Il Gip del Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione al reato di aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) come modificato dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale.
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Indice
- 1. I fatti
- 2. Rilevanza della questione e configurabilità dell’aiuto al suicidio
- 3. La configurabilità della causa di non punibilità introdotta dalla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale
- 4. Trattamenti di sostegno vitale e contrasto con la Costituzione
- 5. Contrasto con il principio di dignità e con la CEDU
- 6. La richiesta di intervento alla Corte Costituzionale
1. I fatti
Il procedimento vede indagato un noto esponente dei radicali e attivista per aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) per avere organizzato e poi materialmente eseguito l’accompagnamento di una persona presso la clinica svizzera dove, il giorno stesso, è deceduto in seguito a procedura di suicidio assistito.
Al paziente era stata diagnosticata nel 2017 la sclerosi multipla, patologia del sistema nervoso centrale che conduce a invalidità progressiva.
Dopo l’esordio dei primi sintomi lievi, il quadro clinico era rimasto invariato fino alla fine del 2021/inizio del 2022, quando si era registrato un significativo avanzamento del processo di demielinizzazione tipico della malattia, con conseguente peggioramento delle condizioni di vita del paziente: dapprima aveva manifestato difficoltà di deambulazione, poi aveva avuto bisogno della sedia a rotelle e, dopo appena qualche mese, risultava già definitivamente impossibilitato a muoversi da letto, con pressoché totale immobilizzazione anche degli arti superiori.
Il paziente aveva maturato l’idea di porre fine alla propria vita proprio per questo e, in autonomia, tramite ricerche su internet, era venuto a conoscenza di associazioni dedite a offrire supporto ai pazienti che sono interessati ad accedere a procedure di suicidio assistito all’estero: così è entrato in contatto con l’odierno indagato.
Questo ha preso contatti con una clinica svizzera e, dopo l’iter burocratico, ha confermato la sua volontà e, utilizzando quel poco di mobilità rimasta, ha assunto per via orale il farmaco letale, ponendo fine alla sua vita in pochi minuti.
2. Rilevanza della questione e configurabilità dell’aiuto al suicidio
Il Gip del Tribunale di Firenze è chiamato ad applicare l’art. 580 c.p. nella versione vigente in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 per valutare la possibilità di accogliere la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura.
Allo stato, ad avviso del Gip, la richiesta di archiviazione non potrebbe essere accolta, poiché, in base al compendio probatorio in atti, la condotta degli indagati rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 580 c.p., in particolare della fattispecie di aiuto al suicidio, senza che si possa beneficiare della causa di non punibilità introdotta a seguito della citata pronuncia di illegittimità parziale.
Il Gip osserva che il fatto è senz’altro riconducibile alle ipotesi contemplate dall’art. 580 c.p., poiché la morte si è verificata come conseguenza immediata e diretta di un’azione autolesiva posta in essere personalmente e consapevolmente dallo stesso titolare del bene vita, che risulta essersi autosomministrato, con gesto autonomo, quando era ancora cosciente, la sostanza che ha provocato il decesso.
3. La configurabilità della causa di non punibilità introdotta dalla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale
Ad avviso del Gip, la condotta degli indagati non ricade nell’ipotesi di non punibilità introdotta nell’art. 580 c.p. dalla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale, poiché nel caso di specie non risulta integrato il requisito della “dipendenza da trattamenti di sostegno vitale“.
Nell’ordinanza si legge che “la Corte costituzionale, nel definire il requisito in esame, ha utilizzato la congiunzione disgiuntiva ‘o’: un dato grammaticale che autorizza senz’altro l’interprete a ritenere che possa (o meglio debba) essere data autonoma rilevanza sia alle sofferenze fisiche sia a quelle esclusivamente psicologiche. Altrettanto chiaro, sul piano letterale, è che la valutazione circa la tollerabilità delle sofferenze (fisiche o psicologiche) spetta unicamente alla persona malata, senza che al suo giudizio possa essere sovrapposto quello di terzi soggetti (parenti, medici, giudici) chiamati al più a prenderne atto – verificando, se del caso, la lucidità del paziente e la serietà della sua esternazione – ma senza apprezzamenti ‘di merito alternativi’, necessariamente ispirati a criteri eteronimi e moralisti (posto che nessuno potrebbe indicare ad altri quanto dolore sia sopportabile)“.
Per ciò che concerne la verifica della sussistenza delle condizioni procedurali richieste dalla Corte Costituzionale per la liceità dell’aiuto al suicidio, il Gip osserva che, in genere, debbano essere rispettate “le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della l. 219/2017, che tali modalità di esecuzione e le condizioni sostanziali legittimanti l’aiuto al suicidio siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale e che sia acquisito il previo parere del comitato etico territorialmente competente” e che, nel caso di specie, tali requisiti siano stati soddisfatti.
