Abolitio criminis dell’indebita percezione del reddito di cittadinanza

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Approfondimento sull’abolitio criminis dell’indebita percezione del reddito di cittadinanza, con riferimenti ai risvolti normativi e alla funzione del nuovo reddito di inclusione.

Indice

1. Premessa

Come noto, a decorrere dal 1° gennaio 2024 non è più in vigore la disciplina del tanto discusso sussidio del reddito di cittadinanza e della pensione di cittadinanza.
L’abrogazione, avvenuta ad opera dell’art. 1 comma 318 della Legge di Bilancio 2023 [1] (l. 29 dicembre 2022, n. 197) ha interessato, in blocco, l’intero Capo I del d.l. 28 gennaio 2019 n.4 convertito, con modificazioni, dalla l. 28 maggio 2019, n. 26.  Naturalmente, a tale abrogazione è conseguita, altresì, quella delle norme incriminatrici di cui all’art. 7 del medesimo decreto-legge, contenente la disciplina sanzionatoria per l’indebita percezione del sussidio suddetto.
Si inserisce, in tale quadro normativo, il d.l. 48 del 4 maggio 2023 che ha inserito nell’ordinamento nuove misure di inclusione sociale e lavorativa ed ha disposto misure transitorie (all’art. 13) valevoli fino al 31 dicembre 2023.

2. Il fenomeno della successione delle legge penali nel tempo: cenni

La successione delle leggi penali nel tempo costituisce un tema di imponente rilevanza giuridica, la cui dinamica risulta influenzata da un costante equilibrio tra la necessità di adeguare la normativa alle mutate condizioni della società e al rispetto dei principi fondamentali della legalità. Attraverso tale fenomeno, viene evidenziato il persistente sforzo del legislatore nel mantenere un sistema giuridico adattabile e rispondente alle sfide contemporanee. Allo stesso tempo, il dibattito dottrinale sul concetto di retroattività delle leggi penali, considerando nuove prospettive etiche e sociali, ha contribuito a plasmare il modo in cui il fenomeno della successione normativa viene compreso ed applicato in ambito giuridico.
Questa complessa interazione tra legislazione, dottrina, alle quali si aggiungono la giurisprudenza ed il dibattito accademico, sottolinea la vitalità e dinamicità del sistema giuridico nell’affrontare le mutevoli esigenze della società.

