Occupazione abusiva di edificio e stato indigenza economica

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Il presente contributo pone l’attenzione sull’importanza di vagliare in concreto la configurazione del dolo specifico al fine di ritenere sussistente o meno la fattispecie di reato che lo prevede. In particolare, si analizza il dolo specifico dell’occupazione nel reato di invasione di terreni o edifici prospettando il caso in cui l’invasione sia realizzata al fine di rifugio, scindendo l’occupazione materiale, dall’occupazione come fine specifico oggetto del dolo.

Per approfondimenti, si consiglia il corso “Processo penale: opportunità e insidie alla luce del Correttivo Cartabia” il quale si propone di fornire chiarimenti alla luce delle modifiche introdotte dall’ultimo Correttivo in questione e che si terrà a partire dal 3 giugno 2024.

Indice

1. Stato di indigenza economica/bisogno abitativo, stato di necessità e non punibilità per particolare tenuità del fatto

In dottrina e in giurisprudenza si è molto discusso sulla possibilità di configurare o meno lo stato di bisogno di trovare un alloggio da abitare, in relazione alla condizione di indigenza economica, come ipotesi di stato di necessità e quindi considerare come non antigiuridica (scriminata) l’occupazione abusiva di un immobile (privato o pubblico che sia) quando tale condotta è determinata dai fattori appena enunciati.
La condotta di chi occupa abusivamente un immobile configura la fattispecie disciplinata all’art. 633 c.p. che punisce il reato di invasione di terreni ed edifici. In particolare al primo comma, la norma recita: “Chiunque, invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 103 euro a 1.032 euro”. Orbene, secondo tale disposto, la condotta materiale si realizza tramite l’invasione arbitraria di un terreno o un edificio altrui finalizzata all’occupazione o a trarne profitto in altro modo. Si pensi ad una ragazza madre con due figli che abbia perso i genitori, priva di un immobile dove abitare e senza fonti di reddito che, presa dalla disperazione per la propria condizione socio-economica e soprattutto disperata per le sorti dei due bambini, occupi abusivamente un appartamento per la residenza popolare, non abitato e non destinato ad attività di lucro, come la locazione, perché privo dei servizi essenziali. Da una prima analisi si sarebbe portati a scriminare tale condotta facendo richiamo allo stato di necessità ex art. 54 c.p.
Orbene, come noto, l’esigenza abitativa anche se determinata da uno stato di indigenza economica non può assurgere a stato di necessità perché quest’ultima è calibrata su specifici limiti: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. In altre parole, lo stato di necessità postula l’immanenza di un pericolo dal quale è molto probabile che si verifichi un grave danno alla persona, intesa nella sua sfera psico-fisica, che non deve dipendere dalla propria volontà ma da fattori esterni costrittivi, a tal punto da non poter essere evitato. Ne consegue che il bisogno abitativo, corroborato dallo stato di indigenza economica, esula da tale schema perché evitabile. Infatti, tale bisogno può essere fronteggiato rivolgendosi al c.d. sistema welfare il quale, prevede sostegno materiale e socio-economico per le persone indigenti. In definitiva, venendo meno l’immanenza del pericolo e l’inevitabilità dello stesso, viene meno lo stato di necessità che può elidere l’antigiuridicità della condotta.
Non vi è dubbio però, che all’esempio casistico sopra riportato possa essere applicata la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., sia in astratto perché si rispetta il limite minimo di pena non superiore a 2 anni (l’invasione di terreni ed edifici prevede una pena nel minimo pari ad anni 1 di reclusione), sia in concreto perché tenue è l’offesa a fronte della valutazione degli elementi previsti dall’art. 133 c.p. con particolare riferimento alla capacità a delinquere.
Il punto, allora, non è come il sistema penale reagisce a fronte di condotte rilevanti ma lievemente offensive, come l’esempio sopra richiamato, perché è chiaro che la causa di non punibilità possa spiegare effetti in tale ipotesi (quando si rientri nel limite di pena previsto e non vi siano altre preclusioni predeterminate). Ci si deve, infatti, interrogare se si possa intervenire o meno e in che modo, sul piano della tipicità.

