L’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte Costituzionale ha diffuso il comunicato relativo alla sentenza n. 10 del 2024 che sancisce l’illegittimità del divieto assoluto di affettività della persona detenuta conseguente all’inderogabilità del controllo a vista in quanto in contrasto con gli artt. 3, 27, terzo comma Cost., 117, primo comma Cost. in relazione all’art. 8 CEDU.
Indice
1. I fatti
Il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 O.P. nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, commi 1 e 4, 27, comma 3, 29, 30, 32 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in rapporto agli art. 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
L’ordinanza è scaturita dal reclamo di un detenuto nel carcere di Terni, nel quale si lamentava delle modalità con le quali l’istituto penitenziario gli consente di svolgere i previsti colloqui visivi con i familiari, tra i quali la figlia minore e la compagna. Nel reclamo-istanza si evidenziavano le conseguenze negative che l’assenza di intimità con la compagna sta avendo sul mantenimento del suo rapporto di coppia.
2. Il comunicato della sentenza della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, analizzando la questione di legittimità che le era stata sottoposta, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.
La Corte ha affermato che “l’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggtti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società“.
La Corte ha, dunque, riscontrato la violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. per la irragionevole compressione della dignità della persona causata dalla norma in scrutinio e per l’ostacolo che ne deriva alla finalità rieducativa della pena.
Inoltre, è stata riscontrata anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 8 CEDU, per il difetto di proporzionalità di un divieto radicale di manifestazione dell’affettività entro le mura.
3. Le conclusioni della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale ha auspicato “un’azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze, con la gradualità eventualmente necessaria”.
Infine, la Corte ha previsato che, in coerenza con l’oggetto del giudizio principale, la sentenza non concerne il regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis della legge sull’ordinamento penitenziaria, né i detenuti sottoposti alla sorveglianza particolare di cui all’art. 14-bis della stessa legge.
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