3. Il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli per l’agente

Al giudice, ai sensi del disposto di cui all’art. 2 co. 1 c.p. [2], è prescritto il rispetto del principio di irretroattività delle norme contenenti nuove incriminazioni. Tale norma, unitamente a quella di cui all’art. 2 co. 4 c.p. [3], è inderogabile ed immodificabile dal legislatore ordinario, in quanto il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli all’agente da essa espresso è tutelato, altresì, costituzionalmente all’art. 25 co. 2 Cost [4].
Dal punto di vista eurounitario, il regime di tutela è delineato dalle norme di cui all’art. 7 CEDU [5], nonché dall’art. 49 CDFUE [6], le quali assumono rango costituzionale per effetto dell’intermediazione dell’art. 117 co. 1 Cost [7].
La ratio del principio (che costituisce un corollario del principio di legalità) può essere, dunque, rinvenuta non solo nella prevedibilità delle conseguenze alle quali si esponga il destinatario della norma trasgredendo il precetto penale, ma anche nella garanzia dell’individuo contro possibili abusi da parte del potere legislativo, imponendo a quest’ultimo di includere fra i presupposti dell’applicazione della pena, la colpevolezza dell’agente [8].
Dalla Corte Costituzionale è affermata in maniera costante la predetta inderogabilità di tale principio, a differenza delle altre materie per le quali il divieto di retroattività ex art. 11 disp. prel., non preclude al legislatore l’emanazione di norme retroattive, pur costituendo una regola generale dell’ordinamento. Gli unici limiti che il legislatore incontra, in tal caso, sono quelli della ragionevolezza, non arbitrarietà e non discriminazione [9].
La Corte Costituzionale ha, altresì, esteso la garanzia di cui all’art. 25 co. 2 Cost. alle disposizioni che introducono ovvero inaspriscono sanzioni amministrative. A tal proposito, l’art. 1 della l. 689/1981 stabilisce per esse il divieto di applicazione retroattiva [10].
Ci si è chiesti se il principio di irretroattività possa interessare anche le misure di sicurezza, per le quali trova applicazione, secondo il disposto di cui all’art. 200 co. 1 c.p., la regola tempus regit actum [11]. Nonostante ciò, al fine di rinvenire una compatibilità tra la disciplina interna e quella di cui all’art. 7 CEDU deve distinguersi l’ipotesi in cui la misura possieda una funzione prevalentemente di prevenzione criminale, da quella in cui tale strumento abbia carattere punitivo-afflittivo. Nel primo caso, infatti, la misura di sicurezza opera retroattivamente secondo il disposto di cui all’art. 200 co. 1 e 2; nel secondo, invece, è soggetta alla stessa disciplina della sanzione penale in senso stretto, non potendosi applicare a condotte realizzatesi prima della sua entrata in vigore.
Quanto alle norme processuali penali, operando per esse il principio tempus regit actum, non possono essere ricomprese nell’ambito del divieto di retroattività; mentre, per quelle che disciplinano l’esecuzione della pena, la giurisprudenza di legittimità ha da sempre affermato in maniera unanime, la loro non riconducibilità al disposto di cui all’art. 25 co. 2 Cost. Tale assunto è dettato da un lato dal fatto che l’esecuzione delle pene detentive sia un fenomeno che si dipana diacronicamente e per tale ragione la legge deve essere costantemente chiamata a reagire ai mutamenti continui nei quali l’amministrazione penitenziari è chiamata ad operare; dall’altro, dal fatto che le regole trattamentali si fondano su delicati interessi come la tutela dei diritti fondamentali dei condannati ovvero il controllo della residua pericolosità criminale del detenuto sia all’interno che all’esterno del carcere. L’eccezione a tale regola si ha, però, allorquando la normativa sopravvenuta comporti una trasformazione della natura della pena, incidendo sulla libertà personale del condannato. In questa peculiare ipotesi, infatti, non è possibile applicare retroattività una tale legge, in quanto costituirebbe diretta violazione dell’art. 25 co. 2 Cost. [12].
Sulla base di quanto suddetto, la Corte Costituzionale ha affermato che fosse illegittima l’applicazione retroattiva della l. 3/2019 c.d. Legge Spazzacorrotti laddove «estende alla maggior parte dei reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni alle misure alternative alla detenzione, già previste dall’articolo 4 bis or. pen. per i reati di criminalità organizzata». Per arrivare ad una tale decisione, la Corte ha ribaltato l’orientamento precedente seguito non solo dalla stessa, ma anche dalla Corte costituzionale, «secondo cui le pene devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento dell’esecuzione della pena, e non a quella in vigore al momento del fatto» [13].

4. Il principio di irretroattività delle norme penali favorevoli all’agente

 L’art. 2 co. 2-4 c.p. regola le ipotesi nelle quali, a seguito della commissione del fatto, sopravvenga una legge penale più favorevole per l’agente.
Il principio di retroattività della legge più favorevole ha un ambito di applicazione ben delineato, riferendosi alla legge che abolisce il reato, ossia la legge più favorevole per eccellenza, ed alla legge che modifica la disciplina del reato. Con quest’ultima espressione, si fa riferimento alle disposizioni concernenti il tipo e la misura della pena, nonché tutte le norme sostanziali che incidono sul trattamento sanzionatorio riservato al reato, pur riguardando profili diversi dalla sanzione in senso stretto [14].
Il principio di retroattività favorevole, pur non possedendo fondamento esplicito all’interno della Costituzione, è stato ritenuto dalla dottrina prevalente corollario del principio di eguaglianza in senso sostanziale considerato quale parità di trattamento in analoghe situazioni.
Il principio della preminenza del diritto, del quale il suddetto art.  7 CEDU è espressione, imporrebbe di applicare la legge sopravvenuta meno severa, in qualità di legge che rispecchia la nuova valutazione del legislatore circa la proporzione tra fatto e sanzione e impedirebbe di continuare a infliggere pene che lo Stato, e quindi la collettività che esso rappresenta, considerano ormai eccessive. Pertanto, in caso di mutamento legislativo favorevole all’imputato prima della fine del processo, il giudice deve applicare la pena che il legislatore a quel tempo ritiene proporzionata e non quella antecedente più afflittiva che il legislatore e la collettività non reputano più adeguata al fatto realizzato [15].

