Le Sezioni Unite penali hanno affermato che la sentenza di patteggiamento con cui sia stata concessa la sospensione condizionale della pena non subordinata, come concordato tra le parti, agli obblighi di cui all’art. 165, quinto comma, cod. pen., necessariamente previsti in relazione ai reati ivi contemplati, non è ricorribile per cassazione, non determinando tale omissione un’ipotesi di illegalità della pena.
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Indice
1. I fatti
Il Gip del Tribunale di Genova aveva applicato all’imputato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena, condizionalmente sospesa, di un anno e otto mesi di reclusione in relazione al delitto di cu agli artt. 8, scondo comma, 609-bis, terzo comma, 609-ter, secondo comma, e 612, secondo comma, cod. pen.
Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso per Cassazione da parte del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova, affidato a un unico motivo mediante il quale ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 165, quinto comma, cod. pen., come modificato dall’art. 6 della legge 19 luglio 2019, n. 62 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), per avere il Gip omesso di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena accordato all’imputato alla sua partecipazione a percorsi specifici di recupero presso enti o associazioni qualificati.
Dopo aver sinteticamente riassunto gli opposti orientamenti esistenti nella giurisprudenza di legittimità a proposito della deducibilità con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., del mancato rispetto di quanto previsto dall’art. 165 cod. pen., ha argomentato le ragioni a sostegno della deducibilità con il ricorso per Cassazione di violazioni di legge integranti forme di illegalità della pena, in quanto incidenti sulle concrete modalità di esplicazione del regime punitivo. Ha quindi concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al Tribunale di Genova per la decisione sulla proposta di concordato di pena e la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla partecipazione dell’imputato a specifici percorsi di recupero.
La Terza Sezione Penale, dato atto del contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità a proposito della impugnabilità con ricorso per Cassazione delle sentenze di applicazione della pena su richiesta viziate nella parte relativa alla sospensione condizionale della pena, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.
Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume:
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2. Il contrasto giurisprudenziale
Le Sezioni Unite hanno dato atto dell’esistenza di un primo orientamento, contrario alla impugnabilità con ricorso per cassazione delle sentenze di patteggiamento che abbiano illegittimamente disposto la sospensione condizionale della pena senza subordinarla all’adempimento di uno degli obblighi previsti come condizione necessaria per l’applicazione di tale beneficio, orientamento che si fonda sulla esclusione della riconducibilità di tale vizio alla nozione di illegalità della pena.
Secondo tale orientamento l’esclusione dell’ammissibilità del ricorso per cassazione si ricava dalla tassativa previsione dei motivi di impugnazione proponibili avverso le sentenze di patteggiamento di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., inserito dall’art. 1, comma 50, della l. 23 giugno 2017, n. 103, secondo cui contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta è ammesso ricorso per Cassazione “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza“.
Inoltre, la nozione di “pena illegale” deve essere nettamente distinta da quella di “pena illegittima” e le disposizioni sulla sospensione condizionale della pena sono estranee al concetto di pena.
Alla stregua di un opposto orientamento, favorevole alla proposizione del ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., con cui il pubblico ministero contesti l’omessa subordinazione della sospensione condizionale della pena a uno degli obblighi previsti dalla legge come condizione necessaria per il riconoscimento di tale beneficio, la nozione di “pena illegale” comprende anche gli istituti che incidono sulla effettiva e concreta applicazione delle sanzioni.
Tale indirizzo, dunque, pur condividendo con quello contrario il riconoscimento della centralità della disposizione di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., accoglie una diversa nozione di “pena illegale”.
Questa non potrebbe “essere circoscritta all’irrogazione di una o più delle sanzioni previste dall’art. 17 cod. pen., ma dovrebbe essere identificata in un più amplio plesso concettuale che comprenda anche gli istituti che incidono sulla concreta ed effettiva applicazione di tali sanzioni“.
Si afferma, inoltre, che il riconoscimento della sospensione condizionale della pena ha, comunque, un suo pur limitato contenuto afflittivo, che consiste nella intimazione rivolta al condannato di astenersi dal commettere ulteriori reati, con l’ammonimento che ove ciò non avvenga, e ricorrendo determinate condizioni, alla pena inflitta sarà data esecuzione, contenuto ancora più percepibile quando l’applicazione del beneficio sia stata subordinata all’adempimento di obblighi specifici.
