La Corte Costituzionale, con sentenza n. 48 del 25 marzo 2024, si è espressa sull’annosa questione dell’omicidio colposo di un prossimo congiunto e delle c.d. “pene naturali”.
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 529 cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3, 13 e 27, terzo comma, Cost. “nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del fatto commesso“.
Il rimettente deve giudicare sulle imputazioni per omicidio colposo aggravato da violazione delle norme antinfortunistiche e pertinenti reati contravvenzionali in materia di sicurezza sul lavoro ascritte all’imputato in qualità di titolare della ditta esecutrice dei lavori di riparazione del tetto di un capannone per aver cagionato la morte di suo nipote, il quale era dipendente presso la citata ditta, precipitato dalla copertura dell’edificio a causa del cedimento del piano di lavoro, ove si era sviluppato un incendio, in mancanza dei prescritti dispositivi anticaduta.
Secondo il rimettente, nella specie, “qualora fosse introdotta l’auspicata possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere – onde evitare l’applicazione di una pena che risulterebbe sproporzionata in considerazione del dolore già patito dall’autore del reato – l’imputato potrebbe senz’altro beneficiarne“.
E, a proposito della non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo ritiene che la denunciata lacuna normativa violi i principi costituzionali di necessità, proporzionalità e umanità della pena in quanto la sanzione irrogata in aggiunta a una pena naturale di per sé sufficiente sarebbe percepita dai consociati e dal condannato alla stregue di “un crudele accanimento dello Stato“, inidonea quindi ad assolvere la funzione rieducativa.
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2. Omicidio colposo di un prossimo congiunto e “pene naturali”: l’analisi della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, nell’analizzare la questione sollevata dal Tribunale di Firenze, ritiene che queste siano inammissibili “poiché il rimettente non avrebbe considerato la possibilità di applicare una pena sostitutiva della pena detentiva breve, a norma degli artt. 20-bis cod. pen. e 545-bis cod. proc. pen., introdotti rispettivamente dagli artt. 1, comma 1, lett. a) e 31, comma 1, del d. lgs. n. 150 del 2022, né la possibilità di moderare l’entità della pena mediante l’esercizio della discrezionalità regolata dall’art. 133 cod. pen. e il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche“.
Inoltre, il rimettente evoca la nozione di “pena naturale“, sintagma che rimanda al potere giudiziale – configurato in alcuni ordinamenti europei – di non irrogare la pena, o di irrogarla in misura attenuata, quando l’autore del reato abbia patito un danno significativo in conseguenza del reato stesso.
Ad avviso della Consulta, però, “l’ordinanza di rimessione espone tuttavia un petitum talmente ampio da risultare incompatibile con la tesi della sussistenza di un corrispondente vincolo costituzionale, e questa valutazione trova conferma nelle caratteristiche peculiari della fattispecie oggetto del giudizio principale“.
Vi sarebbero diversi aspetti che inficerebbero la fondatezza della questione:
in primo luogo, riferendosi indistintamente a “procedimenti relativi a reati colposi“, il giudice a quo chiede di introdurre la causa di improcedibilità con riguardo a ogni condotta colposa che abbia causato la morte di un congiunto del reo. L’indicazione della natura colposa del reato è sufficiente, secondo la Corte, “ad escludere l’omicidio preterintenzionale e la morte come conseguenza non voluta di un delitto doloso ma, attesa la sua portata generale, non vale a distinguere in alcun modo all’interno della nozione di colpa, che pure ha carattere ontologicamente multiforme“.
Infatti, ai sensi dell’art. 43, primo comma, cod. pen., il delitto “è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline“.
Successivamente, la criticità si riscontra in riferimento ai “reati” colposi e non ai soli delitti: questo lascia intendere che la prospettata causa di improcedibilità dovrebbe investire anche le contravvenzioni, le quali, per tali fini, andrebbero considerate appunto reati colposi, in base all’art. 3, secondo comma, cod. pen., e ciò svilirebbe la funzione preventiva delle pertinenti norme incriminatrici.
Inoltre, la nozione penalistica di “prossimo congiunto” è fornita dall’art. 307, quarto comma, cod. pen. per cui “agli effetti della legge penale, s’intendono prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti“. La Corte Costituzionale osserva che “non ha riscontri nei termini di un vincolo costituzionale la tesi che intende coprire questo esteso spettro di relazioni personali co una causa di improcedibilità fondata sul dolore patito dal reo per la morte del familiare colposamente determinata“.
3. La decisione della Corte Costituzionale
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte Costituzionale ha fornito un parere contrario rispetto a quello prospettato dal Tribunale di Firenze.
Come osservato dalla Corte, infatti, configurare un evento quale causa di non procedibilità ha effetti ben diversi che farne una causa di non punibilità, in particolare, riguardo all’iscrizione della pronuncia nel casellario giudiziario, all’idoneità della stessa a formare il giudicato sull’illiceità penale della condotta e, di conseguenza, riguardo all’impugnabilità della pronuncia medesima.
Non vi sono, dunque, ragioni costituzionali in base alle quali la pena naturale da omicidio colposo del prossimo congiunto debba integrare una causa di non procedibilità, anziché, in thesi, un’esimente di carattere sostanziale, ovvero ancora una circostanza attenuante soggettiva.
La Corte, dunque, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 529 cod. proc. pen. sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13 e 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale di Firenze.
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