Mai come in questo periodo l’attenzione al tema della pubblicità ingannevole, la sua qualificazione e la tutela del consumatore hanno assunto un carattere di attualità non solo per quanto attiene l’interesse della dottrina e della giurisprudenza ma anche per quanto riguarda l’impatto del tema sull’opinione pubblica. È interessante osservare come l’evoluzione della pubblicità ingannevole si annidi in ambiti sempre più sensibili come, per esempio, l’ambiente. Sul punto, tra gli altri contributi giurisprudenziali, è intervenuto, in tempi recenti, il Tribunale distrettuale di Amsterdam contro il colosso del trasporto aereo Air France -KLM.
Indice
1. La qualificazione del Greenwashing
Per quanto sia un tema che ha una genesi piuttosto recente, il greenwashing è stato al centro di grande attenzione nel tentativo di fornirne una definizione congruente ed adeguata. In estrema sintesi possiamo definirlo come una sorta di ambientalismo di facciata con il quale le imprese, a più livelli, cercano di fornire una immagine di sé maggiormente sostenibile e maggiormente corrispondente alla percezione di cosa sia correttamente sostenibile, per il consumatore.
Sostanzialmente la preoccupazione risiede nei meccanismi di comunicazione scelti che inducono il consumatore a preferire un marchio in luogo di un altro in base alla percezione di una maggiore attenzione a politiche maggiormente green e sostenibili.
La centralità del tema, dunque, risiede nella percezione del consumatore rispetto a determinate scelte di comunicazione e l’interrogativo è se queste scelte possano o meno qualificarsi come ingannevoli.
2. La direttiva 2024/825
In materia, il nodo normativo è rappresentato dalla direttiva europea 2024/825, che, come è di tutta evidenza, rappresenta un intervento normativo recentissimo.
Si tratta di una direttiva che va a modificare quanto contenuto nelle direttive 2005/29 e 2011/83 nell’ambito delle quali si fa riferimento al tema, piuttosto complesso, delle procedure e delle prassi per rendere i consumatori responsabili e consapevoli nell’ambito delle transazioni commerciali. Le direttive in parola avevano al loro centro la tutela dalle pratiche di informazione sleale.
In particolar modo la normativa si centra sui meccanismi volti a garantire che l’etichettatura dei prodotti non contenga indicazioni ingannevoli e, specificamente per quanto attiene la nostra attenzione, queste indicazioni non portino il consumatore a ritenere, in modo mendace, che il prodotto in questione sia maggiormente durevole nel tempo o maggiormente sostenibile rispetto ai prodotti dei competitors del settore.
Sostanzialmente, in questo modo, si cerca proprio di evitare il fenomeno del Greenwashing, ovvero quello che viene indicato come ambientalismo di facciata.
Questo approccio normativo comunitario che possiamo considerare come nuovo ed innovativo, poiché focalizza l’attenzione su sfumature fino ad ora poco considerate, non può essere considerato come risolutivo della problematica ma rappresenta l’inizio di un percorso che la UE ha deciso di intraprendere, in modo significativo, nell’ambito di quelli che sono i pacchetti sull’economia circolare, ovvero quell’insieme di interventi che mirano ad implementare l’economia circolare e la sostenibilità.
Per quanto riguarda la normativa nazionale, in ogni caso, non possiamo non fare riferimento al Decreto Legislativo n.145 del 2007, atuativo della Direttiva n.29 del 2005, che, all’articolo 2 lettera a, prova a fornire una definizione precisa di cosa debba essere inteso come pubblicità e precisa come “essa risponda ad una “qualsiasi forma di messaggio diffusa nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o servizi oppure la costituzione ed il trasferimento di diritti ed obblighi su di essa”.
Sotto il profilo normativo, in ogni caso, si auspicano nuovi interventi, tra cui uno di quelli più attesi dovrebbe essere rappresentato da una nuova direttiva sulle dichiarazioni ecologiche grazie alla quale si dovrebbe giungere ad una tipizzazione ancora più puntuale di quelli che sono i requisiti e le caratteristiche delle dichiarazioni ambientali ed in materia di sostenibilità, per quanto attiene i produttori.
In particolar modo, inoltre, la direttiva, si focalizza sul tema dell’obsolescenza precoce dei beni e sulle relative dichiarazioni di sostenibilità ambientale.
