La persona e il suo pieno sviluppo al centro della Costituzione

Approfondimento sulla persona e il suo pieno sviluppo al centro della Carta Fondamentale dello Stato, a garanzia della libertà e dell’uguaglianza sostanziale dei cittadini.

Indice

1. Il valore riconosciuto alla persona dalla Costituzione e l’importanza del comune impegno verso la realizzazione degli obiettivi programmatici di rinnovamento

In un momento storico come quello attuale, in cui spesso vengono di fatto messi in discussione, se non ignorati, valori fondanti del nostro vivere civile, quali il rispetto delle diversità, l’uguaglianza di genere, la famiglia e tanti altri, la cui tutela resta cristallizzata nella nostra Costituzione, è importante riflettere sul valore riconosciuto alla persona e al suo pieno sviluppo, dalla Carta Fondamentale dello Stato.
In proposito, nessuna analisi potrebbe essere più efficace delle parole che Piero Calamandrei pronunciò, nel suo discorso sulla Costituzione, tenuto a Milano a studenti universitari, nel lontano 1955, ma ancora oggi di estrema attualità.
In quella occasione, Calamandrei si espresse in questi termini, ricordando come nella Costituzione, si rinvengono “Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.
Calamandrei fu molto esplicito e critico in  merito all’osservanza della Costituzione, affermando: “Però vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé.…Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse”.
Calamandrei sottolineò come si tratti di “una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini, di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della Società. Quindi polemica contro il presente, in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente”.
Partirei proprio da queste considerazioni, così lucide ed efficaci, per svolgere una riflessione su alcuni dei principi dettati dalla Carta Fondamentale dello Stato, alla luce del tenore letterale di alcuni importanti articoli.
Il vero significato di talune norme appare, infatti, sempre più chiaro se riferito a reali esperienze di vita, anche lavorativa, che evidenziano il carattere davvero innovativo della Costituzione e la necessità che le Istituzioni innanzitutto, ma anche la società civile si impegnino fortemente perché i valori fondanti dettati dai nostri Padri costituenti possano trovare una concretizzazione nell’assetto normativo, sociale e politico.
E’ doverosa, poi, una premessa: ciò che colpisce della Costituzione è proprio la sua struttura. I primi dodici articoli dettano i principi fondamentali, la prima parte, fino all’art.54 tratta dei diritti e doveri dei cittadini. Soltanto la seconda parte (dall’art. 55 all’art. 139) riguarda l’Ordinamento della Repubblica.
Questa impostazione è molto significativa dell’importanza data alla persona, in quanto tale e poi come cittadino, nei suoi rapporti civili, etico-sociali, economici e politici.  E, se vogliamo, anche l’ordine di elencazione delle situazioni relazionali tutelate, è indicativa  dell’importanza riconosciuta a diritti quali la libertà personale, il domicilio, la libertà di circolazione, di religione, di pensiero, di parola, di stampa, per citarne solo alcune.