5. L’abolizione del reato

L’abolizione del reato riguarda, invece, il caso in cui venga soppressa interamente una figura di reato ed, in tal caso, si configura un’abolizione integrale; ovvero nel caso in cui venga ristretta la propria area applicativa, configurandosi il diverso fenomeno dell’abolizione parziale.
L’istituto è regolato integralmente dall’art. 2 co. 2 c.p., ma è stato anche riconosciuto dalla Corte Costituzionale la quale, ai fini della propria regolazione, ha richiamato la riserva di legge di cui al succitato art. 25 co. 2 Cost.
Attraverso uno sguardo alla figura astratta del reato, è possibile stabilire se si tratti o meno di abolitio criminis [16].
La ratio della norma va ricercata nella tutela della libertà personale, che si riespande quando viene meno la disposizione incriminatrice in cui la pena trovi fondamento. Certamente, ad affiancarsi ad essa vi sono i canoni di eguaglianza e ragionevolezza [17].

6. Evoluzione normativa del reddito di cittadinanza e questioni giurisprudenziali ivi sottese

Come anticipato, l’intera abrogazione del Capo I del d.l. 28 gennaio 2019 n. 4 (risalente al Governo Conte I) ha comportato l’abrogazione delle due fattispecie incriminatrici in materia di reddito di cittadinanza previste dall’art. 7 del medesimo decreto.
In particolare, il primo comma puniva con la reclusione da due a sei anni, salvo che il fatto costituisse più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio rendesse o utilizzasse dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omettesse informazioni dovute.
Il secondo comma puniva con la reclusione da uno a tre anni “l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio”. Mentre, il terzo comma configurava un’ipotesi di effetto speciale della condanna stabilendo “l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e la restituzione di quanto indebitamente percepito” nel caso in cui il beneficiario fosse stato condannato in via definitiva, ovvero con patteggiamento, per un elenco di gravi reati tra i quali rientrano: l’associazione a delinquere di stampo mafioso, lo scambio elettorale politico-mafioso, i reati aggravati dal metodo mafioso, il traffico di stupefacenti, la rapina, la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, l’estorsione, l’usura, la ricettazione ed il riciclaggio.
Inoltre, in sede di conversione del decreto-legge è stato introdotto l’art. 7-ter che disciplinava la sospensione del reddito di cittadinanza nei confronti del richiedente o del beneficiario al quale fosse stata applicata una misura cautelare personale, adottata anche a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, ovvero fosse stato condannato con sentenza non definitiva per uno dei reati di cui al suddetto comma 3. La medesima sospensione si applicava anche a colui che fosse stato dichiarato latitante ai sensi dell’art. 296 c.p.p. ovvero a colui che si fosse volontariamente sottratto all’esecuzione della pena; operando, in tali casi, la sospensione “nel limite e con le modalità di cui all’art. 3, comma 13”.
Sono stati diversi i contrasti interpretativi, riguardanti tali reati, che hanno coinvolto l’interesse della giurisprudenza, anche di legittimità [18]. In particolare, la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla disciplina lato sensu sanzionatoria del d.l. 4/2019, ha chiarito che sia legittima la sospensione della misura cautelare personale per qualsiasi reato (nonostante la revoca operi solo in caso di condanna definitiva per specifiche e determinate categorie di reati). Ciò ha evidenziato come il riconoscimento di una tale erogazione assistenziale fosse slegato dagli ordinari requisiti di onorabilità essendo, invece, legato a quelli di tipo straordinario [19].