3. Ricorribilità per Cassazione della sentenza di patteggiamento con pena sospesa: l’analisi delle Sezioni Unite
La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente: “se, con riguardo ad una sentenza di patteggiamento, sia ammissibile il ricorso per Cassazione del pubblico ministero che censura la concessione della sospensione condizionale della pena concordata tra le parti, la quale non sia subordinata ad un obbligo previsto come condizione necessaria dalla legge per l’applicazione del beneficio, in particolare in relazione ai reati di cui all’art. 165, quarto comma, cod. pen.“.
Per risolvere il sopraesposto contrasto giurisprudenziale, ad avviso delle Sezioni Unite, occorre, anzitutto, considerare i limiti alla proposizione del ricorso per Cassazione avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta stabiliti dall’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen.
Tale disposizione, prevede che il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere nei confronti della sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e alla illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Ai sensi del successivo art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., l’inammissibilità dell’impugnazione proposta per motivi non consentiti dall’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., va dichiarata senza formalità di rito, con trattazione camerale non partecipata.
Osserva la Suprema Corte che “si tratta di una disciplina che persegue finalità deflattive, garantite da un procedimento che assicuri un più rapido passaggio in giudicato del provvedimento impugnato, in considerazione delle sue peculiarità, perché il consenso dell’imputato all’applicazione della pena rende superfluo lo svolgimento di un giudizio a cognizione piena e legittima la limitazione dei casi di impugnazione“.
Premesso ciò, è necessario stabilire se le omesse statuizioni in tema di sospensione condizionale della pena di cui al caso di specie, possano rientrare nella nozione di “pena illegale” idonea a giustificare il ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.
Le Sezioni Unite hanno recentemente osservato che “pena illegale è, conseguentemente, quella che si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, perché diversa per genere, per specie o per quantità da quella positivamente prevista” (Sez. U. n. 877 del 14/07/2022).
Dopodiché, la Corte pone la sua attenzione all’istituto della sospensione condizionale della pena, la quale, nonostante le varie modifiche subite nel tempo, con un progressivo ampliamento degli obblighi (anche di carattere afflittivo) al cui adempimento può o deve essere subordinata, non è stata mutata nella sua natura e funzione. Difatti, la Suprema Corte chiarisce che si tratta di “una misura, in senso lato, alternativa alla detenzione, rispondente alla ratio di sottrarre alla privazione della libertà e alla restrizione in carcere chi non avesse ancora conosciuto l’esperienza detentiva, orientata a ridurre il fenomeno della detenzione breve (o brevissima)“.
Tale ricostruzione porta, dunque, ad escludere che la sospensione condizionale della pena possa essere ricondotta alla nozione di “pena” rilevante ai fini della verifica della sua “legalità”, in quanto essa implica la già avvenuta determinazione della pena con una sentenza di condanna, cioè la traduzione della pretesa punitiva, della punibilità astratta, in concreta, e si configura come una “astensione a tempo” dall’esecuzione della pena, che non implica alcuna limitazione della libertà personale del condannato.
4. La decisione delle Sezioni Unite
Alla luce di quanto finora esposto, le Sezioni Unite giungono a chiarire che “la ricordata limitazione dei casi di impugnabilità delle sentenze di applicazione della pena su richiesta stabilita dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., non consente di estendere la nozione di “pena illegale” fino a ricomprendervi anche gli aspetti relativi alla sospensione condizionale della pena, riconosciuta, in conformità all’accordo ma in violazione di legge, perché priva della imposizione di obblighi o prescrizioni previsti come necessari (art. 165, commi 2, 4, 5, e 7 cod. pen.), stante l’evidenziata estraneità della sospensione condizionale alla nozione di pena e la già riconosciuta compatibilità costituzionale di detta limitazione“.
Vieppiù: la preclusione della proponibilità del ricorso per Cassazione per questioni relative alla sospensione condizionale della pena, in quanto riconosciuta recependo il concordato di pena ma in violazione di legge, non determinando l’illegalità della pena, non può dirsi in contrasto con l’art. 24, comma 1 Cost. o con l’art. 111, comma 7 Cost. o con obblighi internazionali derivanti dalla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Le Sezioni Unite hanno, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “la sentenza di patteggiamento con cui sia stata concessa la sospensione condizionale della pena non subordinata, come concordato tra le parti, agli obblighi di cui all’art. 165, quinto comma, cod. pen., necessariamente previsti in relazione ai reati ivi contemplati, non è ricorribile per Cassazione, non determinando tale omissione un’ipotesi di illegalità della pena“.
In applicazione di detto principio di diritto, nel caso in esame il ricorso del pubblico ministero risulta inammissibile, in quanto proposto per un motivo non consentito, ovvero fuori dai casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.
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