La tutela cautelare nell’arbitrato dopo la Riforma Cartabia

Marco Rossi 17/05/24
Scarica PDF Stampa

Approfondimento sulla tutela cautelare nell’arbitrato alla luce della Riforma Cartabia (d. lgs. 149/2022).

Per approfondimenti si consiglia il seguente volume nel quale è riportato, oltre al raffronto tra il testo previgente e quello novellato, per ogni articolo modificato un commento su tutte le novità, con spazio dedicato ai relativi riflessi operativi: Negoziazione assistita, Mediazione civile e Arbitrato dopo la Riforma Cartabia

Indice

1. Introduzione

Con la riforma del 2022 (D. Lgs. n. 149/2022) il legislatore ha introdotto la possibilità di conferire agli arbitri il potere di erogare tutela cautelare nel corso del procedimento arbitrale, evidenziando l’intento di ridurre ulteriormente il divario tra l’arbitrato e il giudizio ordinario. Tuttavia, la possibilità di chiedere ed ottenere l’emanazione di provvedimenti cautelari non può dirsi connaturata alla funzione di arbitro, ma deve essere specificamente prevista dalle parti nella convenzione di arbitrato o in un atto scritto predisposto anteriormente all’avvio del giudizio, così che tale potere trovi la sua legittimazione nell’espressa volontà delle parti.
Le parti possono ora richiedere all’arbitro l’applicazione di tutte (e solo) le misure cautelari che possono essere chieste al giudice, attraverso un procedimento disciplinato dalle norme sul procedimento cautelare uniforme, in relativa misura derogabili dalle parti e applicabili ove compatibili con l’arbitrato e la sua natura.

2. La tutela cautelare e l’art. 818 c.p.c. ante riforma

L’art. 818 del Codice di procedura civile previgente alla riforma del 2022 recitava: “Gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge”. La ratio che guidava la norma in questione era senz’altro l’indiscussa carenza del potere di coercizione in capo agli arbitri, relegati in passato al perimetro dell’autonomia privata e assai distanti dalla possibilità di concedere misure che potessero esplicare autoritativamente i loro effetti sulle parti. Tuttavia, come si evince dalla formula “salva diversa disposizione di legge”, venivano fatte salve alcune eccezioni settoriali: l’art. 35 D. Lgs. n. 5/2003, riguardo ai procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, consentiva agli arbitri di sospendere cautelarmente la delibera assembleare attraverso la pronuncia di un’ordinanza non reclamabile; tale previsione normativa è rinvenibile tutt’ora, a seguito della codificazione della normativa speciale sull’arbitrato societario, all’art. 838-ter, co. 4, c.p.c.
Prima della riforma, al palesarsi di un’esigenza cautelare nel corso del giudizio arbitrale o qualora la lite fosse già stata compromessa in arbitri, la parte poteva chiedere – ai sensi del previgente art. 669-quinquies c.p.c. – l’erogazione di tutela cautelare direttamente al giudice ordinario “che sarebbe stato competente a conoscere del merito. Qualora, invece, vi fosse stata la necessità di ricorrere al giudice per l’applicazione di una misura cautelare conservativa ante causam, in presenza di una lite oggetto di clausola compromissoria o di compromesso, ma in assenza di un giudizio arbitrale pendente, era richiesta – pena l’inefficacia della misura trascorso il termine di 60 giorni dalla sua applicazione – la notificazione della domanda di arbitrato.
Dall’attuazione delle disposizioni precedenti si facevano strada diversi scenari circa la sorte della misura cautelare in relazione all’esito del giudizio arbitrale: con il lodo di rigetto della domanda la misura cautelare perdeva la sua efficacia, contrariamente al caso in cui la domanda veniva accolta dagli arbitri, dove il provvedimento cautelare rimaneva in vita sino al momento in cui il lodo veniva depositato per l’exequatur. Tuttavia, come anticipato poc’anzi, le norme sul procedimento cautelare uniforme trovano applicazione ancora oggi qualora manchi l’espresso conferimento del potere cautelare agli arbitri, rendendo tali scenari tutt’ora ipotizzabili.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume nel quale è riportato, oltre al raffronto tra il testo previgente e quello novellato, per ogni articolo modificato un commento su tutte le novità, con spazio dedicato ai relativi riflessi operativi:

