Approfondimento sul fenomeno del whistleblowing.
1. Premessa
Whistleblower è colui che soffia nel fischietto come un arbitro che segnala una scorrettezza e blocca il gioco. Deriva dall’espressione metaforica to blow the whistle che inizialmente veniva usata col significato di ‘interrompere qualcosa bruscamente’, poi nell’uso informale diventato ‘vuotare il sacco, rivelare informazioni riservate e incriminanti su qualcuno’. L’attivista e politico Ralph Nader, nel 1972, in una conferenza sulla Responsabilità professionale, definiva il whistleblowing: “l’azione di un uomo o una donna che, credendo che l’interesse pubblico sia più importante dell’interesse dell’organizzazione di cui è al servizio, denuncia/segnala che l’organizzazione è coinvolta in un’attività irregolare, illegale, fraudolenta o dannosa” (in Vandekerckhove 2006, traduzione de l’Accademia della Crusca). Il segnalante può essere chiunque abbia un rapporto con un ente pubblico o una azienda privata, che con rivelazione spontanea informa su condotte discutibili, riprovevoli, scorrette o illecite, mettendo l’Ente nelle condizioni di intervenire in autotutela. Tutto questo implica la necessità di mettere in sicurezza chi denuncia, creando adeguati canali di segnalazione e proteggendo dalle ritorsioni. Le segnalazioni whistleblowers interessano principalmente gli ambiti di raggiri e frodi, discriminazione e molestie sul posto di lavoro, violazioni della legge e reati penali, violazioni dei diritti umani, corruttibilità attiva e passiva, mala amministrazione o mala gestione, insider trading, uso improprio dei dati. Il recente DLgs 24/2023, intervenuto in materia, amplia l’oggetto delle segnalazioni e la platea dei soggetti denuncianti, tuttavia restano alcune criticità.
2. Whistleblowing: normativa
Negli Stati Uniti, un precedente concettuale e legislativo risale al False Claim Act del 1863 o legge Lincoln, che prevedeva una ricompensa per chi denunciava frodi ai danni del governo federale. La legge più estesa e completa in materia si rintraccia nel Regno Unito, con il Public Interest Disclosure Act del 1998. Lanceur d’alerte, denonciateur e informateur, alertador o denunciante, informant, sono molte le vicende che hanno avuto risonanza internazionale, come il caso Assange per aver rivelato tramite WikiLeaks documenti statunitensi secretati riguardanti crimini di guerra, e il caso Snowden, sull’attività di monitoraggio dati della National Security Agency. Nel lessico italiano non esiste una parola semanticamente equivalente al termine angloamericano, con un tratto connotativo positivo di impegno civile ed etico. L’assenza di un traducente adeguato riflette la mancanza, all’interno del contesto socio-culturale italiano, di un riconoscimento stabile dell’istituto a cui la parola fa riferimento, almeno fino a tempi recenti. Il whistleblowing, o segnalazione di un presunto illecito, è un sistema di prevenzione introdotto in Italia dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”. Compare nel Testo Unico sul Pubblico Impiego (D.lgs. 165/2001) la fgura del “segnalatore” all’art. 54-bis rubricato proprio “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”. Con Legge 30 novembre 2017 n.179, recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” è stata rafforzata la tutela del segnalante e l’operatività estesa anche al settore privato. La disciplina di cui al D.lgs. 179/2017 in combinato disposto con quella dell’art. 54-bis della Legge Anticorruzione risultava poco organica. Per questo, anche alla luce della necessità di tradurre gli obblighi della Direttiva (UE) 2019/1937, il Legislatore è intervenuto in materia. L’avvio dei lavori, però, non è stato immediato, il recepimento della Direttiva europea è arrivato in ritardo e dopo la procedura di infrazione comminata allo Stato Italiano. Solo recentemente è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. 24 del 2023 recante “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”. Comunemente nota come Direttiva Whistleblowing, riconduce ad un unico testo la disciplina relativa alla tutela dei segnalanti.