Tuttavia, va esclusa la sussistenza della dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale (ventilazione, idratazione, etc.).
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4. Trattamenti di sostegno vitale e contrasto con la Costituzione
Il Gip ritiene che “il requisito costituito dalla necessità che la persona sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale […] presenti diversi profili di possibile contrasto con i parametri costituzionali. La premessa è che tale requisito segna, se letto in negativo, il confine tra l’area di liceità e l’area tuttora coperta dal divieto di aiuto al suicidio, e pertanto costituisce un limite per la persona che desidera di morire avvalendosi dell’aiuto altrui, in quanto disincentiva, tramite minaccia della sanzione penale, i terzi che intendessero apportare tale aiuto“.
In primo luogo, ad avviso del Gip, la disposizione, in tale parte, appare in contrasto con l’art. 3 Cost. per la irragionevole disparità di trattamento che determina tra situazioni concrete sostanzialmente identiche. In pratica, “a parità di altre condizioni (in particolare l’irreversibilità della malattia, l’intollerabilità delle sofferenze che ne derivano e la capacità di autodeterminazione dell’interessato), la liceità della condotta di terzi finisce per dipendere dal fatto che la persona sia o meno tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale“.
Inoltre, il Gip ravvisa ulteriori contrasti con i parametri costituzionali.
In particolare, “l’impossibilità di accesso al suicidio assistito per le categorie di pazienti irreversibili e sofferenti ma privi del requisito di cui alla lett. c), si traduce in una ingiustificata lesione dei loro diritti fondamentali e in particolare della libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost.“.
Viene osservato, infatti, che la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale certamente non è una condizione di esistenza di tale diritto, ma ne rappresenta un limite, in quanto tale legittimo se giustificato da contro-interessi di analogo rilievo che, invece, non sembrano sussistere.
Per il Gip del Tribunale di Firenze, “pretendere che, per poter ottenere un lecito aiuto a morire da parte di terzi, il sofferente sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, non solo limita la libertà del paziente restringendone le possibilità di manifestazione, ma ne condiziona l’esercizio in modo perverso, trasformando l’autodeterminazione nel suo contrario“.
5. Contrasto con il principio di dignità e con la CEDU
Il principio della dignità umana è stato invocato dalla Corte costituzionale nell’ord. 207/2018 ai fini dell’accertamento dell’illegittimità dell’art. 580 c.p. nella sua versione previgente. In tale occasione, la violazione del principio era stata ravvisata nella circostanza per cui il divieto assoluto di aiuto al suicidio avrebbe imposto alla persona un’unica modalità per congedarsi dalla vita (l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale) e comunque esposto il paziente (anche una volta interrotte le terapie) “a subire un processo più lento, in ipotesi meno corrispondente alla propria visione della dignità nel morire” anche nella prospettiva delle sofferenze cui ciò poteva esporre, di riflesso, le persone che gli sono care. Si tratta a tutti gli effetti di un aspetto del diritto di autodeterminazione che ha un peso primario nella decisione del paziente.
Il Gip osserva che “situazioni del genere, in cui la persona (malata e sofferente), pur di non attendere inerme la morte, è abbandonata e costretta a ricorrere ai mezzi più disparati per darsi la morte, rende indubbiamente la scelta di morire, di per sé già scelta tragica, anche crudele“.
Inoltre, il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale risulta distonico anche rispetto al sistema sovranazionale di tutela dei diritti fondamentali della persona, rilevante come parametro interposto di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 117 Cost.
Secondo il quadro desumibile dalla giurisprudenza della Corte EDU, le disposizioni che limitano la liceità dell’aiuto al suicidio rappresentano interferenze nella libertà di autodeterminazione della persona che, a livello convenzionale, rientra nel diritto di cui all’art. 8. Ad avviso del Giudice, “subordinare l’aiuto al suicidio di una persona capace di autodeterminarsi al requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale rappresenta senz’altro – come qualsiasi forma di limitazione della libertà della persona di decidere tempi e modi della propria morte – una compressione del diritto al rispetto della vita privata e familiare; una compressione che tuttavia, per quanto visto in precedenza, non appare funzionale (e tantomeno necessaria, come richiederebbe la Convenzione) alla tutela del diritto alla vita, o che comunque sacrifica in modo sproporzionato l’interesse a morire della persona che abbia preso tale decisione in modo libero e consapevole“.
6. La richiesta di intervento alla Corte Costituzionale
Il Gip ha, dunque, chiesto alla Corte Costituzionale di dichiarare illegittimo l’art. 580 c.p. nella versione modificata dalla stessa Corte con sentenza n. 242/2019, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale” per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento agli artt. 8 e 14 della Convenzione EDU.
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