La Corte Costituzionale, con sentenza n. 28 del 27 febbraio 2024, ha risolto la questione di legittimità dell’art. 633 c.p. (invasione di terreni o edifici) sollevata dal Tribunale di Firenze.
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale di Firenze aveva sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 47 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 633 c.p. “nella parte in cui si applica anche all’invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni“.
Il processo pendente riguarda la posizione di quattro imputati citati a giudizio per rispondere del reato di invasione di edifici. Un testimone aveva esposto che l’immobile occupato era un edificio “enorme in stato di abbandono, con un grande terreno circostante“, al cui interno erano state “rinvenute numerose persone, tra cui gli attuali imputati, oltre a masserizie varie“.
Nell’ordinanza di rimessione è riassunta la deposizione di un teste, secondo cui gli occupanti avevano ricavato nell’immobile veri e propri spazi abitativi divisi per famiglie anche con bambini in tenera età. Al momento dell’intervento delle forze dell’ordine, le persone rinvenute nell’edificio si sono mostrate tranquille e collaboranti, ed avevano unicamente dichiarato “di non avere altro posto in cui potersi recare“.
Il rimettente ha posto in evidenza che l’edificio era destinato ad uso abitativo, che lo stesso versava in stato di abbandono all’incirca dal 2000, che il liquidatore della società immobiliare proprietaria del bene non aveva nemmeno visionato lo stabile, né sapeva della sua occupazione prima di esserne informato dalla Polizia.
Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, doveva escludersi che gli imputati versassero in stato di necessità avendo la giurisprudenza di legittimità ritenuto, con riguardo ad analoghe fattispecie, “che difetti il connotato di attualità del pericolo, di per sé incompatibile con tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti caratterizzate da una sorta di cronicità essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo“.
2. Invasione di edifici abbandonati e diritto di abitazione: questione di legittimità del Tribunale di Firenze
Sussistendo gli estremi del reato di invasione di edifici, il Tribunale di Firenze si è interrogato sulla legittimità costituzionale dell’art. 633 c.p. in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 47 Cost.
Nello specifico, l’asserto del rimettente è che “nel caso di immobili per tanto tempo inutilizzati, lasciati in totale stato di abbandono, la funzione sociale della proprietà scompare, e anzi gli immobili stessi divengono fonte di rischi e pregiudizi per l’ambiente circostante, nonché possibili cause di alterazione dell’assetto urbanistico del territorio programmato dalle autorità“.
L’ordinanza di rimessione sostiene, inoltre, che lo stato di abbandono degli immobili “appare tanto più irrispettoso della prevista funzione sociale della proprietà privata ove si consideri la persistente emergenza abitativa che connota la realtà italiana“.
Il Tribunale di Firenze osserva, così, che “in tale contesto, se è forse legittimo accordare comunque una tutela sul piano civilistico ai proprietari di immobili lasciati in stato di abbandono contro eventuali occupazioni abusive, appare irragionevole perseguire queste ultime anche penalmente“.
Sembra irragionevole incriminare “la condotta di chi – per soddisfare un bisogno fondamentale, oggetto di un diritto inviolabile che il nostro Stato democratico dovrebbe garantire – occupi un immobile (eventualmente anche a destinazione teorica abitativa, come nel caso di specie), ma concretamente lasciato dal proprietario da anni in stato di abbandono“.
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3. La posizione del Presidente del Consiglio dei Ministri
Ha depositato atto di intervento nel presente giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
In particolare, viene sottolineato che la disposizione censurata è posta a salvaguardia dell’inviolabilità del patrimonio immobiliare, pubblico o privato, nei confronti di atti diretti a turbare il rapporto di fatto sui beni, instaurato sia dal proprietario che da terzi.
Con il termine “altrui” viene ampliato l’oggetto della tutela, costituito non solo dal diritto di proprietà, ma da ogni altro rapporto con l’immobile, instaurato anche da soggetto diverso dal proprietario, comunque interessato allo stesso modo alla libertà e alla integrità del bene.
L’Avvocatura sostiene che gli imputati non potrebbero neanche lamentare alcuna irragionevole limitazione di un diritto riconosciuto dal legislatore, né invocare una pretesa di conservazione dell’alloggio.
La ricostruzione operata dal giudice a quo, secondo l’Avvocatura, non sarebbe nemmeno in linea con l’interpretazione dell’art. 8 CEDU: la nozione europea di diritto alla casa si risolve in una pretesa di conservazione di un alloggio che è già nella disponibilità dell’interessato e non nel garantire – o, come nel caso di specie, nel giustificare – l’accesso indiscriminato (o addirittura penalmente irrilevante) ad una abitazione.
La difesa statale confuta anche l’invocazione della funzione sociale della proprietà come giustificazione della disapplicazione di una norma penale.
