Approfondimento sulla tematica del fascismo e dei relativi pericoli e rimedi nel nostro ordinamento.
Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale
Indice
1. Introduzione
“Potrebbe svilupparsi in Italia un movimento nuovo, anarchico, per esempio, (…) che dovrebbe essere combattuto sul terreno della competizione politica democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee, ma non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rifiuta alcuni dei principi contenuti nella formula in esame. (…) Il movimento e il partito fascista sono determinati storicamente, se ne conoscono il programma, l’attività, l’azione, i quadri; se un partito sorgesse con simili manifestazioni, sarebbe facile riconoscere in esso il partito fascista“. (Palmiro Togliatti, seduta dell’Assemblea Costituente del 19 novembre 1946 avente ad oggetto la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana).
Dal resoconto stenografico citato emerge che il Segretario generale del Partito Comunista Italiano dal 1927 al 1934 e dal 1938 al 1964, nonché Ministro di Grazia e Giustizia dal 1945 al 1946, propose di affrontare il pericolo di ricostituzione del Partito Nazionale Fascista mediante un’impostazione liberale al problema.
Il testo della norma approvato dai costituenti recita infatti:
“(Disposizioni transitorie e finali – XII)
È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.”
Dall’analisi della disposizione si evince che:
1. il destinatario della norma è un’organizzazione, un partito, un movimento; non un gruppo, un assembramento, un’accolta temporanea di persone. Giacché, argomentando a contrario, sarebbe stato sufficiente vietare la formazione di un qualsiasi gruppo fascista. Ciò in base al principio che il generale contiene il particolare. Dunque l’elemento organizzativo è un discriminante normativo;
2. il pericolo di ricostituzione del Partito Nazionale Fascista è situato entro un arco temporale di cinque anni dall’entrata in vigore del testo costituzionale. All’interno di questo periodo la pericolosità risulta sanzionata dall’esclusione temporanea del diritto di voto attivo e passivo per i capi responsabili del regime fascista (nota: la c.d. ‘amnistia Togliatti’ è del 22 giugno 1946, dunque circa cinque mesi antecedente all’approvazione della norma in esame);
3. il fatto vietato è la creazione di un soggetto giuridico non la manifestazione del pensiero ad esso ispiratore;
4. il divieto descrive un esito, un risultato, un prodotto; non coinvolge il processo, i mezzi, i preparativi idonei a realizzarlo. L’impedimento concerne l’organizzazione già strutturata e funzionale, non gli atti preliminari teleologicamente orientati ad istituirla. Con una metafora biologica si può dire che la norma inibisce la nascita dell’organismo, non la sua fecondazione e gestazione;
5. la disposizione ha carattere transitorio, per cui nel progetto del legislatore costituente si rende necessaria una successiva normazione in materia.
2. Ulteriori rilievi costituzionali della questione
L’art. 2 Cost. tutela i diritti inviolabili dell’uomo “nelle formazioni ove si svolge la sua personalità” e l’art. 3 Cost. stabilisce la pari dignità sociale dei cittadini “senza distinzione di opinioni politiche“. L’art. 17 Cost. afferma la libertà di riunione dei cittadini, purché essa si svolga “pacificamente e senza armi“; le autorità possono vietare riunioni in luogo pubblico solo in sussistenza di “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica“.
