Risarcibilità del danno da “paura di ammalarsi” per violazione del contenimento dello smog

antonio tafuri 22/01/24
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Risarcibilità del danno da “paura di ammalarsi”: la Sentenza n. 19387, pubblicata il 21/12/2023, della Seconda Sezione (Stralcio) del TAR Lazio – Roma, trae origine dal ricorso promosso – nel 2014 – da due associazioni (per la tutela dell’ambiente, dei diritti degli utenti, dei consumatori e del malato), insieme ad altre 1.024 persone fisiche, che hanno evocato, ex art. 30 c.p.a., il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Ambiente, unitamente a diverse Regioni (Lazio, Toscana, Lombardia, Campania, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo e Sardegna) ed ai principali Comuni capoluoghi di provincia delle Regioni stesse, lamentando la violazione degli obblighi euro-unitari ed italiani in materia di riduzione del tasso di concentrazione delle polveri sottili e del monossido di azoto/ozono in atmosfera (imposti, rispettivamente dalla direttiva 2008/50/CE e dal D.lgs n. 155 del 2010), per sentire condannare le precitate Amministrazioni (statali, regionali e comunali) al risarcimento dei danni non patrimoniali (per presunta lesione del danno da “paura di ammalarsi”) nella misura equitativa di €. 2.000,00 per ciascun ricorrente.

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TAR Lazio – Sez. II – Sent. n. 19387 del 21/12/2023

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Indice

1. Premessa

La pronuncia in argomento, con la quale il TAR romano ha rigettato la domanda sopra sinteticamente riassunta, risulta di particolare interesse perché, nel trattare ed escludere il lamentato danno da paura di ammalarsi, averlo inquadrato dogmaticamente ed aver chiarito i presupposti sulla base dei quali può ritenersi assolto l’onere probatorio per la sua eventuale riconoscibilità, affronta anche le seguenti ulteriori tematiche:
–    la manifesta infondezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti riguardo all’art. 87 comma 4-bis del D.lgs, 2 luglio 2010, n. 104, in ordine alla trattazione delle udienza di smaltimento in camera di consiglio da remoto, invece che “in pubblica udienza con trattazione da remoto” oppure con “discussone in presenza”;
–    l’inammissibilità della mutatio libelli, irritualmente formulata dai ricorrenti a ridosso dell’udienza di discussione;
–    il difetto di legittimazione processuale, dal lato attivo, delle precitate associazioni (e l’improponibilità da parte dei singoli individui di rivendicare tale tipologia di danno innanzi al Giudice nazionale), e dal lato passivo, dei Ministeri e degli altri Enti Territoriali evocati in giudizio.

2. La decisione del TAR Lazio

Nella Sentenza in commento il TAR Lazio conclude per il rigetto del ricorso e dei motivi aggiunti ritenendo:
“- per quel che riguarda la domanda di risarcimento danni azionata nei confronti di tutte le Amministrazioni diverse dal Ministero dell’Ambiente, la dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo adìto, con conseguente devoluzione della stessa alla giurisdizione del Giudice Ordinario (innanzi al quale l’odierna domanda potrà essere riproposta secondo la disciplina dettata dall’art. 11 c.p.a.);
per quel che riguarda la domanda di risarcimento danni azionata nei confronti del Ministero dell’Ambiente, la dichiara inammissibile per difetto di legittimazione attiva con riguardo alle due associazioni ricorrenti, mentre la respinge in quanto infondata con riguardo a tutte le restanti persone fisiche ricorrenti”.
La citata pronuncia giunge alle precitate conclusioni dopo aver affrontato i seguenti aspetti.
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3. Sulla questione di legittimità costituzionale sull’art. 87, co. 4bis, D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104

