Approfondimento sull’accettazione dell’eredità oltre il termine di legge.
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Indice
1. Quando si prescrive il diritto di accettare l’eredità
Fino a quando si può accettare l’eredità? Ci sono particolari termini da rispettare o la circostanza che l’accettazione possa avvenire anche tacitamente implicitamente comporta l’apertura ad un acquisto sine die? La risposta è contenuta nell’art. 480 del codice civile. Un invito a ripercorrere alcuni principi cardine della prescrizione in materia successoria. Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni a far data dall’apertura della successione. Il decorso di detto termine comporta estinzione del diritto. Tanto che non mancano alcuni autori che preferiscono parlare di termine decadenziale, contrariamente alla rubrica della disposizione in commento. Il termine in questione non è soggetto a causa interruttiva alcuna. Si avrà, piuttosto, sospensione per l’ipotesi in cui l’erede figuri quale chiamato ulteriore. Cioè, qualora egli rientri nel gioco del calcolo delle quote della successione per effetto della mancata accettazione di chi risulti chiamato prima di lui. In tal caso, nei suoi confronti il termine non corre fintanto che il diritto dei primi chiamati non sia esaurito. Nulla dice però il codice – non almeno in modo esplicito – cosa succede se non si accetta l’eredità entro dieci anni. Ci chiederemo cioè se, in assenza di una accettazione dell’eredità, il chiamato diventa comunque erede o se la sua quota finisca ad altri soggetti. E cosa ne è dei debiti di cui questi avrebbe dovuto rispondere in qualità di erede.
2. Cosa accade se scade il termine per accettare l’eredità
Se scadono i dieci anni senza che vi sia stata accettazione di eredità, il chiamato si considera come se avesse rinunciato. Quindi la sua quota va a finire ai suoi figli (se è il figlio o il fratello del defunto) o va ad accrescere la quota degli altri eredi (nei restanti casi). È bene tuttavia ricordare che l’accettazione dell’eredità può avvenire non solo con una dichiarazione formale fatta al notaio o al cancelliere, ma anche per comportamenti taciti, quegli atti che dispongono del patrimonio del defunto. Si pensi a un figlio che prelevi dal conto del padre una somma di denaro o che dia in affitto la casa finita in eredità o la venda o se la intesti. Tutti questi atti finiscono per essere incompatibili con la rinuncia all’eredità e quindi, dal loro compimento, il chiamato diventa a tutti gli effetti erede. Quindi ricapitolando, se non si accetta l’eredità entro dieci anni, l’eredità si considera rinunciata a meno che, nel frattempo, non sia intervenuto un atto di accettazione tacita. L’accettazione dell’eredità – espressa o tacita – non può più essere revocata.
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3. Termine per rinunciare all’eredità
La legge non fissa anche un termine per rinunciare all’eredità ma esso si evince proprio da quanto appena detto: la rinuncia infatti può essere fatta sempre entro i dieci anni previsti per l’accettazione. Difatti, se non si accetta l’eredità entro tale termine, l’erede si considera rinunciatario. Vi sono dei casi in cui l’accettazione dell’eredità deve avvenire entro termini più stringenti: il primo caso è quando il “chiamato” (ossia l’erede potenziale) è nel possesso dei beni del defunto, come nell’ipotesi del convivente. Questi deve fare, entro tre mesi dall’apertura della successione, l’inventarioe, nei successivi quaranta giorni, deve manifestare la propria scelta tra la rinuncia all’eredità o l’accettazione con beneficio di inventario. In assenza di tale dichiarazione, o in caso di inutile decorso dei termini, il chiamato si considera erede puro e semplice. Dunque, in tale ipotesi, si verifica l’effetto opposto rispetto a quello prima visto: difatti se è vero che alla scadenza dei dieci anni il chiamato si considera come se avesse rinunciato all’eredità, nel caso invece di soggetto nel possesso dei beni del defunto la scadenza dei termini determina l’accettazione tacita dell’eredità. La seconda ipotesi in cui il termine dei dieci anni viene abbreviato è quando qualcuno, avendo interesse a definire al più presto l’identità degli eredi (si pensi a un creditore o a un altro degli eredi) si rivolge al tribunale e chiede lafissazione di un termine più breve per accettare l’eredità. Il codice civile infatti stabilisce che chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria del luogo dove si è aperta la successione fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare.