FORMATO CARTACEO

Negoziazione assistita, Mediazione civile e Arbitrato dopo la Riforma Cartabia

Il volume esamina le novità introdotte dalla Riforma Cartabia in materia di Negoziazione assistita (D.L. n. 132 del 2014, convertito con Legge n. 162 del 2014), Mediazione civile (D.Lgs. n. 28 del 2010) e Arbitrato (Libro quarto, titolo VIII del Codice di procedura civile).Oltre al raffronto tra il testo previgente e quello novellato, per ogni articolo modificato è riportato un commento su tutte le novità, con spazio dedicato ai relativi riflessi operativi.La Negoziazione assistita ha subìto un restyling estendendone la portata anche alle controversie di lavoro e, in materia di famiglia, alle controversie sullo scioglimento delle unioni civili, sull’affidamento e sul mantenimento dei figli naturali, oltre alle vertenze in materia alimentare. Le convenzioni di negoziazione assistita potranno altresì prevedere il ricorso a strumenti di “istruzione stragiudiziale”, quali l’acquisizione di dichiarazioni di terzi e le dichiarazioni confessorie.Per la Mediazione civile e commerciale, le principali aree di intervento hanno riguardato: la nuova disciplina del procedimento, l’estensione delle materie soggette a obbligatorietà, la formazione dei mediatori e la qualità del servizio fornito sia dagli organismi di mediazione che dagli enti formatori.Con riferimento all’Arbitrato si è puntato soprattutto a fornire un quadro unitario della materia (con riordino dell’impianto sistematico delle disposizioni e introduzione nel codice di rito delle norme dedicate all’arbitrato societario), a disciplinare i poteri cautelari del collegio arbitrale e a rafforzare le garanzie di imparzialità degli arbitri, apportando diverse modifiche alle relative disposizioni contenute nel Codice di procedura civile.È previsto un aggiornamento online del volume per i mesi successivi alla pubblicazione.Elisabetta MazzoliAvvocato, mediatore docente abilitato dal Ministero della giustizia per la formazione di mediatori civili e commerciali. Professore a contratto di Diritto della mediazione presso l’UNICUSANO di Roma per gli a.a. dal 2010/2011 al 2022/2023. Componente della Commissione “ADR, Mediazione, Arbitrato” dell’Ordine degli Avvocati di Spoleto.Daniela SavioAvvocato del foro di Padova, mediatrice civile e commerciale, mediatrice familiare e counselor. Formatrice per mediatori civili e commerciali e autrice di numerose pubblicazioni in materia di ADR.Andrea Sirotti GaudenziAvvocato, docente universitario e arbitro internazionale. Docente accreditato dal Ministero della Giustizia con riferimento alla materia della mediazione e responsabile scientifico di vari enti. Direttore di collane e trattati giuridici, è autore di numerosivolumi. Magistrato sportivo, attualmente è presidente della Corte d’appello federale della Federazione Ginnastica d’Italia.

Elisabetta Mazzoli, Daniela Savio, Andrea Sirotti Gaudenzi | Maggioli Editore 2023

3. I nuovi (attribuibili) poteri cautelari degli arbitri e l’art. 818 c.p.c.

Il novellato art. 818 c.p.c. stabilisce che le parti, anche con il rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri “il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale”. Nonostante la chiara intenzione del legislatore di rendere l’arbitrato ancora più simile al giudizio ordinario, non si può certo dire che la legge sia giunta a connaturare il potere cautelare alla figura dell’arbitro. Piuttosto, consente alle parti di plasmare il processo arbitrale secondo le loro esigenze, facendo sì che tale potere tragga la sua legittimazione sempre dalla loro manifesta volontà. In presenza, quindi, della previsione di conferimento del potere cautelare anteriormente all’instaurazione del giudizio e dal momento dell’accettazione dell’arbitro unico o la costituzione il collegio arbitrale, il giudice ordinario – sino ad allora competente ad erogare tutela cautelare – viene spogliato di tale prerogativa, non essendo contemplabile, su esplicita previsione dell’art. 818 c.p.c., il concorso con gli arbitri nell’esercizio del suddetto potere.
La tutela cautelare non ammette pertanto alcuna vacanza temporale: prima che gli arbitri siano in grado di provvedere, la competenza è quella del giudice ordinario che sarebbe stato, in assenza di convenzione arbitrale, competente a conoscere del merito. Volendosi dunque soffermare per un istante sulla capacità “di provvedere” degli arbitri che normalmente viene in essere, come visto poc’anzi, nel momento dell’accettazione dell’arbitro unico o si costituisca il collegio arbitrale, è doveroso richiamare alcune peculiari previsioni talvolta presenti nei regolamenti degli arbitrati c.d. amministrati. Nel caso in cui le parti abbiano scelto di affidare la composizione delle liti ad un organismo specializzato nell’organizzazione e gestione dell’arbitrato, si prevede in alcuni casi, a seguito del deposito della domanda di arbitrato presso l’ufficio deputato a tale funzione, che gli arbitri individuati e successivamente nominati vengano “confermati” dal medesimo ufficio sulla base della dichiarazione di indipendenza da questi formulata, tenuto conto di eventuali osservazioni delle parti [1]. Il meccanismo in questione è necessario, in tali casi, anche a “confermare” il trasferimento del potere cautelare dal giudice agli arbitri.