La prima modifica sostanziale, rispetto all’assetto normativo precedente, riguarda l’ampliamento della sfera di operatività: l’oggetto della segnalazione può riguardare non solo violazioni effettive o potenziali della normativa europea in determinati settori, ma anche violazioni della normativa nazionale e regolamentare. Nella definizione di violazioni vanno ricompresi comportamenti, atti e omissioni o informazioni per i quali il segnalante abbia fondati sospetti che possano concretizzare violazioni, supportati da elementi concreti. La platea dei soggetti tutelati, secondo i commi 3 e 4 dell’art. 3 del D.Lgs. 24/23 è la più ampia possibile: tutti i dipendenti pubblici e i lavoratori subordinati, i lavoratori autonomi e collaboratori che svolgono la propria attività presso i soggetti pubblici e privati oppure forniscono beni o servizi; liberi professionisti e consulenti, ma anche volontari e tirocinanti anche non retribuiti. Infine la tutela si estende agli azionisti e alle persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, anche laddove tali ruoli siano esercitati in via di fatto. La tutela deve essere assicurata anche quando il rapporto di lavoro non sia ancora iniziato, durante il periodo di prova o successivamente allo scioglimento del rapporto purché le informazioni siano state acquisite nel corso del rapporto stesso o durante il processo di selezione. Le misure di protezione si estendono anche ai cosiddetti “facilitatori”, coloro che assistono il segnalante nel processo di segnalazione, alle persone legate ad essi da uno stabile legame affettivo o di parentela e ai colleghi di lavoro che operano all’interno del medesimo contesto lavorativo del segnalante, ma anche agli enti di proprietà del segnalante o in cui il segnalante lavora. La protezione della riservatezza è estesa all’identità delle persone coinvolte e delle persone menzionate nella segnalazione fino alla conclusione dei procedimenti, nel rispetto delle medesime garanzie previste in favore della persona segnalante. La tutela è prevista anche in caso di segnalazioni o divulgazioni rivelatisi poi infondate, qualora il segnalante abbia avuto fondati motivi di ritenere che le violazioni fossero vere. La Direttiva prevede inoltre che tutti gli enti pubblici debbano dotarsi di canali di segnalazione interni, garantendo la riservatezza del segnalante, il divieto di atti ritorsivi e la previsione di una giusta causa di rivelazione di segreti che può esonerare il lavoratore da responsabilità civile e penale. La tutela cessa in caso di segnalazioni infondate effettuate con dolo o colpa grave.
Le segnalazioni possono essere effettuate attraverso tre diversi canali: interni, esterni (ANAC) e divulgazione pubblica (tramite la stampa, mezzi elettronici o mezzi di diffusione in grado di raggiungere un numero elevato di persone); denuncia all’Autorità giudiziaria o contabile. Può beneficiare delle tutele anche chi effettua la segnalazione mediante la divulgazione pubblica, a patto che (art.15) sia stato preliminarmente utilizzato il canale interno o esterno, ma non vi sia stata una risposta appropriata; o che non siano stati utilizzati i canali interni o esterni per rischio di ritorsione o per inefficacia di quei sistemi; vi sia fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse; possano essere occultate o distrutte prove oppure in cui vi sia fondato timore che chi ha ricevuto la segnalazione possa essere colluso con l’autore della violazione o coinvolto nella violazione stessa.
La normativa definisce come ritorsione qualsiasi comportamento, atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, posto in essere in ragione della segnalazione, della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile, o della divulgazione pubblica e che provoca o può provocare, alla persona segnalante o alla persona che ha sporto la denuncia, in via diretta o indiretta, un danno ingiusto. Esempi di comportamenti ritorsivi si rintracciano nel licenziamento, sospensione o misure equivalenti; retrocessione di grado o la mancata promozione; il mutamento di funzioni, il cambiamento di orario e/o del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio; la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa; le note di merito negative o le referenze negative; l’adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria; la coercizione, l’intimidazione, le molestie o l’ostracismo; la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole; i danni, anche alla reputazione della persona; la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.
La prima ordinanza in favore di un whistleblower in Italia si registra ad agosto 2023, quando la sezione lavoro del Tribunale di Milano ha ordinato il reintegro di un impiegato di ATM Milano, whistleblower dell’azienda per un caso di biglietti clonati avvenuto nel 2017. Il lavoratore era stato sospeso e poi destituito dal servizio per aver effettuato delle segnalazioni su alcuni dipendenti infedeli e su parte dei dirigenti aziendali per inerzia e complicità. Il dipendente ha dovuto affrontare quattro procedimenti disciplinari, due sospensioni, tre licenziamenti e due denunce penali. Il giudice, si legge nell’ordinanza d’urgenza emessa il 20/08/2023, ha accolto la richiesta del lavoratore, ritenendo che i provvedimenti disciplinari fossero illegittimi e infondati, facendo decadere anche il terzo licenziamento. Inoltre, ha ordinato ad Atm di sospendere le delibere di destituzione e di sospensione dal servizio e dallo stipendio, e di reintegrare immediatamente il dipendente nel suo ruolo, con il pagamento delle retribuzioni maturate.
3. Criticità
La normativa whistleblowers introdotta in Italia con dlgs 24/2023 presenta alcuni nodi irrisolti. Il Legislatore, pur elencando puntualmente le tipologie di violazioni rilevanti ai sensi del decreto, subordina l’operatività della regolamentazione alla seguente triplice condizione: che le predette infrazioni ledano l’interesse pubblico ovvero l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato; che siano conosciute in un contesto lavorativo; che non attengano a contestazioni meramente personali, ovvero a specifici settori sensibili o già disciplinati. Tuttavia, la limitazione rappresentata dalla lesione dell’interesse pubblico o dell’integrità dell’ente, presenta potenziali discordanze con la legislazione europea che a differenza di quella nazionale non ha alcuna restrizione, è più ampia e senza margini di opinabilità.