L’articolo 18 Cost. merita attenzione ed è necessario riportarlo integralmente:
“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.“
Da cui si comprende che:
• l’associazione è un tipo di formazione sociale (art. 2 Cost.), il legame denota una relazione da species a genus;
• l’avverbio “liberamente” esprime una caratteristica propria ed esclusiva degli ordinamenti liberali. In essi si rileva la compresenza di una c.d. “libertà negativa” (o “libertà da”) e una c.d. “libertà positiva” (o “libertà di”). Lo Stato non può imporre ai cittadini di costituire o aderire ad un’associazione (componente negativa assente nei ‘regimi totalitari’); di contro, un insieme di cittadini può configurarsi in un’associazione senza che tale iniziativa produca una reazione statale punitiva o sanzionatoria;
• vengono definiti due elementi ontologici differenziali rispetto al ‘diritto di riunione’ contenuto nell’art. 17 Cost:: a) il carattere transeunte, temporaneo e non necessariamente finalizzato della riunione viene contrapposto al dato strutturale, duraturo e finalistico dell’associazione; b) la forza del vincolo adesivo interindividuale che è debole nell’ipotesi della riunione, è forte nel caso dell’associazione;
• è descritta una sola condizione negativa per la formazione dell’associazione, ovvero la non integrazione di fattispecie di reato. L’esempio di scuola è l’associazione per delinquere prevista dall’art. 416 c.p.;
• sono vietate due tipologie di associazioni: le associazioni segrete e le associazioni militari finalizzate a perseguire, “anche indirettamente“, obiettivi politici. La ragione alla base del duplice divieto è intuitiva. La Costituzione Italiana garantisce il diritto di associazione, dunque l’unico motivo per segretare il vincolo associativo è l’illegittimità del medesimo. Il legislatore costituente ha così posto una presunzione assoluta di illiceità all’elemento della segretezza. In merito alle organizzazioni militari politico-funzionali, esse sono vietate poiché incompatibili con i criteri di partecipazione alla politica nazionale sanciti nell’art. 49 Cost.;
• il modello normativo dell’associazione è produttivo di numerose subtipologie, tra cui il partito politico (art. 49 Cost.) e l’organizzazione sindacale (art. 39 Cost.). È altresì discriminativo verso altre forme associative, come la famiglia (art. 29 Cost.).
È opportuno ora concentrare la disamina sulla norma costituzionale relativa alla sottocategoria di associazione denominata ‘partito politico’. L’art. 49 Cost. dichiara che:
“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.“
I tratti distintivi della disposizione sono:
• la ricorrenza dell’avverbio ‘liberamente’, già incontrato in precedenza e alla cui spiegazione ivi si rimanda;
• l’elemento concorrenziale, il quale presuppone l’esistenza di una pluralità di soggetti che partecipano alla competizione democratica;
• l’elemento metodologico, non finalistico, della concorrenza democratica. Il testo non specifica la qualità del fine perseguito da un partito politico che, dunque, potrebbe anche essere non democratico o antidemocratico. È invece essenziale che esso concorra adottando un metodo democratico. Ciò significa che il partito politico:
I. in base al principio di ereditarietà degli attributi deve rispettare i requisiti previsti dall’art. 18 Cost., per cui un’associazione partitica che avesse come fine l’integrazione di fattispecie di reato (ad esempio: violenza privata diretta verso altri partiti politici) non potrebbe continuare la propria attività;
II. il fine vincolato nella determinazione della politica nazionale;
III. deve adempiere ai requisiti legali che disciplinano le ‘associazioni private non riconosciute’ in generale e i ‘partiti politici’ in particolare.
Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume:
Le Riforme della Giustizia penale
In questa stagione breve ma normativamente intensa sono state adottate diverse novità in materia di diritto e procedura penale. Non si è trattato di una riforma organica, come è stata, ad esempio, la riforma Cartabia, ma di un insieme di interventi che hanno interessato vari ambiti della disciplina penalistica, sia sostanziale, che procedurale.Obiettivo del presente volume è pertanto raccogliere e analizzare in un quadro unitario le diverse novità normative, dal decreto c.d. antirave alla legge per il contrasto della violenza sulle donne, passando in rassegna anche le prime valutazioni formulate dalla dottrina al fine di offrire una guida utile ai professionisti che si trovano ad affrontare le diverse problematiche in un quadro profondamente modificato.Completano la trattazione utili tabelle riepilogative per una più rapida consultazione delle novità.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB), giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.