7. Gli effetti della legge di bilancio 2023

In ogni caso, l’abrogazione operata dalla Legge di Bilancio 2023, sin dalle intenzioni del legislatore, non ha avuto effetti immediati essendo, questi ultimi, stati posticipati a decorrere dal 1° gennaio 2024.
Certamente, il motivo di una tale scelta è da rinvenirsi nella necessariamente tempestiva sostituzione del sussidio con altro beneficio assistenziale, ma non ha evitato gli effetti critici derivanti dal fenomeno dell’abolitio criminis con conseguente caducità del giudicato ex art. 2, co. 2 c.p.
Secondo un orientamento, ad oggi dominante, ciò che verrebbe in rilievo è, infatti, una vera e propria abolitio, dato che le statuizioni della norma abrogata non si rinverrebbero in nessun’altra norma incriminatrice già esistente (per effetto del fenomeno della riespansione della fattispecie previgente), né in una norma incriminatrice nuova, posta in sostituzione di quella abrogata [20].
A ben vedere, l’art. 7 co. 1 citato, replicando di fatto oggettivamente e soggettivamente lo schema dell’indebita percezione di cui all’art. 316-ter c.p., potrebbe essere l’unico precetto in grado di sopravvivere grazie all’espansione di altra fattispecie esistente. La smentita a tale assunto è, però, immediata: i ratei derivanti dall’indebita percezione del reddito di cittadinanza non potrebbero mai superare la soglia di rilevanza penale stabilita in €3.999,96 [21].

8. L’inconsapevole abrogazione delle norme penali

All’interno di qualche pronuncia, la Corte di Cassazione si è trovata ad affrontare casi di postergazione dell’effetto abrogativo dell’art. 7 del d.l. 4/2019 per i fatti ivi attribuiti agli imputati [22], ma nonostante le precisazioni della Corte, persistevano ancora dei dubbi circa l’abrogazione delle norme incriminatrici in questione.
Da tempo, infatti, si affermava in giurisprudenza che nel caso di depenalizzazione, ossia di trasformazione dell’illecito penale in amministrativo, non fosse possibile applicare la sanzione amministrativa corrispondente senza incorrere in una violazione del principio di irretroattività di cui alla l. 689/1981 [23], soluzione idonea né, tantomeno, sovrapponibile all’ipotesi di riespansione dell’illecito amministrativo a seguito dell’abrogazione di una norma penale. Si noti che l’illecito amministrativo era già vigente al momento del fatto e non viene applicato retroattivamente, pertanto non si pongono ostacoli alla sua applicazione ai fatti commessi sotto la concorrente vigenza della norma penale [24].
Deve sottolinearsi, altresì, che l’eventuale introduzione di una nuova fattispecie di indebita percezione di un nuovo beneficio assistenziale, non sarebbe stata utile a scongiurare l’abrogatio cum abolitione  delle condotte sanzionate dall’art. 7 suddetto, ma avrebbe una ratio, funzione, oggetto e nomen iuris differenti. Pertanto, nonostante tra le fattispecie in oggetto avrebbe potuto esservi identità di precetto, certamente la materia sarebbe stata diversa, escludendo ogni possibilità di applicazione dei criteri atti ad accertare se si trattasse di abolitio ovvero mera mutatio, mancando il presupposto essenziale, quale concomitanza del fatto storico [25].
Tale abrogazione può, quindi, definirsi inconsapevole non solo per l’evidenziato punto di vista giuridico, ma anche quello criminologico, dato che ci si è trovati a rendere impunite condotte legate all’indebita percezione del sussidio, sterilizzando la capacità preventiva delle sanzioni penali comminate dalla legge.

9. Possibile un travolgimento delle sentenze di condanna passate in giudicato?

Ci si deve chiedere, a tal proposito, se l’abrogazione delle norme di cui all’art. 7 del d.l. 4/2019 fosse stata e sia capace ancora oggi di travolgere le sentenze di condanna già passate in giudicato. Ai sensi dell’art. 2 co. 4 c.p., l’abolizione di un effetto penale della condanna ha la funzione di integrare una modifica migliorativa del trattamento sanzionatorio penale, applicabile anche in via retroattiva, ma col il limite del giudicato. Pertanto, l’INPS a decorrere dal 1° gennaio 2024 ha titolo per chiedere la restituzione di quanto indebitamente percepito esclusivamente in relazione alle condanne passate in giudicato prima di tale e non in relazione a quelle successive.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione [26], a tal proposito, hanno chiarito che non coincidendo necessariamente tra loro i fenomeni di abrogazione di una norma incriminatrice con l’abolizione del reato, possano certamente verificarsi casi di abrogatio sine abolitione. Pertanto, qualora sia possibile un inquadramento di fatti con quelli puniti dall’art. 7 d.l. 4/2019 in una diversa norma incriminatrice, sarà applicabile l’art. 2 co. 4 c.p.
Infatti, le fattispecie di cui ai primi due commi dell’art. 7 d.l. 4/2019 potrebbero essere ricondotte a quella di cui all’art. 316-ter c.p. [27], ossia il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.
Tale delitto, pur essendo punito meno gravemente, dà comunque rilevanza alle condotte di presentazione ovvero utilizzazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, nonché all’omissione di informazioni dovute, in vista del conseguimento di un’erogazione pubblica.
Sostenendo tale tesi, la quale non prende in considerazione le differenze intercorrenti tra le fattispecie di cui all’art. 7 d.l. 4/2019 e quella di cui all’art. 316- ter c.p., tra le quali emergono gli elementi specializzanti che, nelle prime, sul piano oggettivo riguardano il tipo di erogazione ed il presupposto dell’erogazione in corso del contributo; mentre, sul piano soggettivo, la diversa configurazione del dolo che, nelle prime corrisponde al dolo specifico, rispetto al dolo generico richiesto dall’art. 316-ter c.p.
Pacifica non appare, altresì, la configurabilità del delitto di truffa aggravata rispetto alla percezione del reddito di cittadinanza [28].

10. Il nuovo reddito di inclusione

Il nuovo sussidio economico, cosiddetto Assegno di Inclusione “ADI”, è stato istituito con il d.l. 48/2023 convertito, con modificazioni, in legge 85/2023. Si tratta di una misura nazionale di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale condizionata al possesso di alcuni requisiti.
L’ADI è riconosciuto ai nuclei familiari con un ISEE non superiore a 9.360 euro e che abbiano almeno un componente in una delle seguenti condizioni: con disabilità; minorenne; con almeno 60 anni di età; in condizione di svantaggio e inserito in programma di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali certificato dalla pubblica amministrazione.
Tra i soggetti richiedenti vengono annoverati i cittadini italiani; cittadini europei o loro familiari; cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno per l’Unione Europea per soggiornanti di lungo periodo, residenti in Italia per almeno cinque anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo
Esclusi dalla facoltà di richiesta del sussidio sono coloro i quali siano sottoposti a misura cautelare personale o a misura di prevenzione; ovvero coloro i quali abbiano ricevuto delle sentenze definitive di condanna o adottate ai sensi dell’art. 444 ss. c.p.p., c.d. patteggiamento, nei 10 anni precedenti la richiesta.
Come per il Reddito di cittadinanza, anche in questo caso sono stati previsti degli sgravi a favore dei datori di lavoro i quali assumano i percettori di Assegno di inclusione e le agenzie per il lavoro che facciano da tramite, nonché un contributo aggiuntivo per il beneficiario che intraprenda una attività lavorativa autonoma.
Le agevolazioni sono concesse nei limiti del vigente Regolamento UE sugli aiuti di Stato [29].
I componenti del nucleo che percepisce l’assegno di inclusione che siano disoccupati, maggiorenni, non impegnati in corsi di studi devono intraprendere il percorso di inserimento lavorativo previa registrazione al SIISL nuovo sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa che trasmette i dati dal competente Centro per l’Impiego. Viene specificato, però, che siano esonerati dall’obbligo di lavoro i soggetti ultrasessantenni; i disabili; i soggetti con patologie oncologiche; i componenti con carichi di cura, ossia i figli sotto i tre anni di età ovvero disabili in condizioni di gravità; e le donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere 
L’assegno decade in caso di rifiuto della prima offerta di lavoro congrua, ossia un contratto a tempo indeterminato senza limiti di distanza a tempo pieno o almeno part time per almeno il 60% con stipendio previsto dal CCNL; ovvero un contratto a tempo determinato entro 80 km dalla residenza.
Tra le sanzioni, è stata prevista la reclusione da due a sei anni per chiunque renda o utilizzi dichiarazioni o documenti falsi ovvero ometta informazioni dovute al fine di ottenere indebitamente l’assegno di inclusione.
Il comportamento consistente nell’omettere eventuali variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, e di altre informazioni dovute e rilevanti è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Alla condanna in via definitiva del beneficiario per i reati citati o per un delitto non colposo che comporti l’applicazione di una pena non inferiore ad un anno di reclusione, consegue, l’immediata decadenza dal beneficio e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito [30].