4. Il procedimento cautelare in arbitrato

Pur introducendo nuove disposizioni specifiche, la normativa di riferimento per il procedimento cautelare in arbitrato rimane, ove compatibile, quella del procedimento cautelare uniforme ex art. 669-bis c.p.c., da leggersi in combinato disposto con l’art. 816-bis che consente alle parti di stabilire, nella convenzione di arbitrato, o con atto scritto separato anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale, “le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento”.
Pertanto, salvo diversa modalità stabilita dalle parti, la domanda va proposta agli arbitri con la forma del ricorso ai sensi dell’art. 669-bis c.p.c., indicando la specie di misura cautelare richiesta – che si rammenta dover necessariamente rientrare tra tutti i provvedimenti che la parte ha facoltà di richiedere al giudice – nonché l’indicazione del fumus boni iuris e del periculum in mora che dovranno essere valutati, compatibilmente con la tipologia di provvedimento cautelare oggetto della domanda, mediante gli stessi criteri adottati dal giudice ordinario.
Anche in arbitrato è possibile chiedere ed ottenere l’emanazione di provvedimenti cautelari inaudita altera partequando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento” ai sensi dell’art. 669-sexies, co. 2, c.p.c.; in alternativa, sempre ammettendo la possibilità per le parti di derogare al dato positivo, si procede agli atti istruttori considerati indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, provvedendo con ordinanza ad accogliere o a rigettare la domanda. Nell’ipotesi di rigetto da parte degli arbitri, al verificarsi di un mutamento delle circostanze o qualora dovessero essere dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto idonee ad incidere sui presupposti del provvedimento cautelare, è sempre possibile, incondizionatamente dalle regole dettate dalle parti, riproporre l’istanza.

5. Le esigenze cautelari ante causam e l’arbitrato d’urgenza

Prima dell’instaurazione del giudizio arbitrale, è verosimile che una delle parti si trovi nella necessità di richiedere l’emanazione di un provvedimento cautelare a fronte di esigenze improvvise e urgenti di protezione dei propri diritti. In tale contesto, i tempi richiesti per l’instaurazione del procedimento arbitrale potrebbero causare danni gravi e irreparabili, rendendo indispensabile un intervento cautelare immediato.
Quando l’arbitro non è ancora nelle condizioni di provvedere (vedi sopra), valgono le disposizioni precedenti alla riforma: è necessario rivolgersi al giudice competente ad emettere il provvedimento cautelare. Tuttavia, tali provvedimenti possono essere successivamente modificati – o revocati – dagli arbitri una volta instaurato il procedimento arbitrale e siano divenuti capaci di provvedere, a condizione che il potere di adottare misure cautelari sia stato espressamente conferito agli arbitri nell’ambito della convenzione arbitrale.
Alcuni regolamenti arbitrali, spesso richiamati dalle convenzioni – in particolare negli arbitrati amministrati – contemplano la figura del c.d. “arbitrato d’urgenza” in sostituzione alla giurisdizione dei tribunali statali. Trattasi di un arbitro unico, nominato su istanza di parte dall’organismo che fornisce l’arbitrato amministrato prima della costituzione del collegio arbitrale, a cui può essere chiesta “l’adozione dei provvedimenti cautelari e provvisori, anche di contenuto anticipatorio, che non siano vietati da norme inderogabili applicabili al procedimento[2]. Questo, in un ristretto margine di tempo, provvede all’audizione delle parti e, constatata la sussistenza delle esigenze cautelari, dispone le misure cautelari urgenti.

6. Il reclamo avverso il provvedimento cautelare arbitrale

Approcciamo ora a quella che pare essere la principale criticità nella neo-introdotta tutela cautelare arbitrale: l’impossibilità stabilita dalla legge di applicare in toto l’art. 669-terdecies in tema di reclamo contro i provvedimenti cautelari.
La disposizione all’art. 818-bis c.p.c., inserita dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. “Riforma Cartabia”), prevede che “contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo a norma dell’articolo 669-terdecies davanti alla corte di appello, nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e per contrarietà all’ordine pubblico”. Pertanto, il reclamo ex art. 818-bis c.p.c. condivide le medesime caratteristiche dell’impugnazione per nullità del lodo, vincolando la sua proposizione alla lista degli errores in procedendo, tassativamente indicati all’art. 829, co. 1, c.p.c. e applicabili al caso ove compatibili. In altre parole, escludendo improbabili interpretazioni del concetto di “contrarietà all’ordine pubblico”, il reclamo contro il provvedimento cautelare adottato dagli arbitri non può essere fondato su difetti relativi al merito, ovvero attinenti al fumus boni iuris o il periculum in mora, rendendo il provvedimento, in assenza di vizi nella sua formazione, di fatto inespugnabile. Il legislatore, consapevole delle conseguenze di tale scelta, ha qui optato per un bilanciamento tra la necessità di fornire alle parti un mezzo di opposizione contro le misure cautelari arbitrali e la natura dell’arbitrato, comprese le rispettive impugnazioni. Secondo autorevole dottrina (LUISO) non sarebbe congruo eccedere i limiti dell’impugnazione per nullità del lodo, la quale si può esercitare solamente per vizi di attività e non di giudizio.Inoltre, consentire al giudice statale di operare una valutazione “di merito” nel corso del giudizio arbitrale, “costituirebbe un’intromissione pericolosissima nella decisione dell’arbitro[3].

Note

  1. [1]

    Art. 21, co. 2, Regolamento della Camera Arbitrale di Milano;

  2. [2]

    Art. 44, co. 1, Regolamento della Camera Arbitrale di Milano;

  3. [3]

    Luiso F. P., Diritto Processuale Civile, Vol. V, (Giuffrè, 2023), p. 231;

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento