In tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come vanno accertate le esigenze cautelari rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo. Per approfondimenti sul tema delle esigenze cautelari, si rimanda al volume “Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia”, che ne tratta nel particolare.
Indice
1. La questione: sussistenza esigenze cautelari per misure coercitive
Il Tribunale del riesame di Bari confermava un’ordinanza con la quale un indagato era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, disposta in relazione ai reati di cui agli artt. 74 e 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, aggravati ex art.416-bis.1 cod. pen..
Ciò posto, avverso questa decisione la difesa proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi enunciati, era dedotta la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito all’assenza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari che, invero, per il ricorrente, avrebbero potuto essere soddisfatte anche con l’applicazione di una misura meno afflittiva. Per approfondimenti sul tema delle esigenze cautelari, si rimanda al volume “Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia”, che ne tratta nel particolare.
Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia
Aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia) e alla L. 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), il presente volume è un’analisi operativa degli istituti del nostro sistema sanzionatorio penale, condotta seguendo l’iter delle diverse fasi processuali. Anche attraverso numerosi schemi e tabelle e puntuali rassegne giurisprudenziali poste in coda a ciascun capitolo, gli istituti e i relativi modi di operare trovano nel volume un’organica sistemazione al fine di assicurare al professionista un sussidio di immediata utilità per approntare la migliore strategia processuale possibile nel caso di specie. Numerosi sono stati gli interventi normativi degli ultimi anni orientati nel senso della differenziazione della pena detentiva: le successive modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario, la depenalizzazione di alcuni reati; l’introduzione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto; la previsione della sospensione del processo con messa alla prova operata; le stratificate modifiche dell’ordinamento penitenziario. Con attenzione alla novità, normativa e giurisprudenziale, e semplicità espositiva, i principali argomenti trattati sono: la prescrizione; l’improcedibilità; la messa alla prova; la sospensione del procedimento per speciale tenuità del fatto; l’estinzione del reato per condotte riparatorie; il patteggiamento e il giudizio abbreviato; la commisurazione della pena (discrezionalità, circostanze del reato, circostanze attenuanti generiche, recidiva, reato continuato); le pene detentive brevi (sanzioni sostitutive e doppi benefici di legge); le misure alternative, i reati ostativi e le preclusioni; le misure di sicurezza e le misure di prevenzione. Cristina MarzagalliMagistrato attualmente in servizio presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea come Esperto Nazionale Distaccato. Ha maturato una competenza specifica nell’ambito del diritto penale e dell’esecuzione penale rivestendo i ruoli di GIP, giudice del dibattimento, magistrato di sorveglianza, componente della Corte d’Assise e del Tribunale del Riesame reale. E’ stata formatore della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto di Milano.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte reputava la doglianza summenzionata fondata alla stregua di quell’indirizzo interpretativo secondo il quale, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di talché risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo (Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017; Sez. 3, n. 17110 del 19/1/2016; Sez. 6, n. 140 del 2712/2015; Sez. 6, n. 44129 del 22/10/2015; Sez. 4, n. 26570 dell’11/6/2015).
Difatti, gli Ermellini, nell’annullare il provvedimento impugnato con rinvio, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto rivalutare l’attualità delle esigenze cautelari.
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3. Conclusioni
Con la decisione in esame la Corte di legittimità chiarisce come vanno accertate le esigenze cautelari rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, per quanto riguarda le misure coercitive applicate per il reato associativo ai sensi dell’articolo 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la configurabilità delle misure cautelari, in riferimento a comportamenti passati nel tempo, deve essere provata da elementi concreti che ne dimostrino la loro attualità.
Di conseguenza, ove siffatti elementi concreti non siano emersi, e nonostante ciò vengano reputate sussistenti tali esigenze cautelari, ben si potrà impugnare il provvedimento, in cui difetti tale valutazione, nei modi previsti dal codice di procedura penale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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