rigetto, ammette il giudizio abbreviato“.
Infine, è stato modificato il comma 6 prevedendo che, in caso di dichiarazione di inammissibilità o di rigetto, ai sensi rispettivamente dei commi 1-bis e 5, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dal comma 2, cioè “fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422“.
3. La Corte Costituzionale sulla l. n. 33/2019
La Corte Costituzionale si è pronunciata su tale riforma con sentenza n. 260/2020.
La Corte, analizzando la questione di legittimità proposta, osserva come il legislatore fosse ” ben consapevole che una disciplina siffatta, pur incidendo su disposizioni collocate nel codice di procedura penale concernenti il rito, ha un’immediata ricaduta sulla tipologia e sulla durata delle pene applicabili in caso di condanna, e non può pertanto che soggiacere ai principi di garanzia che vigono in materia di diritto penale sostanziale, tra cui segnatamente il divieto di applicare una pena più grave di quella prevista al momento del fatto, affermato tanto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con specifico riferimento alla disciplina del giudizio abbreviato in relazione ai reati puniti con l’ergastolo (Corte EDU, grande camera, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, n. 2), quanto da questa Corte, con riferimento a tutte le norme processuali o penitenziarie che incidano direttamente sulla qualità e quantità della pena in concreto applicabile al condannato (sentenza n. 32 del 2020)“.
Secondo i giudici a quibus, la preclusione al giudizio abbreviato per gli imputati di delitti puniti con la pena dell’ergastolo avrebbe prodotto da un lato irragionevoli equiparazioni sanzionatorie tra fatti avente disvalore omogeneo.
La Consulta, comunque, sottolinea che “il legislatore fa dipendere la scelta relativa all’applicazione o non applicazione di un dato istituto – qui, il giudizio abbreviato – dalla sussistenza di una circostanza aggravante che, comminando una pena distinta da quella prevista per la fattispecie base – nel nostro caso, la pena dell’ergastolo anziché quella della reclusione –, esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata; e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna“.
Viene poi posto in risalto, giustamente, che “quanto alla finalità, che la riforma avrebbe in realtà perseguito, di aumentare il numero di condanne all’ergastolo per gli autori di omicidi, ancorché rei confessi, occorre d’altra parte considerare che non necessariamente al dibattimento deve conseguire, in caso di condanna, l’applicazione della pena dell’ergastolo, la corte di assise avendo sempre la possibilità di riconoscere eventuali circostanze attenuanti che comportino l’applicazione di pene detentive temporanee, tra cui le circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis cod. pen.), le quali ben potrebbero fondarsi anche sulla condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato, comprensiva del suo contegno processuale“.
L’accesso ai riti alternativi, sottolinea la Corte, costituisce parte integrante del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. soltanto in quanto il legislatore abbia previsto la loro esperibilità in presenza di certe condizioni; di talché esso deve essere garantito – o quanto meno deve essere garantito il recupero dei vantaggi sul piano sanzionatorio che l’accesso tempestivo al rito avrebbe consentito – ogniqualvolta il rito alternativo sia stato ingiustificatamente negato a un imputato per effetto di un errore del pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, di una erronea valutazione di un giudice intervenuto in precedenza nella medesima vicenda processuale, ovvero di una modifica dell’imputazione nel corso del processo. Ma dall’art. 24 Cost. non può dedursi un diritto di qualunque imputato ad accedere a tutti i riti alternativi previsti dall’ordinamento processuale penale, come invece parrebbe, erroneamente, presupporre il giudice a quo.
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