2. L’occupazione rilevante per la configurazione del reato: la tipicità

Non vi è dubbio che rientra tra i poteri del proprietario anche quello di non fare uso della cosa oggetto del diritto di proprietà (perpetuità e imprescrittibilità) e dunque non vi è parimenti dubbio sul fatto che bisogna possedere un titolo idoneo per far uso di una cosa oggetto di proprietà altrui. Delineare i confini di tali istituti risulta di grande importanza perché il diritto penale abbraccia, inevitabilmente, anche norme extrapenali le quali, incidono sulla struttura del reato, si pensi alla nozione di possesso nel reato di furto. Orbene, proprio tale esempio ci è utile per carpire meglio il rapporto che vi è tra tali tipologie di norme e il diritto penale. Come noto, il possesso che rileva a fini penalistici è inteso in un significato più ampio rispetto al significato di matrice civilistica. Infatti, integra il reato di furto anche la mera detenzione. Ma, l’area di significato di un istituto extrapenale deve comunque relazionarsi con la specificità del caso concreto che a sua volta deve essere inquadrato nella fattispecie astratta tipizzata dal legislatore, nel rispetto dei principi di legalità, materialità ed offensività.
Orbene, il possesso disciplinato nell’art. 633 c.p. non pare aderire al tipo di possesso previsto nel caso del reato di furto. L’art. 624 c.p. così recita: “Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri…”. E’ evidente che, riferendosi il possesso ad una cosa mobile, mantenendo le norme civilistiche come base giuridica, nel reato di furto il possesso è punibile solo quando è espletato al fine di trarne profitto. Il profitto, in tale caso, come affermato da costante giurisprudenza, non è inteso esclusivamente come profitto economico ma, si traduce nel concetto di vantaggio il quale, può essere anche di tipo non patrimoniale. La stessa nozione di profitto la si rinviene nel più grave reato di rapina ex art. 628 c.p. Nella fattispecie che punisce l’invasione di terreni o di edifici, invece, il possesso si verifica tramite l’occupazione e non indica l’azione ma il fine dell’azione poiché la condotta materiale è costituita, per l’appunto, dall’invasione che diventa punibile solo se effettuata al fine di occupare o di trarne altrimenti profitto. Quest’ultima locuzione, o di trarne altrimenti profitto, deve essere letta in relazione all’occupazione poiché non vi è autonomia concettuale e tale conclusione la si ricava dall’avverbio altrimenti. In altre parole, l’occupazione è da intendersi essa stessa profittevole per essere rilevante e allo stesso tempo l’invasione risulta punibile anche quando non sia effettuata al fine di occupare ma, ad altri fini parimenti profittevoli come l’occupare. A fronte di tale quadro, allora, si evince che il fine di occupare deve essere vagliato in concreto per accertare l’ulteriore fine profittevole. Non è sufficiente, infatti, a fronte del principio di materialità e del principio di offensività, ritenere l’occupazione già per essa stessa profittevole, si deve cioè ricercare un quid pluris, desumibile dall’analisi del caso concreto. Tornando all’esempio sopra esposto, allora, non è propriamente corretto ritenere realizzata la tipicità solo a fronte dell’accertamento dell’invasione abusiva di un edificio al fine di occuparlo. Bisogna, invece, ricercare quel, se pure minimo, vantaggio ottenibile dall’occupazione. Si pensi ad una donna che per scappare alla furia violenta di suo marito, abbandoni di notte la propria abitazione e non avendo un aiuto materiale nell’imminenza della situazione, trovi rifugio in un edificio che abbia le caratteristiche sopra descritte e ivi rimanga per una settimana per poi rilasciarlo spontaneamente. In tale contesto, ciò che si verifica è l’invasione e tale è la risultanza della condotta materiale posta in essere dalla signora, che sicuramente risulta abusiva perché avvenuta contra ius, ma può dirsi essersi configurato anche il fine di occupare l’edificio per trarne un vantaggio? Sul presupposto della durata dell’occupazione che è pari ad una settimana, si deve escludere lo stato di necessità perché viene meno il requisito dell’immanenza del pericolo e l’evitabilità dello stesso. Infatti, la signora, ben poteva rivolgersi alle forze di polizia e comunque trovare una soluzione diversa. Ad avviso di chi scrive, la condotta posta in essere, in quel contesto spazio-temporale, se pure può essere configurata nella tipicità del reato di invasione di terreni o edifici in quanto, l’invasione abusiva è avvenuta, non rientra nella fattispecie poiché, l’invasione suddetta è avvenuta tramite l’occupare l’edificio al fine di rifugio, in assenza di vantaggi ulteriori. Infatti, l’occupazione che rileva, come si è già accennato, non integra la condotta materiale ma, il dolo specifico che se pure non attiene alla tipicità, attiene alla colpevolezza. Ecco allora che, l’occupare non rileva semplicemente dal punto di vista oggettivo-materiale ma, rileva come elemento soggettivo che, può essere sicuramente presunto dal fatto materiale dell’occupazione avvenuta ma, che, proprio in quanto si tratta di presunzione, può essere eliso dall’analisi del caso concreto.  

3. Conclusione

Come noto, fatta eccezione per l’impostazione della teoria quadripartita, il piano della punibilità esula dalla struttura del reato ed attiene a valutazioni esterne, per lo più determinate da fattori opportunistici di politica criminale. Agire nell’area della struttura del reato, invece, comporta il venir meno dello stesso con effetti più coerenti con il principio della tutela della libertà personale, garantita a sua volta dai principi cardine del diritto penale: legalità, tipicità, materialità, offensività. Ne consegue che, ragionando sullo schema del reato di invasione di terreni o edifici, non si può prescindere dalla valutazione effettiva di tutti gli elementi che lo compongono e che, pertanto, si devono configurare. Ne consegue che, anche attraverso presunzioni, il dolo specifico deve essere provato. In definitiva, il fine di occupare ben può essere presunto dall’occupazione materiale avvenuta a seguito della condotta di invasione ma, bene può essere eliso dall’analisi del caso concreto in base alla presenza o meno di diversi ed ulteriori elementi che possono minarne l’effettività e tale può essere il bisogno\fine di rifugio.

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Francesca Fuscaldo

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