Nella sentenza di commento, il Collegio giudicante, affronta e respinge – anzitutto – “l’istanza proposta in via principale dalle parti ricorrenti  (e cioè la richiesta di fissare una “pubblica udienza con trattazione da remoto, consentendo la partecipazione dei soggetti che intendono assistere all’udienza mediante accreditamento da effettuare prima del giorno fissato per l’udienza”, oppure di fissare comunque “la discussione in presenza”)”, in quanto ritenuta collidente con le disposizioni di legge applicabili all’udienza camerale straordinaria.
Il precitato Collegio giunge a tale reiezione dopo aver richiamato l’art. 17, comma 7, del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, come convertito dalla L. 6 agosto 2021, n. 113, e l’art. 87, co. 4-bis, c.p.a. ed evidenziato come tali norme abbiano apportato modificazioni al codice del processo amministrativo, nella logica di “evitare la formazione di nuovo arretrato”, evidenziando altresì che “l’udienza straordinaria dedicata allo smaltimento dell’arretrato … deve essere necessariamente trattata “in camera di consiglio da remoto”, con l’ulteriore precisazione che il rito camerale contempla la presenza dei “difensori che ne fanno richiesta” (cfr. art. 87, co. 3, ultima parte, c.p.a.) e non anche di altri soggetti eventualmente accreditati.”.
Dopo aver motivatamente respinto l’istanza principale, il Collegio affronta la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalle parti ricorrenti, riguardo alla lamentata violazione dell’art. 87, comma 4-bis, del D.lgs, 2 luglio 2010, n. 104, respingendola per manifesta infondatezza.
Tale decisione viene ancorata sul seguente percorso argomentativo:
– la fissazione di udienze camerali straordinarie “(quale quella … deputata alla trattazione del ricorso de quo) è funzionale al conseguimento di specifici obiettivi sanciti a livello euro-unitario dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nonché all’attuazione del principio  costituzionale di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.). Si tratta, dunque, di un adempimento che trova un suo referente diretto nella stessa Carta Costituzionale, segnatamente negli artt. 111 e 117 Cost.”;
il diritto all’udienza pubblica si colloca – a livello di Cedu – nell’alveo delle garanzie che realizzano l’«equo processo» (art. 6 Cedu)”;
“quest’ultimo diritto non è affatto un diritto assoluto e monolitico, conoscendo esso numerose deroghe ed eccezioni, molte delle quali funzionali al soddisfacimento di altri interesse parimenti rilevanti sia sul piano euro-unitario e internazionale, sia sul piano costituzionale interno.”.
–      “in base al quadro normativo Cedu e costituzionale attualmente vigente, il principio di pubblicità delle udienze possa essere legislativamente derogato in chiave di semplificazione e accelerazione dei giudizi amministrativi temporalmente risalenti, come infatti avvenuto con l’introduzione dell’art. 87, co. 4 bis, c.p.a.”.
A conclusione di tale argometazione il Collegio affermaQuanto precede conduce ad escludere, pertanto, che tale norma di legge possa confliggere con il quadro costituzionale attualmente vigente, con la conseguenza che la prospettata questione di legittimità costituzionale appare manifestamente infondata. Il che esclude la necessità di una rimessione della questione alla Corte Costituzionale.”.
A sostegno della precitata decisione, il TAR richiama peraltro numerose deroghe (oltre a quelle espressamente previste dall’art. 6 della Cedu) al principio di pubblicità dell’udienza, riconociute anche dalla stessa Giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu, Chiper c. Romania, 27 giugno 2017; Jussila c. Finlandia, 23 novembre 2006; Hermi c. Italia, 18 ottobre 2006; Miller c. Svezia, 8 febbraio 2005; Botten c. Norvegia, 19 febbraio 1996; Schuler-Zgraggen c. Svizzera, 24 giugno 1993; Monnell e Morris c. Regno Unito, 2 marzo 1987; Sutter c. Svizzera, 22 febbraio 1984. Riguardo al giudizio abbreviato, ex multis: Corte Edu, Hermi c. Italia, cit., §§ 22-24; Greco c.Italia, 28 ottobre 2013; Fornataro c. Italia, 26 settembre 2017; si veda anche Cass. pen., sez.unite, 21 dicembre 2017, n. 14800), evidenziando, altresì, che la stessa Corte “ha escluso (in ambito penalistico) che lo svolgimento del giudizio abbreviato italiano comporti una violazione dell’art. 6 della Cedu, proprio perché con tale rito alternativo l’ordinamento persegue – a fronte di vantaggi indiscutibili per l’imputato – il fine di semplificare e accelerare la trattazione dei processi penali, garantendo un giudizio entro un termine ragionevole (Corte Edu, Hermi c. Italia, cit., §§ 22-24; Greco c.Italia, 28 ottobre 2013).”.
Il Collegio giudicante respinge, infine, anche l’istanza subordinata di rinvio della causa, motivando tale scelta nella “risalenza temporale della controversia (iscritta nel ruolo della Sezione nel 2014), che la stessa è ormai matura per la decisione e che la fissazione delle udienze straordinarie … è volta a dare attuazione ad un programma di smaltimento dell’arretrato della giustizia amministrativa che è funzionale al conseguimento di specifici obiettivi sanciti … dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, depongono nel senso di escludere la possibilità di un ulteriore differimento della trattazione …, anche in ossequio al succitato principio costituzionale di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.)” e specificando che “dopo la entrata in vigore del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, il rinvio della causa è possibile soltanto in presenza di eccezionali motivi che nel caso di specie non si registrano.”.