2. I diritti e doveri della persona nella sua dimensione sociale e il valore della solidarietà

La Costituzione italiana è incentrata sulla persona. L’art.2. stabilisce, infatti : “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
La prima considerazione che la lettura dell’art.2 della Costituzione suggerisce è che al centro dell’attenzione del Legislatore Costituzionale sono collocati i diritti dell’uomo, diritti definiti inviolabili, come tali garantiti, ma ancor prima riconosciuti.
Nessuna parola è casuale nella Costituzione, che come sappiamo dall’esame dei lavori che ne hanno consentito la stesura e l’emanazione, è stata frutto di confronto, dibattito e mediazione tra tutte le forze politiche, che hanno dato il proprio concreto contributo.
L’espressione “riconosce” i diritti, se ci pensiamo, vuol dire che tali diritti esistono ancor prima che l’Ordinamento li individui e ne disciplini la tutela, in qualche modo si potrebbe dire che sono connaturati all’essere umano.
Quindi, il legislatore, in prima battuta Costituzionale, non può che prendere atto della loro esistenza e approntare delle norme che effettivamente possano assicurare il rispetto dell’inviolabilità di tali diritti fondamentali.
La persona quindi viene tutelata innanzitutto nella sua individualità, ma anche “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
 La formulazione di questo principio evidentemente sottintende il concetto secondo cui lo sviluppo della personalità di ognuno non può prescindere dai contesti sociali di riferimento, per un verso: in tanto sono persona in quanto nasco, cresco, vivo e mi confronto con gli altri; ma d’altro canto, le formazioni sociali devono farsi carico di garantire l’importante percorso verso il pieno sviluppo della personalità.
Essenziale e costitutiva della persona è, dunque, la dimensione sociale, principio di ispirazione aristotelica, nel senso che la persona è persona proprio nella società, nelle sue diverse articolazioni, portatrice di diritti “innati”, che “la società non può disconoscere”.
Se si riflette, si comprende bene, come quella che è la formazione sociale più tipica e naturale, ossia la famiglia è quella che getta le basi affinchè ogni individuo acquisisca i primi rudimenti per la sua formazione, a cominciare dal linguaggio, fondamentale strumento di comunicazione. La famiglia, come direbbero gli psicologi, offre quella situazione ambientale, culturale, relazionale che certamente incide in maniera significativa sulla complessiva personalità di ognuno di noi,  positivamente e anche spesso negativamente.
Parlando di formazioni sociali tipiche, pensiamo, oltrechè alla famiglia, alla scuola, alle chiese, ai partiti, ai sindacati, alle organizzazioni di lavoratori e di datori di lavoro, alle imprese.
Tuttavia, poiché gli interessi della persona sono molteplici e diversi, allo stesso modo i fenomeni organizzativi, che si manifestano nella società, possono trovare espressioni multiformi e diversificate, si pensi alle più varie forme associative, a tutela di specifici interessi di gruppi di persone, come possono essere, ad esempio, i Comitati di quartiere, che chiedono alle Istituzioni la soluzione di problemi che riguardano un determinato contesto territoriale.
Non può non ammettersi che le organizzazioni associazionistiche, in generale, siano molto importanti, nell’ottica dello sviluppo della persona nella società, secondo i principi costituzionali, forse al pari, se non di più rispetto alle formazioni c.d. tipiche, che, in quanto tali sono caratterizzate dalla necessitàdella loro esistenza, e quindi potrebbero non possedere quella forza propulsiva che può invece derivare da una precisa scelta di coalizzarsi per il perseguimento di determinati comuni obiettivi.
Riguardo all’art. 2, è molto significativa una frase di un altro grande Padre Costituente, Giorgio La Pira, il quale affermò che questa norma, sostanzialmente in apertura della Carta Fondamentale, “governa l’architettura di tutto l’edificio costituzionale”.      
 E’ vero, l’articolo 2 racchiude il principio ispiratore della intera Costituzione: la persona nella sua dimensione sociale; ma non solo, la persona che si trova in una posizione di primato, non più di sudditanza e/o di soggezione nei confronti dello Stato.