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3. La normativa antifascista
Nell’ordinamento giuridico italiano sono presenti due leggi principali regolatrici di fattispecie di reato lato sensu di matrice fascista: la L. 645/52 (c.d. legge Scelba) e la L. 205/93 (c.d. legge Mancino).
Osserviamole più nel dettaglio.
La prima fu promulgata sette anni dopo il 25 aprile 1945, data storica che la L. 260/49 ufficializza quale giorno festivo anniversario della liberazione (dall’occupazione nazifascista, n.d.r.). La stessa norma che sancisce il 2 giugno 1946 giorno della festa nazionale, a dimostrazione dell’indissolubilità tra la nazione italiana e la riconquista della propria possibilità di autodeterminazione.
Della ‘legge Scelba’, normativa penale speciale, verranno considerati solo gli articoli di diritto sostanziale in ordine decrescente di offensività criminale: articolo 1, articolo 4 e articolo 5 (ex L. 645/52).
L’articolo 1 afferma:
“(Riorganizzazione del disciolto partito fascista)
Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.“
Da cui si evince che:
1. è una norma attuativa della XII disposizione transitoria e finale (supra);
2. è un reato a forma vincolata;
3. l’autore di reato è identificato facendo rimando esplicito all’istituto dell’associazione o, in alternativa, ad una numerosità gruppale minima di cinque persone purché si dimostri la finalità antidemocratica;
4. le singole condotte integratrici della fattispecie possono essere compresenti (si usa la disgiuntiva con funzione di ‘vel‘ in luogo di ‘aut‘);
5. non è necessario che l’associazione, il movimento o il gruppo dichiari apertamente l’adesione esplicita all’ideologia fascista, essendo sufficiente per l’integrazione del reato l’implementazione di atti e fatti mimetici, simpatetici o evocativi di comportamenti o atteggiamenti fascisti.
L’art. 2 ammette un regime sanzionatorio aggravato per i capi o gli organizzatori dell’associazione o del gruppo, nonché un trattamento penale più severo se gli aderenti o gli associati hanno disponibilità di armi o esplosivi.
L’art. 4:
“(Apologia del fascismo)
Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell’articolo 1 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire duecentomila a lire cinquecentomila. ((Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni)) (quest’ultimo periodo è stato aggiunto dal Dl 122/93, vedi infra). La pena è della reclusione da due a cinque anni e della multa da cinquecentomila a due milioni di lire se alcuno dei fatti previsti nei commi precedenti è commesso con il mezzo della stampa. La condanna comporta la privazione dei diritti previsti nell’articolo 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale, per un periodo di cinque anni.“
Da cui si ricava che:
1. la disposizione punisce il singolo, non più l’individuo qualificato come associato o aderente ad un’associazione o ad un gruppo;
2. è un reato a forma libera;
3. l’intenzione del legislatore è di prevenire l’espansione e la diffusione del fenomeno aggregativo;
4. la condanna comporta l’interdizione dall’elettorato attivo e passivo, nonché quella di pubblico ufficio.
L’ultimo articolo che si menziona è il numero 5, che recita:
“(Manifestazioni fasciste)
Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da duecentomila a cinquecentomila lire. Il giudice, nel pronunciare la condanna, puo’ disporre la privazione dei diritti previsti nell’articolo 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale per un periodo di cinque anni.“
Da cui si deduce che:
1. la norma pone una limitazione alla modalità di esercizio del diritto di riunione (art. 17 Cost.), mentre nelle ipotesi precedenti sono compressi rispettivamente quello di associazione (art. 18 Cost.) e il diritto di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.);
2. si equipara la riunione con manifestazione fascista a quella nazista;
3. è un reato a forma vincolata;
4. può comportare l’interdizione del diritto di voto attivo e passivo o quella dai pubblici uffici.
