Sindacato del magistrato di sorveglianza sulla sospensione del titolo esecutivo del PM

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La Cassazione, con sentenza n. 16327 del 18 aprile 2024, penale ha affermato che è legittimo l’esercizio, da parte del magistrato di sorveglianza, con posteriore ratifica del Tribunale, del potere di sindacato in ordine alla sospensione del titolo esecutivo deliberata, ex art. 656, comma 10, cod. proc. pen., dal pubblico ministero, con eventuale revoca degli arresti domiciliari esecutivi.

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Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – Sent. n. 16327 del 18/04/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale di sorveglianza di Perugia ha ratificato il provvedimento di sospensione cautelativa degli arresti domiciliari ex art. 656, comma 10, cod. proc. pen. nei confronti dell’imputato, condannato per il delitto di rapina aggravata con sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma, divenuta irrevocabile, alla pena di anni nove di reclusione e 3.700 euro di multa.
Al momento del passaggio in giudicato della pronuncia, l’imputato era in regime di arresti domiciliari presso una comunità terapeutica.
Successivamente, il Pubblico ministero competente ha emesso ordine di esecuzione con contestuale sospensione per la prosecuzione della detenzione in regime di arresti domiciliari ex art. 656, comma 10, cod. proc. pen., indicando la pena residua in anni 6 e giorni 26, con trasmissione degli atti al Magistrato di sorveglianza per la eventuale concessione della liberazione anticipata.
Il Magistrato di sorveglianza ha rilevato che il titolo in esecuzione ricomprende un reato di cui all’art. 4-bis ord. pen., con entità della pena residua incompatibile con la prosecuzione degli arresti domiciliari esecutivi, con conseguente revoca degli arresti domiciliari.
Il Tribunale, successivamente, ha evidenziato che la decisione emessa dal Magistrato di sorveglianza rientra nelle attribuzioni di legge a lui devolute, stante l’entità del residuo pena che non consente la prosecuzione degli arresti domiciliari esecutivi.
Avverso l’ordinanza è stato proposto ricorso per Cassazione deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.
In particolare, viene evidenziato che l’atto compiuto dal Pubblico ministero era una ordinanza di sospensione della esecuzione ove si prendeva atto della sottoposizione del ricorrente agli arresti domiciliari, con richiesta di deliberazione solo sul tema della liberazione anticipata.
A fronte di ciò, il Magistrato prima e il Tribunale poi, avrebbero revocato la misura in atto con applicazione analogica – non consentita – dell’art. 51-ter ord. pen.: non vi è stata alcuna violazione degli arresti domiciliari, il che rende illegittima la revoca della misura in favore.
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2. Sindacato del magistrato di sorveglianza sulla sospensione del titolo esecutivo del PM: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, si sofferma preliminarmente su un consolidato principio di diritto secondo il quale “il divieto di sospensione dell’esecuzione delle pene detentive brevi, previsto nei confronti di soggetti che siano stati condannati per taluno dei delitti di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, è applicabile anche nel caso in cui il condannato per delitto ostativo si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna“.
Osserva la Corte che l’entità della pena residua rendeva, dunque, illegittima la sospensione dell’ordine di esecuzione, in ragione della impossibilità di accedere al beneficio dell’affidamento in prova di cui all’art. 94 del d.P.R. 309/1990, nonché alla particolare ipotesi di sospensione di cui all’art. 90 del medesimo d.P.R. o ad altre misure alternative alla detenzione.
La Suprema Corte, poi, si concentra sul riparto di competenze funzionali e sulla natura giuridica degli “arresti domiciliari esecutivi” di cui all’art. 656, comma 10, cod. proc. pen.
Viene rilevato che, nel caso di specie, all’imputato non risulta imputata alcuna condotta di violazione dei limiti imposti dal regime detentivo domiciliare e che l’intervento del Magistrato di sorveglianza, ratificato dal Tribunale, riguarda l’an della sospensione in ordine di esecuzione con prosecuzione degli arresti domiciliari e si pone in termini di “rettifica” della decisione emessa dall’organo primario della esecuzione, il Pubblico ministero. Da qui, la necessità di riconoscere o meno in capo al Magistrato di Sorveglianza il potere di diretto intervento sulla condizione del soggetto, attraverso la declaratoria di insussistenza delle condizioni di legge per l’applicazione del particolare regime di cui all’art. 656, comma 10, cod. proc. pen. e conseguente ingresso della persona in un Istituto penitenziario.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ritiene che il potere di cui sopra sia sussistente, in ragione della complessiva ripartizione di poteri tra i vari soggetti attivi nel procedimento esecutivo.
Secondo un costante orientamento interpretativo, la decisione emessa dal Pubblico ministero ai sensi dell’art. 656 cod. proc. pen., in caso di mancata sospensione del titolo esecutivo, pur non essendo impugnabile, è sindacabile da parte del giudice della esecuzione.
Gli arresti domiciliari esecutivi rappresentano “una forma particolare e transitoria di esecuzione della pena, finalizzata ad evitare l’ingresso in carcere del soggetto cui risulta applicabile – alle condizioni di legge – una misura alternativa alla detenzione, il che attrae la competenza a valutarne la legalità, anche in assenza di condotte violative, all’organo giurisdizionale che sulla adozione di misura alternativa risulta essere funzionalmente competente“.
In conclusione, la Corte afferma il principio di diritto secondo cui “è legittimo l’esercizio del potere di sindacato, da parte del Magistrato di sorveglianza e con posteriore ratifica da parte del Tribunale, circa la legittimità della sospensione del titolo esecutivo deliberata dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 656, comma 10, cod. proc. pen.“, con rigetto del ricorso.

Riccardo Polito

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