E ciò porta a citare una normativa che costituisce, senza dubbio, uno dei momenti di attuazione di questa nuova visione del rapporto cittadino/Stato: la legge sulla Trasparenza dell’attività amministrativa, soprattutto la legge n.241/1990, che esprime un vero e proprio cambio di rotta di sistema, privilegiando la pubblicità degli atti, pur nel necessario contemperamento con l’altra disciplina, che tutela l’altrettanto importante tutela della privacy.
Nella Costituzione, viene superata la dimensione dell’uomo visto solo come singolo, astratto dallo Stato di cui è parte. Viene, invece, riconosciuta la sua identità, allorché inserito in un tessuto di rapporti sociali, che garantiscono la crescita e la maturazione della sua personalità.
La persona, però, va intesa non in senso astratto, ma nell’evolversi della sua reale esistenza, della sua esperienza di vita, tenendo in debita considerazione i suoi tanti bisogni, che sono non solo materiali ma anche spirituali, come ci insegna la dottrina cristiana.
E sono proprio questi bisogni, che l’uomo cerca di soddisfare nell’ambito dei gruppi in cui viene a trovarsi, naturalmente o volontariamente, nei gruppi in cui nasce, cresce, entra e si sviluppa, in rapporto con altre persone, in una relazione che non può mai prescindere dalla solidarietà.
La solidarietà va intesa in senso molto ampio: in senso politico (elettorato attivo e passivo), sia economico (contributo alle spese pubbliche attraverso il prelievo fiscale), sia sociale (attività di varia natura al servizio degli altri).
Il concetto di solidarietà – ribadito in modo esplicito ed implicito in molti articoli della Costituzione – si concretizza nell’adempimento dei doveri che l’art. 2 definisce inderogabili, in quanto non ammettono eccezioni da parte di alcuno e sono strettamente connessi al godimento dei diritti.
Non si può godere di diritti se non anche in presenza di doveri da adempiere, ciò comporta che occorre avere un ruolo attivo e consapevole nella vita dello Stato, mettendo a disposizione di questo, e dunque della collettività, una serie di comportamenti e azioni.Alla luce dell’art.2, si può affermare che l’organizzazione organizzazione politica, economica e sociale del Paese è finalizzata allo sviluppo della persona e quindi anche il rapporto tra diritti e doveri non potrà che essere letto secondo la stessa logica funzionale.
La persona costituisce soggetto, fondamento e fine dell’ordinamento repubblicano, con i diritti inviolabili ed i doveri, inderogabili, ad essa strettamente connessi, nella concretezza dell’evoluzione storica, che l’ordinamento statuale non può non riconoscere.
Si può dunque affermare che, nell’art. 2, emergono due importanti elementi: il pieno sviluppo della persona rappresenta il fine; mentre l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese è il mezzo.
Questo rapporto tra fine e mezzo stabilisce anche il punto di equilibrio tra diritti inviolabili e doveri inderogabili.
I diritti inviolabili possono infatti essere assunti come esplicitazioni pratiche, configurazioni a livello normativo della complessità della persona umana.
I doveri inderogabili possono essere assunti come esplicitazioni pratiche, anch’essi configurazioni a livello normativo della complessità organizzativa della società.
Sulla formulazione del testo della Costituzione ha fortemente inciso l’esperienza storica vissuta, in Italia e negli altri Paesi, dalla persona in periodi in cui i diritti erano proclamati solennemente, ma ciononostante erano stati violati.
Il Legislatore Costituente non poteva non tener conto della immane tragedia della seconda guerra mondiale, che ha comportatol’annientamento materiale e spirituale di tante vite umane.
Giuseppe Dossetti, giurista, politico, teologo e Deputato dell’Assemblea Costituente, ha individuato proprio nella tragedia della seconda guerra mondiale “la vera matrice della nostra Costituzione“.
Gli eventi connessi alla guerra hanno portato il nostro Legislatore costituente non solo a porre la persona come valore originario e finale dell’ordinamento nuovo, con i diritti e doveri ad essa correlati, ma anche a prevedere una serie di norme e di istituti, diretti a costruire un ordine sociale che consentisse alla persona, ad ogni persona, di essere veramente tale, libera, cioè, dai bisogni, dai condizionamenti, dalla miseria che le impediscono di vivere veramente la sua vita.