4. Sui confini della giurisdizione esclusiva del G.A. rispetto alle parti evocate in giudizio

Altro punto di particolare interesse affrontato dalla Sentenza in commento, è dato dalla soluzione che offre il TAR romano nel trattare l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo.
Riguardo a tale aspetto, dopo aver richiamato il dato testuale del precitato art. 133, comma 1, lett. s), il Collegio chiarisce che “la questione di giurisdizione … va diversamente delibata a seconda che si consideri la  posizione dell’intimato Ministero dell’Ambiente oppure quella di tutte le altre (parimenti intimate) Amministrazioni”, stabilendo che “mentre la domanda risarcitoria azionata nei confronti del Ministero dell’Ambiente ben può essere scrutinata da questo Collegio, non altrettanto può dirsi, invece, per la domanda risarcitoria contemporaneamente azionata nei confronti delle ulteriori Amministrazioni intimate (Ministero della Salute, Regioni e Comuni), essendo quest’ultima inammissibile per difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario, innanzi al quale essa può essere riproposta secondo la disciplina dettata dall’art. 11 c.p.a.”.
Interessante è, poi, il confine tracciato delle due giurisdizioni dal TAR che, nel richiamare incidentalmente anche il recente pronunciamento delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 5668 del 23 febbraio 2023), evidenzia che:
– per ciò che concerne il Ministero dell’Ambiente:“il Collegio ritiene che l’odierna domanda rientri certamente nel perimetro della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, giusta quanto puntualmente previsto dal summenzionato art. 133, co. 1, lett. s), c.p.a. Né a diverse conclusioni può giungersi sulla scorta dell’evocata ordinanza delle Sezioni Unite di Cassazione n. 5668 del 23 febbraio 2023, atteso che detta ordinanza è stata pronunziata in un giudizio in cui il Ministero dell’Ambiente non figurava tra le parti intimate, …, da ciò derivandone necessariamente il riconoscimento della giurisdizione del Giudice Ordinario. Pertanto, tenuto conto che l’odierna domanda risarcitoria è basata … sull’asserito omesso esercizio dei poteri prevenzionistici, precauzionali e regolatori di detto Ministero, è indubbio che essa rientri nell’alveo delle materie oggetto di giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, … Nè vale ad escludere la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo il richiamo di parte ricorrente all’omesso (anziché all’avvenuto) esercizio dei summenzionati poteri, atteso che: a) in base all’art. 7, primo comma, c.p.a., detta giurisdizione esclusiva abbraccia non soltanto le controversie in cui ci si duole delle modalità di “esercizio” dei poteri elencati nell’art. 133 c.p.a., ma anche le controversie in cui ci si duole del loro “mancato esercizio”; b) la già vista lettera s) di detto art. 133 c.p.a. fa esplicito riferimento (al fine di individuare la materia di giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo) proprio al “ritardo” (ovverossia all’inazione) nell’adozione da parte del Ministero dell’Ambiente di tutte le misure precauzionali e prevenzionistiche eventualmente necessarie.”;
– con riguardo alla parte di domanda risarcitoria avanzata nei confronti di tutte le ulteriori Amministrazioni convenute (Ministero della Salute, Regioni e Comuni), come anticipato, ritenuta appartenente alla giurisdizione ordinaria, essa non rientra in alcuna delle materie oggetto di giurisdizione esclusiva. Né può invocarsi, in senso contrario, la materia indicata alla lettera q) dell’art. 133 c.p.a. (“le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti anche contingibili e urgenti, emanati dal Sindaco in materia di ordine e sicurezza pubblica, di incolumità pubblica e di sicurezza urbana, di edilità e di polizia locale, d’igiene pubblica e dell’abitato”). Ciò in quanto l’inerzia di cui i ricorrenti complessivamente si dolgono nel presente giudizio va ben oltre le mere ordinanze del Sindaco contingibili e urgenti (e gli altri provvedimenti sindacali in materia di incolumità pubblica). Pertanto, atteso che la domanda risarcitoria spiegata nei confronti delle Amministrazioni diverse dal Ministero dell’Ambiente per un verso fuoriesce dal perimetro delle materie oggetto di giurisdizione esclusiva e per altro verso appare chiaramente diretta alla tutela per equivalente di un diritto soggettivo individuale (id est la libertà di autodeterminazione dell’individuo in tesi pregiudicata dalla “paura di ammalarsi” innescata dalle colpevoli inerzie di dette Amministrazioni), ritiene che essa ricada nella giurisdizione del Giudice Ordinario.”.

5. Sulla richiesta risarcitoria di danno da “paura di ammalarsi”

La Sentenza chiarisce, sul punto, comeI danni vengono chiaramente prospettati come danni inattuali, ovverossia come danni “da paura di ammalarsi” e da patema d’animo; ciò sull’assunto che la conclamata violazione degli obblighi euro-unitari in materia di riduzione del tasso di concentrazione delle polveri sottili avrebbe procurato ai ricorrenti – tutti residenti in Comuni italiani dove non sarebbero state apprestate adeguate misure precauzionali – un danno non patrimoniale.”.
Il TAR chiarisce inoltre che“Espongono infatti i ricorrenti – proprio in punto di danni-conseguenze non patrimoniali – che:
– “il pregiudizio di più immediata rilevanza nella fattispecie in esame va ravvisato nel disagio conseguente all’esposizione protratta per anni alle polveri sottili fortemente dannose per la salute umana. Si parla a questo proposito di danno “da paura di ammalarsi”, assimilabile per molti versi alla figura del danno da pericolo elaborata dalla giurisprudenza di legittimità nel noto caso Seveso”;
– “questo danno consiste nelle conseguenze negative che la preoccupazione di subire un pregiudizio comporta”;
– “il patema d’animo derivante dalla paura di possibili ripercussioni sulla salute provocate dall’essere stati esposti ad un ambiente inquinato da sostanze tossiche, deve essere risarcito come danno morale”, con l’ulteriore precisazione che detto danno morale andrebbe risarcito in tutte le ipotesi in cui “il fatto illecito violi un valore costituzionalmente garantito della persona, indipendentemente dalla circostanza che il fatto integri o meno un’ipotesi di reato”.