Restano punti fortemente critici i canali di segnalazione, le misure di protezione e le garanzie generali per informatori e terzi, nonché il relativo apparato sanzionatorio. Nel decreto si fissano le condizioni di fruizione di ciascun canale, stabilendo una progressione per l’accesso alle linee di comunicazione. Le previsioni contenute negli artt. 6 (condizioni per la segnalazione esterna) e 15 (divulgazioni pubbliche), infatti, depongono nel senso che il segnalante deve privilegiare i canali interni, potendo adire quelli esterni all’organizzazione solo successivamente, al ricorrere di determinate condizioni tra cui, ad esempio, l’inerzia dei responsabili interni. Sembra intendersi dunque un “percorso obbligato” del sistema di segnalazione con una scansione sequenziale che va dalla segnalazione interna e, passando per quella esterna, arriva infine alla residuale divulgazione pubblica, nonostante l’espresso invito della disciplina comunitaria a consentire al segnalante la scelta del canale più adeguato in funzione delle circostanze specifiche del caso.
L’art. 54 bis, d.lgs. 165 del 2001 (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti), abrogato dal d.lgs. n. 24/2023, prescriveva che «il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione ». Secondo la dottrina, il segreto d’ufficio non può essere fatto valere nel caso di segnalazioni di whistleblowers. La disposizione esclude poi che il whistleblower possa essere accusato di violazione del dovere di fedeltà e di lealtà (art. 2105 c.c.). La giusta causa della rivelazione opera come “scriminante” nel presupposto che vi sia un interesse preminente, l’integrità delle amministrazioni, che lo consente. La norma effettua un bilanciamento tra l’esigenza di garantire la segretezza, da una parte, e la libertà del whistleblower di riferire circa i fatti illeciti di cui sia venuto a conoscenza, nonché la prevenzione e repressione delle malversazioni. Con dlgs 24/2023 viene abrogato l’art. 3 della legge 179/2017, sostituito dall’art. 20 del d.lgs 24/2023 “Limitazioni della responsabilità”, considera non punibile e altresì esente da responsabilità civile e amministrativa, conserva la scriminante della giusta causa. Per espressa previsione della L. 179/2017 art. 3, la giusta causa è stata considerata presente anche se oggetto di comunicazione fossero notizie, di per sé, oggetto di “segreto professionale” tutelato dall’art. 622 c.p. Si precisa, però, che costituisce violazione del relativo obbligo di segreto la rivelazione con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito e, in particolare, la rivelazione al di fuori del canale di comunicazione specificamente predisposto a tal fine. In assenza di tali presupposti, la rivelazione in violazione degli artt. 326, 622, 623 c.p. e dell’art. 2105 c.c. è fonte di responsabilità civile e/o penale. La segnalazione può essere avanzata con ogni mezzo purché le modalità di trasmissione e diffusione della segnalazione siano rispettose dei principi di proporzionalità e adeguatezza» (Tar Lazio, n. 235/2023). La giurisprudenza ha interpretato, infatti, la divulgazione pubblica come l’estrema ratio, possibile solo una volta esperiti infruttuosamente gli strumenti previsti per la segnalazione tipica. Nella controversia Funzionario vs Bankitalia, la Corte non ha ravvisato i motivi che avrebbero potuto giustificare la segnalazione atipica pubblica, ritenendo che l’iniziativa del funzionario, anche se mossa dall’intenzione di perseguire l’integrità dell’operato dell’amministrazione, sia stata sproporzionata e inadeguata rispetto alle finalità di cui all’art. 54 bis, d.lgs. 165 del 2001, e quindi ha considerato inapplicabili le tutele previste dalla disciplina in materia di whistleblowing.