11. Conclusioni finali

In conclusione, si può osservare come il legislatore, attraverso l’introduzione del nuovo beneficio assistenziale che ha sostituito integralmente il precedente Reddito di cittadinanza, abbia comunque introdotto delle nuove figure di reato a baluardo del corretto accesso allo stesso, tra le quali vanno ricordate: la resa o l’utilizzazione di dichiarazioni o documenti falsi; l’omissione di informazioni dovute ovvero della comunicazione delle variazioni attinenti al reddito o al patrimonio, o ancora di altre informazioni rilevanti o dovute a qualsiasi titolo.
Pertanto, rimane confermata l’abolitio dell’art. 7 d.l. 4/2019, non potendosi in alcun modo parlare di continuità normativa con le fattispecie di cui all’art. 8 d.l. 48/2023 e, non essendo vietata la deroga alla retroattività favorevole, la quale trova anzi fondamento indiretto nell’art. 3 Cost.

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Note

  1. [1]

    «A decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto legge 28 gennaio 2019, n.4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati.»

  2. [2]

    L’art. 2 co.1 c.p. dispone espressamente: «nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato».

  3. [3]

    L’art. 2 co. 4 c.p. dispone espressamente: «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo».

  4. [4]

    L’art. 25 co. 2 Cost. dispone espressamente: «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».
    Secondo la Corte Cost., 26 febbraio 2020, n. 32 : «Il divieto riguarda sia la punizione di fatti che al tempo della loro commissione non costituivano reato, sia la punizione più severa di fatti che già costituivano reato».

  5. [5]

    L’art. 7 CEDU dispone espressamente: «Nessuno può essere condannato per un’azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto internazionale o interno. Parimenti non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».

  6. [6]

    L’srt. 49 CDFUE dispone espressamente: «1. Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima. 2. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni. 3. Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato».

  7. [7]

    L’art. 117 co.1 Cost. dispone espressamente: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali

  8. [8]

    G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale Parte Generale, Undicesima Edizione, Giuffrè, 2022, p. 123 ss.

  9. [9]

    Corte Cost. 12 ottobre 2012, n. 230. Nella pronuncia in commento, la Corte afferma che l’irretroattività della norma penale sfavorevole rappresenti strumento di garanzia del cittadino contro persecuzioni arbitrarie, utile a quest’ultimo al fine di calcolare le conseguenze giuridiche penali della propria condotta.
    Corte Cost. 23 novembre 2006, n. 394. Nella pronuncia in commento la Corte afferma che il principio di irretroattività costituisca condizione indispensabile affinché la minaccia della pena da parte del legislatore possa assolvere la sua funzione di strumento di prevenzione generale attraverso, soprattutto, la propria forza intimidatoria.

  10. [10]

    La Corte Cost. nella sent. 4 giugno 2010, n. 196 afferma che l’art. 25 co. 2 Cost. possa essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, che non possieda prevalentemente la funzione di prevenzione criminale, sia applicabile soltanto se la legge che lo preveda risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato.

  11. [11]

    L’art. 200 co. 1 c.p. prevede che: «le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione» e aggiunge al co.2 che: «se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione».

  12. [12]

    Fratini M., Manuale Sistematico di diritto penale, ed. 2023-2024, Nel diritto Editore, pp. 104 ss.

  13. [13]

    Corte Cost. 26 febbraio 2020, n. 32 in cui la Corte afferma che: «se al momento del reato è prevista una pena che può essere scontata fuori dal carcere, ma una legge successiva la trasforma in una pena da eseguire dentro il carcere, tale legge non ha effetto retroattivo». La Corte Costituzionale ha inteso evidenziare la differenza qualitativa tra le due modalità di esecuzione della pena, apparendo totalmente differente l’incidenza di tali modalità sulla libertà personale, ragionamento che ha portato ad una rimeditazione del tradizionale orientamento, sino ad ora seguito dalla Corte di Cassazione, nonché dalla medesima Corte Costituzionale, secondo cui le pene devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento della esecuzione della pena e non a quella in vigore al momento del fatto.

