La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16191 del 10 aprile 2024, ha chiarito che il responsabile tecnico risponde del reato di traffico illecito di rifiuti in quanto assume una posizione di garanzia all’interno dell’azienda.
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Indice
1. I fatti
La decisione della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dall’indagato avverso l’ordinanza del Tribunale delle libertà di Catanzaro, il quale ha rigettato l’appello relativo alla richiesta di revoca della misura interdittiva del divieto di esercizio dell’attività di impresa nel settore ambientale per un periodo di mesi 12 in riferimento all’art. 452-quaterdecies cod. pen. (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti).
Il ricorrente lamentava violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 273, 274 e 192 cod. proc. pen., nonché omessa valutazione delle argomentazioni difensive, sostenendo che, nell’ambito dell’autonoma valutazione, cui è tenuto il Tribunale del riesame, esso deve dare conto delle ragioni per cui ritiene sussistente il requisito della gravità indiziaria del reato contestato.
In particolare, il ricorrente ha fatto leva sulla mancata replica alla deduzione difensiva secondo cui l’indagato, essendo mero responsabile tecnico dell’azienda, non aveva il dovere di impedire la mala gestione dei rifiuti, limitandosi il Tribunale ad una motivazione apparente, non confrontandosi con le deduzioni e le produzioni difensive.
Inoltre, è stato fatto riferimento alla delibera n. 1/2019 la quale traccia genericamente i compiti del responsabile tecnico.
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Formulario Annotato del Processo Penale
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2. Responsabile tecnico dell’azienda può rispondere del reato di traffico illecito di rifiuti? L’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, osserva preliminarmente come, per costante giurisprudenza, “l’ordinanza in materia cautelare adottata dal tribunale del riesame non richiede, a pena di nullità, l’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito è previsto dall’art. 292, comma 2, cod. proc. pen. con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte, essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante“.
La Corte, inoltre, sottolinea che il riferimento alla determinazione n. 1/2019, che ha natura negoziale, assume una valenza meramente integrativa e non derogatoria rispetto alla disciplina normativa di rango secondario vigente in materia.
Il Collegio evidenzia che la figura del responsabile tecnico dell’impresa è disciplinata dall’art. 12 del d.m. 3 giugno 2014, n. 120 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale definisce i compiti, le responsabilità ed i requisiti professionali del responsabile tecnico.
In particolare, il comma 1 prevede che “compito del responsabile tecnico è porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa nel rispetto della normativa vigente e di vigilare sulla corretta applicazione della stessa“. Tale figura, dunque, è investita di una vera e propria posizione di garanzia relativa al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti e, al pari del legale rappresentante, risponderà dei reati commessi e connessi in riferimento alla (mala) gestione dei rifiuti in azienda.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha espresso il seguente principio di diritto: “L’articolo 12 del d.m. 3 giugno 2014, n. 120 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (Regolamento relativo all’istituzione dell’Albo dei gestori ambientali), a norma del quale il responsabile tecnico di una impresa deve porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa nel rispetto della normativa vigente e di vigilare sulla corretta applicazione della stessa, nonché svolgere tali compiti in maniera effettiva e continuativa, costituisce in capo al medesimo una vera e propria «posizione di garanzia» relativa al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti di cui al d. Igs. 152/2006, con la conseguente responsabilità per gli illeciti connessi alla violazione di tale normativa“.
Il ricorso, dunque, è stato dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese del procedimento.
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