6. L’inammissibile modifica della domanda a ridosso dell’udienza di discussione

Ulteriore spunto di riflessione offerto dalla sentenza in commento riguarda la statuizione del TAR romano in ordine alla modifica della domanda proposta dalle parti ricorrenti a ridosso dell’udienza di discussione, per mezzo di motivi aggiunti non ritualmente notificati alle parti resistenti, “con cui parte ricorrente ha dapprima manifestato al Collegio – in relazione alla sola posizione delle Associazioni ricorrenti (e non anche a quella delle persone fisiche  ricorrenti) – la volontà di ridurre la domanda originaria al solo accertamento di responsabilità (espungendo quindi dal presente giudizio la richiesta di condanna pecuniaria), e poi contraddittoriamente palesato l’intenzione di ottenere un risarcimento del danno all’immagine.”.
Sul tema, il Collegio si esprime puntualmente affermando che “Entrambe queste richieste … sono comunque inammissibili e tardive, atteso che esse integrano un’irrituale mutatio libelli effettuata dalla difesa delle Associazioni ricorrenti direttamente il giorno dell’udienza in violazione dei termini processuali di cui all’art. 73 c.p.a. (cfr. sul tema Adunanza Plenaria Consiglio di Stato n. 8 del 3 luglio 2022) e, peraltro, in assenza di qualsivoglia notificazione alle altre parti del giudizio, … Né varrebbe obiettare che le Associazioni ricorrenti non avrebbero mutato la domanda originaria, bensì soltanto rinunziato ad una parte di essa. È di tutta evidenza, infatti, che la rinunzia ad una parte della domanda iniziale ne determina la sua ineluttabile alterazione…”.

7. Il difetto di legittimazione attiva delle associazioni

Altro tema oggetto d’interesse, offerto dalla Sentenza del TAR Lazio per cui si discute, è dato dalla trattazione dell’eccezione sul difetto di legittimazione attiva delle parti ricorrenti, rispetto alla domanda di risarcimento danni azionata nei confronti del Ministero dell’Ambiente.
Il Collegio, sul punto, chiarisce come, riguardo alle associazioni, la legittimazione  debba essere valutata con riferimento alla specifica domanda proposta, ed a tal proposito rileva che “l’odierna azione, …, va inquadrata nell’ambito dell’art. 30 comma 2 c.p.a., avendo ad oggetto esclusivamente la richiesta di condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni morali/esistenziali che le ricorrenti persone fisiche affermano di avere subìto in conseguenza delle condotte omissive dalle Amministrazioni serbate; è d’altra parte evidente che le ricorrenti Associazioni non possono essere state direttamente riguardate dalle contestate omissioni.”.
Il TAR Lazio esclude anche una possibile rilevanza esterna del codice del Consumo attraverso il rinvio esterno operato dall’art. 39 c.p.a. chiarendo “E se è vero che l’art. 140 bis del Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005) aveva innovativamente introdotto un’espressa previsione di legittimazione attiva delle associazioni con finalità di tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti …, tale rilievo è stato fatto con specifico ed esclusivo riferimento alla materia della tutela dei consumatori dalle pratiche commerciali scorrette o dalle condotte anticoncorrenziali. Poiché, dunque, l’eccezione alla regola generale di cui all’art. 81 c.p.c., operante nel processo amministrativo in forza del rinvio esterno previsto dall’art. 39 c.p.a., è ammissibile nelle sole ipotesi previste dalla legge, … in assenza di una previsione normativa non possa essere ammessa nel caso di specie (inerente un’azione risarcitoria ex art. 30 del c.p.a.) la legittimazione attiva delle due associazioni ricorrenti. Con riferimento a dette associazioni, pertanto, la domanda di risarcimento danni azionata nei confronti del Ministero dell’Ambiente va dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione attiva.”.
Quanto alla posizione delle persone fisiche, il Collegio non si esprime, ritenendo “di poter prescindere dalle ulteriori eccezioni in rito”, attesa l’infondatezza del merito della domanda secondo il criterio della ragione più liquida, che si andrà a trattare compiutamente al punto seguente.