La normativa per whistleblowers dedica poco spazio al pressing psicologico, che è tra i più difficili da dimostrare nel campo delle ritorsioni. Tuttavia, la recente giurisprudenza evidenzia la responsabilità del datore di lavoro ex art 2087 cc anche per aver colposamente omesso di impedire la sussistenza di un ambiente di lavoro stressogeno e nocivo per la salute dei dipendenti. La responsabilità ex art.2087 cc è infatti ravvisabile anche nella condotta del datore che non abbia prevenuto nè rimosso un clima lavorativo teso e caratterizzato da reciproche incomprensioni (Cass 16/02/2024 n.4279 par.4) e un contesto di conflitto all’interno (cass 12/02/2024 n.3791 par3.2.3). La responsabilità ex art.2087 va oltre al mobbing, comprendendo anche lo stress da conflittualità lavorativa. Il datore è responsabile per l’ambiente di lavoro scadente e patogeno, per il complessivo deterioramento delle relazioni verticali; per la sistematica abitudine di rivolgersi in modo irriguardoso con i collaboratori; per l’impiego di toni alterati e irrispettosi, per adozione di forme di autocompiaciuto sarcasmo derisorio (Tribunale Vibo Valentia, sezione lavoro 26/10/2023 n.736). Si ravvisa responsabilità del datore che colposamente consenta il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danni alla salute del lavoratore, anche laddove si sostanzi in comportamenti episodici ma comunque fonte di disagi o stress, inclusi commenti sprezzanti e toni derisori, colloqui stressogeni con amministratori e direzione. E’ responsabile ex art. 2087 c.c. del risarcimento di tutti i danni causati (Corte d’Appello di Milano, sezione lavoro, 27 dicembre 2023, n. 969).
Si evidenzia l’assenza di un concreto circuito di tutela e supporto per il segnalante. Il denunciante necessiterà immediato supporto legale e psicologico, al fine di non essere lasciato in balia degli eventi ritorsivi che potrebbero sfociare in situazioni drammatiche. La task force di supporto deve intervenire anche nel caso in cui non si ritenga necessario dare seguito alla segnalazione, al fine di arginare l’escalation di incomprensioni e ritorsioni. In alcuni casi, il whistleblower si avvicina all’istituto del testimone di giustizia. A questo proposito, può essere opportuno introdurre anche questa figura nella tutela dei denuncianti, collaboratori e testimoni di giustizia.
Un ulteriore punto niente affatto irrilevante riguarda la mancata previsione e quindi disciplina di conflitto di interessi, come nel caso in cui le segnalazioni riguardino i vertici dell’azienda o degli stessi soggetti preposti alla gestione delle segnalazioni. ANAC [Linee Guida whistleblowing – Delibera n. 311 del 12 luglio 2023, pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.172 del 25 luglio 2023] rileva che in caso di conflitto di interessi la segnalazione non possa essere adeguatamente gestita all’interno dell’azienda, considerando opportuno indirizzarla direttamente al canale esterno. Tuttavia, non è chiaro chi debba indirizzare la segnalazione e come controllare che ciò avvenga nei modi corretti; come tutelare il segnalante che si sia rivolto al canale interno inficiato. La normativa appare carente anche nel disciplinare la gestione dei canali di comunicazione delle segnalazioni, sistemi di criptografia per le segnalazioni e anche per le denunce orali; possibilità di audizione del segnalato; previsione di possibili indagini; poteri e compiti degli organi di vigilianza.
L’articolo 24, comma 3, D.Lgs. 24/2023 sostituisce l’articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante norme sui licenziamenti individuali, aggiungendo alle fattispecie di nullità anche quelle connesse alla segnalazione di illeciti di cui si sia venuti a conoscenza in un contesto lavorativo. L’articolo 4 novellato riconosce nullo il licenziamento discriminatorio determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa; dall’appartenenza a un sindacato; dalla partecipazione ad attività sindacali; conseguente all’esercizio di un diritto ovvero alla segnalazione, alla denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o alla divulgazione pubblica effettuate ai sensi del D.Lgs 24/2023. Si considerano tra le fattispecie che costituiscono ritorsioni il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti (art.17). La nuova normativa va incontro ai whistleblowers con un’inversione dell’onere probatorio: viene introdotta la presunzione che gli atti ritorsivi siano stati posti in essere a causa della segnalazione, della divulgazione pubblica o della denuncia all’autorità, con conseguente onere a carico di colui che li ha adottati di provare il contrario. Gli atti ritorsivi sono nulli, anche il licenziamento discriminatorio o ritorsivo del soggetto segnalante. La Corte di Cassazione [Cass., ord. n. 9148 del 31 marzo 2023] precisa, però, che la normativa whistleblowers salvaguardia il lavoratore dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce una esimente per gli autonomi illeciti che egli abbia commesso. Le forme di tutela non garantiscono il whistleblower, nel caso in cui la sua autonoma condotta sia stata irregolare sotto il profilo disciplinare. Il datore di lavoro potrà, infatti, sanzionare il whistleblower nel caso in cui ritenga che le sue azioni, anche quelle con le quali è stata posta in essere la denuncia, siano state compiute in violazione di norme disciplinari. Nei casi più gravi il datore potrà giungere fino alla comminazione della sanzione del licenziamento. La denuncia del lavoratore non può essere considerata uno scudo totale in riferimento alle conseguenze della sua autonoma condotta [Cass., ord. n. 9148 del 31 marzo 2023]. Il datore di lavoro può quindi agire contro il denunciante con provvedimenti disciplinari anche per le azioni e i comportamenti che riguardano la segnalazione.
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