  14. [14]

    Corte Cost., 22 luglio 2011, n. 236.

  15. [15]

    F. Caringella, A. Salerno, Manuale Ragionato di diritto Penale Parte Generale, III edizione, Dike Giuridica, 2021, pp. 254 ss.

  16. [16]

    G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale Parte Generale, vd. supra, pp. 145-146.

  17. [17]

    F. Caringella, A. Salerno, Manuale Ragionato di diritto Penale Parte Generale, vd. supra, pp. 285 ss.

  18. [18]

    Cass. pen., sez. II, 8 giugno 2022, n. 29910; Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 2019, n. 5289.

  19. [19]

    Corte cost. 21 giugno 2021, n. 126.

  20. [20]

    M. GAMBARDELLA, Lex mitior e giustizia penale, Torino, 2013, 12 ss.

  21. [21]

    Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 2021, n. 31223; contra Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2021, n. 45917.

  22. [22]

    Cass. pen., sez. III, 11 dicembre 2023, n. 49047.

  23. [23]

    Parte della giurisprudenza (v. Cass. pen., sez. II, 25 gennaio 2006, n. 7180).

  24. [24]

    E. BERTO, Il fenomeno giuridico della depenalizzazione in malam partem ed il principio di retroattività in
    mitius nel diritto amministrativo punitivo, alla luce della disciplina nazionale e sovranazionale
    della successione di norme nel tempo, 2023, «La differenza tra queste due situazioni è da rinvenirsi nel fatto che, mentre all’abolizione della fattispecie di reato non segue la previsione di una fattispecie sostitutiva (almeno in tutti casi in cui il legislatore nulla specifichi all’interno dell’intervento riformatore e, soprattutto, nei casi di “abrogazione secca”), diversamente, nella depenalizzazione, all’eliminazione della fattispecie incriminatrice segue la previsione di un illecito amministrativo, scaturente per l’appunto dalla “degradazione” del reato in illecito (civile ovvero amministrativo). Tale divergenza di situazioni conduce alla circostanza per la quale, in caso di abrogatio, il soggetto agente del reato che abbia commesso la condotta incriminatrice sotto la vigenza del reato abrogato non sarà più punibile, mentre, in caso di depenalizzazione, il soggetto attivo dell’illecito, pur non potendo più essere perseguito ai sensi della fattispecie penale, potrebbe rispondere tuttavia per l’illecito amministrativo derivante dalla degradazione del vecchio reato, qualora il legislatore abbia prescritto un regime transitorio in tal senso e, qualora, il trattamento sanzionatorio amministrativo successivamente intervenuto risulti essere nel complesso meno afflittivo (oltre che formalmente, anche nella sostanza) rispetto alle sanzioni penali precedentemente vigenti».

  25. [25]

    Fenomeno “inverso” alla abrogatio sine abolitione. Questo fenomeno, che si verifica allorché la figura di reato soppressa è speciale rispetto ad una fattispecie generale già vigente o introdotta contestualmente alla sua soppressione, ricade nella previsione dell’art. 2 co. 4 c.p.. Dà luogo ad una successione di legge meramente modificative della disciplina di fatti che continuano ad essere previsti come reato poiché “legge posteriore” non è necessariamente quella introdotta dopo la commissione del fatto: può anche essere la disciplina applicabile al caso concreto a seguito di mutamenti normativi intervenuti dopo il fatto. È il caso di una preesistente norma generale, divenuta applicabile solo dopo per effetto dell’abrogazione di una norma speciale, oppure è il caso di una norma generale introdotta in sostituzione di una norma speciale abrogata con la medesima o con altra disposizione di legge.

  26. [26]

    Cass., Sez. Un., 26 febbraio 2009, Rizzoli, n. 24668.

  27. [27]

    L’art. 316-ter c.p. dispone espressamente: «1. Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, (1-bis) finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.
    2. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito».

  28. [28]

    G. L. GATTA, Reddito di cittadinanza e “abrogatio per aberratio” delle norme penali: tra abolitio crimins e possibili rimedi”, in Sistema Penale, 3, 2023, pp. 74 ss.

  29. [29]

    Regolamento Unione Europea del 17/06/2014 n. 651.

  30. [30]

    www.lavoro.gov.it

Jolanda Milardo

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