Tipicità ed atipicità dei mezzi di prova dopo la l.130/2022

Lorena Papini 20/03/24

Anche nell’ordinamento processuale tributario si pone, quindi, il problema di definire le regole di cognizione dei fatti da parte del giudice, senza dimenticare che parte di questi limiti valgono anche, nella fase procedimentale, per l’Amministrazione finanziaria. Proprio per questo la disciplina della prova non può mai prescindere dalle regole che governano l’attività istruttoria dell’Amministrazione finanziaria. In questo panorama normativo e data l’ambiguità della locuzione “prova” risulta difficile, come già detto, definire la prova atipica.
La nostra analisi può prendere le mosse dalla giurisprudenza tributaria, la quale richiama le prove atipiche in varie circostanze definendole “elementi comunque acquisiti e, dunque, (…) dati ottenuti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni tipici della prova per presunzioni”.
L’atipicità, quindi, può essere intesa in due modi:

  • a. come atipicità dei mezzi di prova, non previsti o non ammessi;
  • b. come atipicità della fase di formazione della prova, che nel processo tributario corrisponde con l’attività istruttoria dell’Amministrazione finanziaria.

Nel primo senso si tratta di prove c.d. innominate, ossia di prove non previste o non ammesse dalla legge, nel secondo caso si dovrebbe parlare più che altro di prove illecite, ossia adottate da una delle parti irritualmente, quindi non conformi alla legge.
Da queste considerazioni deriva che non può essere accettato qualsiasi tentativo volto alla introduzione di mezzi di prova non ammessi o illeciti, giustificando tale tentativo con la categoria della “prova atipica”, che in materia tributaria è inesistente.
Ma il problema è ancora più insidioso: pur ritenendo che non esista una vera e propria categoria di prove atipiche, né con riferimento ai mezzi di prova, né con riferimento al metodo di acquisizione della prova, nel nostro ordinamento tributario è innegabile che sussista una importante e significativa ampiezza della prova, essendo ammessa in varie circostanze la possibilità di avvalersi di qualsiasi dato, notizia o informazione e di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Resta fermo, però, anche se ciò rappresenta una magra consolazione, dato che la Suprema Corte ha ammesso l’esistenza delle prove atipiche, che le prove atipiche non potranno mai essere richiamate per aggirare preclusioni o divieti probatori.
La mancanza nell’ordinamento tributario di un catalogo di prove ammesse, quindi, non solo rende difficile l’individuazione delle prove tipiche, ma, di conseguenza, anche di quelle atipiche.
In realtà la situazione non cambia nemmeno alla luce del più generale rinvio al codice di procedura civile in materia di prove, dove ogni tipologia di prova è ammessa, sia essa scientifica, diretta, dichiarazione di scienza, documenti, ecc. Ma questo non significa, purtroppo, che tutti i suddetti mezzi di prova valgano anche in materia tributaria. Essi dovranno di volta in volta essere valutati ai fini della compatibilità con un processo così caratterizzato dalla specialità, poiché ne esistono alcuni espressamente esclusi (come il giuramento) ed altri, invece, incompatibili con le regole processuali tributarie.
I suddetti mezzi di prova vanno, tuttavia, tenuti distinti da quelli specifici, dei quali un catalogo, sia pure non esaustivo, può essere ricostruito attraverso la disciplina dell’attività istruttoria e dei metodi di accertamento, anche se si tratta prevalentemente di prove documentali e presunzioni.
In sostanza, in materia tributaria non esiste un catalogo di mezzi di prova in senso generale, né una gerarchia di efficacia delle prove, ma solo in senso specifico con ampie aperture e nessuna formula di chiusura che impedisca l’utilizzo di prove atipiche

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Lorena Papini

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