4. La denuncia di successione
E’ bene ricordarsi in ogni caso che secondo la giurisprudenza (Cassazione 22017/2016), la denuncia di successione e il pagamento dell’imposta collegata, non comportano accettazione tacita dell’eredità. Si tratta, infatti, di adempimenti fiscali che, giacché diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni, hanno mero scopo conservativo e rientrano dunque tra gli atti che il chiamato a succedere può compiere in base ai poteri conferitigli dall’art. 460 c.c. In base a quanto affermato dalla Cassazione, infatti, l’accettazione tacita di eredità può desumersi soltanto dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato tale da integrare gli estremi dell’atto gestorio incompatibile con la volontà di rinunziare, e non altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede, con la conseguenza che non possono essere ritenuti atti di accettazione tacita quelli di natura meramente conservativa che il chiamato può compiere anche prima dell’accettazione, ex art. 460 c.c.’. In ogni caso, l’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso e non è censurabile in sede di legittimità, se la motivazione è immune da vizi logici o da errori di diritto (cfr. Cass. n. 12753/1999; Cass. n. 5688/1988) “.E ancora “…. ai fini dell’accettazione tacita dell’eredità è irrilevante la trascrizione della denuncia di successione in assenza di altri atti inequivocabilmente rivolti all’assunzione della qualità di erede” (Cass. Civ. 4848/2019).
5. La giurisprudenza sull’accettazione di eredità oltre il termine
Ebbene, tenendo a mente che l’art. 480 c.c. stabilisce che l’eredità va accettata entro dieci anni dalla apertura della successione e che se il diritto si prescrive e non vi sono parenti entro il sesto grado del de cuius e non sono stati compiuti atti qualificabili in termini di accettazione implicita dell’eredità, erede è lo Stato ai sensi dell’art. 586 c.c. va posta particolare attenzione al prezioso contributo offerto dalla sentenza numero 837 del 6 maggio 2021 del Tribunale di Treviso. Il decorso del temine decennale, per vero, non impedisce tout court l’accettazione dell’eredità ove la prescrizione non sia eccepita da alcun potenziale interessato. Si afferma, quindi, che l’eventuale accettazione tardiva è valida purché nessuno abbia eccepito la prescrizione del relativo diritto. Solo l’eccezione dell’avvenuta prescrizione è idonea a comportare la definitiva perdita del diritto di accettare l’eredità. Eccezione che potrà sollevarsi perfino quando l’accettazione sia già stata effettuata ancorché oltre il decennio. E, comunque, con pari effetti. Ma mai rilevabile d’ufficio dal giudice. Tanto vale sia per l’accettazione espressa quanto per quella tacita. Pertanto, non è già il decorso del decennio ad impedire l’accertamento di avvenuta accettazione tacita di eredità innanzi al compimento di un atto dispositivo astrattamente idoneo (come, ad esempio, la vendita di un bene dell’asse ereditario). Quanto, piuttosto, la corretta formulazione dell’eccezione di prescrizione, ancorché postuma. Sarà essa a fare risultare l’acquisto intervenuto quando ormai il diritto di accettare l’eredità s’era già consumato. L’avvenuto decorso del decennio non deve far temere di non essere più nei termini per procedere all’accettazione di quanto ricevuto per successione. Sempreché non sia stato lo stesso testatore a prestabilire un termine inferiore e salva l’eccezione di prescrizione. Nello stesso senso si è pronunciata la Cassazione Civile II il 25.06.2020 con sentenza n.12646
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