3. Oltre l’uguaglianza formale, l’uguaglianza sostanziale, per la pari dignità sociale

Tra le norme dirette a costruire un ordine sociale che tuteli la persona, assume valore strategico l’art. 3.
Dopo aver stabilito la “pari dignità sociale” e l’eguaglianza davanti alla legge dei cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di condizioni personali e sociali, esso recita: “E compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Per la prima volta nella storia del diritto, una norma giuridica, posta per di più nella Costituzione, supera la visione astratta dell’uguaglianza dei cittadini e pone in netta evidenza la scissione tra la formulazione di principi e la realtà, ma trasforma quella scissione in programma di azione per tutte le forze politiche e le istituzioni dello Stato.
La Costituzione obbliga a fissare lo sguardo su un orizzonte ampio, a valutare l’intero contesto in cui si collocano le questioni da affrontare. La norma costituzionale non dice infatti: è compito della legge, ma: è compito della Repubblica, cioè dell’insieme delle istituzioni democratiche, dal Parlamento al Governo ai Giudici.
Questa impostazione ha consentito alla Corte costituzionale di esprimersi sulle discipline giuridiche esistenti, applicando il principio di eguaglianza non solo come limite a leggi discriminatrici, ma anche come impulso all’adeguamento di molte leggi e di atti esecutivi conseguenti.
Nell’esordio dell’articolo 3, primo comma, della Costituzione con le parole “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale” anteposto al divieto di discriminazione, risiede il collegamento con l’esplicita prescrizione, di cui al successivo secondo comma, del dovere, per la verità non solo istituzionale ma anche sociale, di costruire una società più giusta.
 Conseguentemente, la priorità della dignità sociale determina l’obbligo della Repubblica di renderla effettiva, autenticamente umana, giacché l’eguaglianza formale perde di significato se non è valutata unitamente alla concretezza della vita delle persone, alla loro intatta dignità, ai legami sociali che le accompagnano.
Parlare di pari dignità sociale di tutte le persone significa riconoscere valore a tutti e a ciascuno, in quanto esseri umani, a prescindere dunque dalle caratteristiche particolari e dalle scelte dei singoli.
 Si tratta di una norma volta ad evitare che in futuro si ripresentino situazioni simili a quelle vissute in passato; per questo motivo la Costituzione vieta le leggi che fanno distinzioni arbitrarie tra le persone. In particolare non si può prevedere una diversità di trattamento sulla base del sesso, della lingua, dell’etnia, della religione, delle opinioni politiche e delle condizioni personali e sociali.
I principi fondamentali della Costituzione repubblicana, secondo l’ottica che ne ispira il contenuto, devono diventare patrimonio comune ed essere tradotti in prassi operative a tutti i livelli, politico, economico, sociale, giudiziario, e amministrativo.
Sono molto efficaci, in proposito, le parole di Giuseppe Capograssi, che fu Membro della Corte Costituzionale, secondo cui occorre impegnarsi per un mondo umano cioè giusto, di una giustizia realizzata con mezzi giusti, e libero, di una libertà realizzata per mezzo della libertà. Mondo umano della storia: mondo fatto dagli uomini, per gli uomini, ma umanamente, cioè rispettando l’uomo e le leggi profonde e le profonde esigenze spirituali dell’umanità“.

4. La parità di genere, come condizione per un effettivo progresso sociale e la valorizzazione della donna nel mondo del lavoro