8. L’inquadramento e la ripartizione dell’onere probatorio a carico delle parti

Come accennato al precedente punto, il Collegio, nella fattispecie, ha ritenuto di poter prescindere dalle ulteriori eccezioni in rito, trattando direttamente il merito della domanda secondo il criterio della ragione più liquida, affermando che “la domanda risarcitoria proposta dalle persone fisiche nei confronti del Ministero dell’Ambiente … è infondata, sicché il Collegio individua nell’infondatezza della domanda risarcitoria la ‘ragione più liquida’ che meglio può realizzare l’economia dei mezzi processuali e la sinteticità degli atti, quali fondamentali corollari del giusto processo regolato dalla legge, unitamente alla considerazione che la suddetta soluzione decisionale non pregiudica gli interessi di alcuna parte del giudizio.”.
A sostegno dell’infondatezza nel merito il Collegio affronta, dapprima, il tema dell’onere probatorio rammentando che sul piano della distribuzione dell’onere della prova il principio dispositivo non è temperato dal metodo acquisitivo e trova integrale applicazione, quindi, il principio generale sancito dall’art. 2697 c.c., con la conseguenza che spetta al danneggiato fornire la prova del danno ingiusto e delle conseguenze pregiudizievoli patrimonialmente valutabili che ne siano derivate, oltre a quella dell’elemento soggettivo rappresentato dal dolo o dalla colpa dell’amministrazione procedente (cfr. in tal senso Adunanza Plenaria n. 7 del 2021)…, era onere dei ricorrenti dimostrare: (i) il fatto illecito aquiliano causativo dei danni (id est l’illegittimità del mancato esercizio dei poteri per cui è causa); (ii) il danno ingiusto (inteso nella sua dimensione di danno-evento) quale lesione dei diritti soggettivi rivendicati; (iii) l’elemento soggettivo della colpa; (iv) i danni-conseguenze nascenti dalla lesione del diritto soggettivo, intesi come effetti negativi non patrimoniali concretamente ripercossisi sulla sfera individuale delle persone fisiche interessate; (v) il nesso di causalità giuridica esistente tra il danno evento e i danni-conseguenze.”.
I Collegio prosegue poi specificando che “in caso di lesione di valori della persona, il danno subito o subendo va provato dal danneggiato secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. e non può considerarsi in re ipsa, risultando altrimenti snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno bensì quale pena privata per un comportamento lesivo (Cass., Sez. Un., 26972/2008, cit.), e liquidato alla stregua di un tariffario omettendo la considerazione dell’aspetto individuale e specifico del singolo caso concreto. Si avrebbe, come effetto, quello di un risarcimento “a pioggia”, sulla base della sola domanda giudiziale, argomentata secondo formule di stile identiche in ogni ricorso e per nulla articolata tenuto conto della situazione del singolo danneggiato e del tipo di inadempienza ascrivibile all’Amministrazione….”.
Dopo aver chiarito ciò il TAR si pone, quindi, criticamente rispetto alla domanda avanzata dalle parti ricorrenti evidenziando che nessuno degli odierni ricorrenti persone fisiche lamenta ancora una concreta lesione del diritto alla salute, e tenuto conto del fatto che il danno non patrimoniale di cui si chiede il risarcimento è il c.d. patema d’animo individualmente sofferto per “paura di ammalarsi” – in ossequio ai principi sopra evocati ciascun ricorrente avrebbe dovuto fornire una concreta, individualizzata e circostanziata allegazione ed enunciazione del proprio specifico patema, nonchè dell’incidenza che esso ha avuto sulla sua sfera individuale e relazionale. Tale allegazione ed enunciazione difetta del tutto nel caso di specie.”.
A giustificazione della propria posizione, il Collegio richiama anche il noto caso “Seveso” evidenziandone le differenze con la causa in esame affermando:“Nè ha pregio evocare, in senso contrario, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione in materia di risarcimento del danno ambientale (cfr. in particolare Sezioni Unite di Cassazione n. 2515 del 21 febbraio 2002, intervenute in merito alla polluzione chimica causata dall’esplosione delle caldaie di uno stabilimento industriale che aveva investito la zona del comune di Seveso). Se da un lato quella giurisprudenza aveva ammesso la risarcibilità del danno morale soggettivo pur in mancanza di una concreta lesione dell’integrità psico-fisica, dall’altro lato, però, quella stessa giurisprudenza …  aveva comunque richiesto un presupposto allegatorio completamente assente nel caso di specie, e cioè il fatto di aver circostanziato in giudizio – con riferimento alla specifica sfera individuale del singolo ricorrente – il concreto turbamento psichico (sofferenza e patemi d’animo) derivante dall’esposizione del soggetto a sostanze inquinanti, nonché le conseguenti limitazioni del normale svolgimento della propria vita. Tale “circostanziazione” e individualizzazione del patema d’animo sofferto dalla singola persona fisica è radicalmente assente nel caso de quo.”.