Sussistono svariati problemi di coordinamento tra la L. 645/52 e la L. 205/93, i quali sono portatori potenziali di altrettante antinomie. Giova allora esaminare brevemente la ‘legge Mancino ‘, della quale si elaborano anche in questo caso solamente i profili sostanziali.
Anzitutto bisogna chiarire che la L. 205/93 è una norma modificativa di un decreto-legge (Dl 122/93) a propria volta emendativo della L. 654/75 concernente la “ratifica della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale“, stipulata a New York il 7 marzo 1966.
I punti salienti della norma Mancino sono:
• “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, (…) è punito: a) con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi“;
• “E’ vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni”;
Dal combinato disposto si desume che:
1. vengono distinte due fattispecie di reato:
a) diffusione, incitamento o commissione di atti discriminatori;
b) commissione o provocazione di violenza per motivi discriminatori.
2. è possibile l’irrogazione di una pena maggiore per atto discriminatorio rispetto ad atto violento discriminatorio;
3. il movente è elemento costitutivo di fattispecie;
4. gli atti o violenze discriminatori sono puniti anche se svolti in forma aggregata, modulando l’intensità della pena in funzione del grado di partecipazione al gruppo, all’associazione, al movimento, all’organizzazione: aderente, associato, assistente, partecipante, promotore e dirigente.
4. Conclusioni
Dalla semplice interpretazione letterale delle disposizioni riportate si inferisce che, a fronte di un medesimo fatto, è possibile costruire un impianto accusatorio fondato su diverse ipotesi di reato. La ‘legge Mancino’ e la ‘legge Scelba’ mirano infatti a tutelare beni giuridici in parte sovrapposti o sovrapponibili. La qualifica operata dall’organo inquirente è quindi decisiva, poiché incide gravemente sulla operazionabilità probatoria della fattispecie concreta.
Da ciò si possono sviluppare altre riflessioni:
1. sussiste una alterità irriducibile tra sfera morale e sfera giuridica;
2. è necessario distinguere il fascismo come ideologia e il fascismo come comportamento: il primo è sintomo di mal gestita e incurante ignoranza storica, è senz’altro deprecabile ma rientra nell’ambito della moralità e del diritto di manifestazione del pensiero, come tale garantito dalla Costituzione Italiana. Il secondo descrive una fattispecie di reato;
3. la potestà punitiva dello Stato, ius puniendi, è soggetta a molteplici limiti di natura:
a) costituzionale. Occorre bilanciare diritti e libertà talvolta confliggenti;
b) probatoria. È presente un’indiscutibile difficoltà dimostrativa in relazione alle fattispecie penali esaminate;
c) internazionale. I reati d’opinione sono vietati da numerose disposizioni sovrastatali.
4. si evidenzia una scarsa qualità della normazione: vaghezza degli enunciati, cattivo controllo sulla logica deontica, incoerenza sistematica. Questo dà luogo a difficoltà interpretative, a problemi applicativi, a difformità dei giudicati e quindi a distorsioni nell’amministrazione della giustizia;
5. è palese un uso errato e confusivo della politica del diritto in materia: invece di coordinare e razionalizzare la normativa esistente, si procede mediante continui ampliamenti, aggiunte ridondanti, reiterazioni inutili o dannose. Ciò produce cacofonia legislativa e carenza nella certezza del diritto.
Si propongono nuove e più severe leggi antifasciste, si saltabecca, mentre gioverebbe ricordare il discorso pronunciato il 3 gennaio 1925 da Benito Mussolini.
In quella famigerata occasione egli intervenne alla Camera dei Deputati del Regno D’Italia con queste parole:
“Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento fino ad oggi.“
Se il fascismo è un’associazione a delinquere per ammissione del suo stesso demiurgo, allora esso è qualificabile ex art. 416 del codice penale. E bisogna svolgere tale sussunzione senza inseguire “farfalle sotto l’arco di Tito“, come suggeriva Mussolini nella medesima perorazione.
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