Non sussisterebbe neanche una causa di giustificazione, né un giudizio di proporzionalità in concreto tra l’abbandono dell’immobile, che potrebbe deporre per una attenuazione dell’offesa del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, e la finalità abitativa, che potrebbe aver motivato in via esclusiva il reo.
4. L’analisi della Corte Costituzionale
La questione di legittimità dell’art. 633 c.p. sollevata dal Tribunale di Firenze è, dunque, in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 47 Cost., “nella parte in cui si applica anche all’invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni“.
Ebbene, ad avviso della Consulta, le questioni non sono fondate.
L’art. 633 c.p. punisce, a querela della persona offesa, la condotta di “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto“.
Nel secondo comma, l’art. 633 c.p. prevede una ipotesi aggravata, per la quale si procede d’ufficio, nel caso in cui il fatto sia commesso da più di cinque persone o da persona palesemente armata.
Secondo un consolidato principio di diritto, la nozione di “invasione”, elemento tipico della fattispecie in questione, “postula non modalità esecutive violente o l’uso di una forza soverchiante, quanto un accesso arbitrario, senza autorizzazione del titolare, e perciò solo illecito nella proprietà altrui. La conseguente occupazione costituisce, poi, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione: sicché, ove essa si protragga nel tempo, il delitto rivela natura permanente“.
Il reato di cui all’art. 633 c.p. viene quindi inteso come volto a perseguire una condotta di spoglio funzionale, che sia idonea a comprimere, in tutto o in parte, le facoltà di godimento e destinazione del bene spettanti al titolare dello ius excludendi alios.
La Corte Costituzionale riprende altri consolidati principi in tema di stato di necessità, affermando che “l’invasione di edifici può essere scriminata dallo stato di necessità conseguente anche alla compromissione di tale diritto, purché l’inevitabilità della condotta e l’attualità del pericolo perdurino per tutto il tempo in cui l’occupazione prosegue“.
Non può, dunque, condividersi l’assunto del rimettente per cui, esclusa nella specie la sussistenza della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p., sarebbe comunque irragionevole munire di tutela penale la proprietà di immobili lasciati dal titolare per un lungo periodo di tempo in condizioni di abbandono.
Ad avviso della Consulta, non sarebbe ragionevole nemmeno che la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici abbracci situazioni di fatto in cui l’immobile sia stato per lungo tempo abbandonato e sia stato successivamente occupato a fini abitativi: ciò ne assicurerebbe, piuttosto, un adeguato sfruttamento economico.
Le questioni sono, dunque, state sollevate nella prospettiva secondo cui, in vista del soddisfacimento del diritto all’abitazione, da garantire in un sistema ispirato alla solidarietà economica e sociale e al pieno sviluppo della persona, l’espandersi della funzione sociale della proprietà determinerebbe una limitazione della rilevanza penale della condotta di occupazione.
5. La decisione della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, alla luce di quanto finora esposto, ha affermato che le argomentazioni del rimettente, pur evocative dell’esigenza di tutelare il fondamentale diritto all’abitazione, non possono essere condivise.
Posto che scopo della incriminazione ai sensi dell’art. 633 c.p. è la tutela del diritto di godere pacificamente o di disporre dell’immobile, spettante al proprietario, al possessore o al detentore qualificato, oggetto dell’azione delittuosa non possono che essere terreni o edifici altrui, senza alcuna distinzione, e quindi anche terreni incolti, o non produttivi, nonché edifici disabitati o abbandonati.
La disposizione censurata, nella parte in cui si applica anche all’invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni, “si appalesa quindi non irragionevole e non lesiva dell’art. 42 Cost., non discendendo dallo stato di abbandono un automatico effetto estintivo dello ius excludendi alios riservato al titolare della situazione di attribuzione del bene, né, pertanto, della pretesa punitiva risovolta alla tutela di quel diritto“.
Né tale incriminazione appare in contrasto con la funzione sociale del diritto di proprietà, sia pure posta in stretta relazione all’art. 2 Cost., “in quanto il dovere del proprietario di partecipare alla soddisfazione di interessi generali e all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale non significa affatto che la proprietà, anche se in stato di abbandono, debba soffrire menomazioni da parte di chiunque voglia limitarne la fruizione“.
Quanto all’evocazione dell’art. 47 Cost., invece, ad avviso della Consulta, questa risulta generica e priva di motivazione e considera che lo stesso, nel disporre nel secondo comma che la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione“, individua una forma di garanzia privilegiata dell’interesse primario ad avere un’abitazione e contiene un principio al quale il legislatore è tenuto ad ispirarsi, ma non rende con ciò legittima l’occupazione di un edificio altrui da parte di chiunque intenda destinarlo a proprio alloggio.
La Corte Costituzionale, dunque, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 633 c.p., sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 47 Cost., dal Tribunale di Firenze.
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