9. L’impossibilità per i singoli individui di azionare la violazione di disposizioni euro-unitarie dinnanzi al Giudice nazionale

Quale ultimo argomento d’interesse, la sentenza in commento offre un richiamo “anche sotto il profilo dell’an della condotta lesiva, atteso che essa viene radicata nella mancata attuazione di previsioni del diritto euro-unitario in materia di inquinamento atmosferico (su tutte la direttiva 2008/50 di cui viene censurata la violazione anche con i motivi aggiunti).”.
Sul punto il Collegio, con specifico riferimento all’inquinamento atmosferico, si riporta alla più recente Giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, evidenziando come la stessa abbia recentemente chiarito, con sentenza pubblicata in data 22 dicembre 2022, nella causa C-61/21, che“le disposizioni di cui trattasi della direttiva 2008/50 e delle direttive che l’hanno preceduta non contengono alcuna attribuzione esplicita di diritti ai singoli a tale titolo, gli obblighi previsti da tali disposizioni, nell’obiettivo generale summenzionato, non consentono di ritenere che, nel caso di specie, a singoli o a categorie di singoli siano stati implicitamente conferiti, in forza di tali obblighi, diritti individuali la cui violazione possa far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli.”.
Sulla base di tale precedente il TAR romano conclude affermando che “Va escluso, pertanto, che le disposizioni euro-unitarie in materia di inquinamento atmosferico attribuiscano ai singoli diritti individuali direttamente azionabili dinanzi al Giudice nazionale”.