Secondo l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, l’obbiettivo 5, è determinato dal raggiungimento dell’uguaglianza di genere, che non è solo un diritto umano fondamentale per tutti i popoli, ma la condizione necessaria per un effettivo progresso sociale.
Garantire alle donne parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso giustamente remunerato, e al tempo stesso assicurarne la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, contribuirà a promuovere economie sostenibili, di cui l’umanità intera potrà beneficiare.
Se esistono delle differenze fra gli esseri umani, queste vanno viste come delle opportunità di crescita sociale e culturale. L’evoluzione sociale conduce a vedere le differenze in chiave positiva e non solo come dislivelli da colmare.
Per valorizzare la differenza, occorre anche un salto culturale che consenta di riconoscerla, rispettarla e accoglierla; la cultura del rispetto delle diversità va promossa e coltivata in ogni aspetto della vita familiare, sociale e lavorativa.
In particolare, per quanto riguardo l’uguaglianza di genere, oltre all’art.3, occorre fare riferimento all’art. 37, che esordisce stabilendo che «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore». Quindi la donna ha gli stessi diritti dell’uomo, non solo nella vita sociale ma anche in quella lavorativa.
Questa norma è molto importante, poiché incide in maniera determinante sul superamento di retaggi culturali fortemente radicati nella società civile e non ancora, oggi, del tutto scardinati.
Tanto più all’epoca, i Padri Costituenti ritennero necessario precisare ulteriormente il principio di uguaglianza anche nell’ambito lavorativo, per una maggiore e più efficace tutela della condizione femminile.
La disposizione pone certamente un limite all’autonomia privata e, al tempo stesso, costituisce una specificazione del principio di eguaglianza tra i sessi, affermato in termini più generali dal ciato art. 3.
Tale limite è stato rafforzato dalle riforme costituzionali più recenti, introdotte con le leggi costituzionali n. 3/2001 e n. 1/2003. Inoltre, con il prevalere del concetto di uguaglianza sostanziale si tende a superare in concreto ogni subalternità della donna sul lavoro, per contrastare efficacemente qualsiasi forma di marginalità sociale e politica.
All’affermazione della parità retributiva si accompagna e, secondo taluni, sembrerebbe contrapporsi il richiamo alla specificità della condizione femminile, in relazione all’adempimento “della essenziale funzione familiare” della donna e all’esigenza di assicurare “una speciale ed adeguata protezione alla madre e al bambino”.
La prima parte della norma denota un’impronta decisamente emancipatoria, la seconda parte, oltre a riflettere l’intenzione dei cattolici di inserire nella Costituzione norme a tutela dell’unità familiare, tenderebbe, secondo alcuni, a sostenere la prevalenza  dell’impegno domestico rispetto al lavoro.
La sostanziale intangibilità della divisione dei ruoli tra i sessi fu oggetto di discussione nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente.
Molto interessante l’intervento dell’On. Merlin, nella seduta dell’Assemblea del 10 maggio 1947, nel corso della quale affermò che “il riconoscimento della funzione sociale della maternità non interessa solo la donna, o l’uomo, o la famiglia; interessa tutta la società. Proteggere la madre significa proteggere la società alla sua radice”.
La senatrice sosteneva che l’impiego della parola “essenziale” avrebbe circoscritto l’attività femminile al solo contesto familiare, confinando la donna dall’ambito economico, sociale e politico.
Al contrario, l’on. Moro riteneva che “questo riferimento alla “essenzialità” della missione familiare della donna sia un avviamento necessario ed un chiarimento per il futuro legislatore, perché esso, nel disciplinare l’attività della donna nell’ambito della vita sociale del lavoro, tenga presenti i compiti che ne caratterizzano in modo peculiare la vita”.
In realtà, l’insieme dei princìpi affermati nel primo comma dell’art. 37, prima e seconda parte, ha, nel corso degli anni, non solo trovato applicazione, ma ulteriore espansione, adattandosi a contesti socio-economici in continua evoluzione, attraverso la legislazione attuativa; pensiamo all’introduzione del principio di pari opportunità con legge n.125/1991.
Benché le donne abbiano conquistato, negli anni, posizioni significative, assumendo incarichi di notevole responsabilità, nel generale contesto lavorativo, permangono ancora condizioni di incertezza.
In effetti, permane da attuare in pieno il secondo comma dell’art. 3 Cost., che impone la rimozione di quegli  ostacoli che impediscono nei fatti il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ma i principi di libertà e uguaglianza affermati dalla Costituzione restano una pietra miliare, una guida e un indirizzo verso una società sempre più giusta, capace così di progredire.

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Dott.ssa Letizia Miglio

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