10. Considerazioni finali

La pluralità ed eterogenità delle parti ricorrenti e resistenti nel giudizio in discussione ha indubbiamente portato il TAR romano ad affrontare le diverse questioni oggetto del commento, impegnandolo su diversi fronti, con trattazione di temi trasversali tra diritto processuale e sostanziale.
La decisione, sul tema della giurisdizione, seppur non del tutto innovativa in quanto in linea con quanto recentemente affermato dalla Giurisprudenza della Cassazione (tra le più recenti, cfr. ordinanze delle Sezioni Unite Civili del 23 febbraio 2023n. 5668, del 27 luglio 2022, n. 23436 e del 12 novembre 2020, n. 25578), risulta inedita, infatti, proprio per la differente tipologia di Amministrazioni pubbliche coinvolte.
Ciò ha correttamente portato il Collegio giudicante a riconoscere il doveroso distinguo tra la diversa posizione del Ministero dell’Ambiente rispetto alle altre Amministrazioni resistenti, ritenendo correttamente incardinato il Giudizio avanti il Giudice Amministrativo solo rispetto a detto Ministero, per il disposto dell’art.133, comma 1, lett. s), c.p.a., e non anche a quello della Salute ed alle altre amministrazioni regionali e comunali, che restano invece soggette alla Giurisdizione ordinaria, ed osservando, sul punto, che il Giudizio di cui alla richiamata ordinanza delle Sezioni Unite (n. 5668 del 23 febbraio 2023, come anche nei precitati giudizi oggetto dei precedenti dianzi richiamati), si riferiva a causa ove in effetti detto Ministero non era coinvolto (cfr. sul punto ordinanza del TAR Milano, Sez. III, n. 1208/2022 depositata il 25/05/2022, con la quale lo stesso TAR ha sollevato conflitto negativo di giurisdizione, poi oggetto della precitata ordinanza Cass. SS.UU. n. 5568 dep. Il 22/02/2023).
Lo stesso si può affermare anche per quanto concerne la legittimazione attiva rispetto alla domanda risarcitoria proposta, data la diversità dei diversi soggetti ricorrenti (individui ed associazioni), essendo già stato chiarito, dalla più recente Giurisprudenza, che “le associazioni dei consumatori non possono intentare azioni risarcitorie di classe, né avanzare azioni risarcitorie per sé stesse…” (Così Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza del 28.05.2021 n. 4116) mentre per gli individui la domanda seppur astrattamente ammissibile dal punto di vista della legittimazione, è esclusa dal punto di vista della fonte normativa presuntamente violata, ciò in quanto, la violazione di direttive europee non consente “ai singoli diritti individuali direttamente azionabili dinanzi al Giudice nazionale”.
Anche in ordine all’inammissibilità della modifica della domanda, irritualmente avanzata dalle ricorrenti a ridosso dell’udienza di discussione, la decisione del TAR romano appare in linea anche con la più recente Giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. Sentenza 21 febbraio 2022, n. 5624), secondo la quale “non rappresenta un vulnus al principio del contraddittorio il fatto che la parte possa addurre una nuova causa petendi (per i diritti autoindividuati, configurandosi altrimenti una inammissibile mutatio libelli), sempre che, ovviamente, ciò non si fondi sull’introduzione in giudizio di fatti nuovi e non si determini un mutamento delle conclusioni già rassegnate nel giudizio.”;circostanza quest’ultima, invece sussistente nella fattispecie oggetto del giudizio in commento.
Parimenti, riguardo al danno “da paura di ammalarsi”, la decisione in commento si riporta all’inquadramento tradizionale della Giurisprudenza (Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972)  rifacendosi, quanto all’onere probatorio in caso di danno ambientale, al caso “Seveso” (Sezioni Unite di Cassazione n. 2515 del 21 febbraio 2002), ribadendo la necessità dei requisiti per il suo riconoscimento consistenti nella“circostanziazione” e individualizzazione del patema d’animo sofferto dalla singola persona fisica”, quindi “il concreto turbamento psichico (sofferenza e patemi d’animo) derivante dall’esposizione del soggetto a sostanze inquinanti, nonché le conseguenti limitazioni del normale svolgimento della propria vita.”.
Tale necessità di “circostanziazione” ed “individuazione” appare del tutto in linea con la più recente giurisprudenza francese (cfr. Assemblée Plénière de la Cour de Cassation del 5 aprile 2019, n. 18-17442, in seguito confermata da pronunce ancora più recenti cfr. Cour de Cassation, 8 février 2023, Pourvoi n° 20-23.312) che riconosce il diritto al risarcimento del «danno da ansia» o del «danno da paura di ammalarsi» (préjudice d’anxiété) ad esempio ai lavoratori che, pur non avendo sviluppato alcuna malattia, dimostrino (oltre alla prova di essere stati esposti all’amianto e di correre per questo il rischio concreto di sviluppare una grave patologia ed al colpevole inadempimento del datore di lavoro dei propri obblighi di sicurezza) che “il danno d’ansia di conseguenza patito, consistente nell’angoscia e sofferenza permanente che si prova dinanzi alla possibilità che ci venga diagnosticata da un momento all’altro una malattia dall’esito infausto” (cfr, in dottrina, Orsola Razzolini, “Esposizione a fibre di amianto e risarcimento del «danno da paura di ammalarsi». orientamenti recenti della giurisprudenza francese”, Lavoro Diritti Europa 2019/3,  https://www.lavorodirittieuropa.it/images/Razzolini_Danno_da_ansia.pdf ).
Atteso il rigetto del ricorso e dei motivi aggiunti, anche rispetto al ritenuto parziale difetto di giurisdizione, non potendosi escludere, da un lato, l’appello e/o, dall’altro lato, la riproposizione avanti il Giudice ordinario – peraltro riservata dalle parti ricorrenti – si dovrà attendere (pur nel solco già esistente della Giurisprudenza) la conferma della definitività della sentenza per vedere cristallizzare i principi in essa indicati.

antonio tafuri

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