L’obiettivo è quello di render l’etichettatura più chiara e affidabile rendendo vietate indicazioni generiche e che possono indurre a ritenere un prodotto maggiormente sostenibile senza un reale riscontro, come può essere la generica indicazione “eco”, “naturale”, e così via.
Accanto a questo si aggiunge la necessita di utilizzare sistemi di certificazione comprovati laddove si sostenga di produrre in modo sostenibile, fornendo, all’uopo, indicazioni concrete al riguardo sull’effettivo impatto, in positivo, del meccanismo produttivo.
Un tema particolarmente significativo, all’interno della direttiva, è quello che riguardo gli offset, ovvero i sistemi di compensazione dell’emissioni e il meccanismo di comunicazione mediante il quale si tende a far percepire l’impatto degli stessi come maggiormente positivo sull’ambiente.
Come avremo modo di vedere anche in seguito, infatti, molta attenzione hanno le comunicazioni sull’emissioni di carbonio e la presunta riduzione delle stesse, in particolar modo per quanto riguarda le compagnie aeree.
3. Il pronunciamento della Corte Olandese
La sentenza del Tribunale di Amsterdam non è la prima in materia ma assume una significativa rilevanza, dopo la tipizzazione della direttiva 2024/825 poiché è la dimostrazione che la strada intrapresa, normativamente, sta iniziando a portare i frutti sperati.
Sul punto, ad esempio, era intervenuto, nel 2022, il Tribunale di Gorizia con un’ordinanza del 25 novembre 2021, nell’ambito di un procedimento di urgenza, che rappresenta il primo significativo pronunciamento in materia di Greenwashing.
Nel 2022, infatti, è stata sottoposta all’attenzione della corte olandese una controversia tra una associazione di cittadini patrocinata da una ONG britannica ed il colosso dei trasposti franco olandese KLM- Air France.
Nello specifico, l’associazione asseriva che la compagnia aerea avesse portato avanti un meccanismo di comunicazione pubblicitario mediante il quale si ambiva a fornire una immagine maggiormente sostenibile del proprio trasporto aereo, con la denominazione “fly responsibly”.
La controversia vede protagonista uno dei maggiori vettori di trasporto aereo a livello mondiale che, proprio per mantenere alta la sua reputazione in un momento in cui si è iniziata a registrare alta l’attenzione e la sensibilità sul tema delle emissioni, ha iniziato a pensare a come mitigare il ritorno di immagine del dato che la vedeva assestata intorno al 2% circa delle emissioni, a livello globale, di gas serra. Proprio alla lice di questo, la compagnia ha iniziato a pubblicizzare il programma “Sustainable Aviation Fuel and reforestation”.
La campagna pubblicitaria si è rivelata, in concreto, non corrispondente alla realtà e forniva una versione più sostenibile delle attività della compagnia e, secondo la Corte Olandese, aveva la funzione di ingannare i consumatori, inducendoli a continuare a scegliere la compagnia anche per il suo approccio maggiormente sostenibile.
Sostanzialmente KLM aveva iniziato una campagna di comunicazione volta a far percepire ai consumatori che i carburanti utilizzati fossero meno inquinanti, senza un concreto ed effettivo riscontro scientifico ma, inducendo, in questo modo, il consumatore, soprattutto quello più attento alla sostenibilità, a ritenere l’operato della compagnia aerea più green e quindi più affidabile.
Secondo la Corte Olandese, le affermazioni di KLM-Air France quanto espresso nel programma Sustainable Aviation Fuel and reforestation rappresenta un meccanismo di comunicazione distorsivo poiché le informazioni in esso contenute ed i dati riportati sono ingannevoli e illegittimi.
4. Le possibili prospettive
Per quanto la strada, in materia, appaia ancora lunga e piena di aspetti da approfondire, quello che emerge da una lettura congiunta del pronunciamento della Corte di Amsterdm e della direttiva 2024/825, è che le aziende non potranno più fare ricorso a meccanismi di comunicazione nell’ambito dei quali si utilizzano dati non verificati e verificabili che dovranno essere, invece, sottoposti ad una apposita verifica preliminare.
Si tratta di un approccio che pur se non risolutivo può segnare già uno spartiacque significativo per quello che attiene la comunicazione e la percezione della stessa da parte del consumatore, tenendo conto che, come è di tutta evidenza ed attualità, la tutela del consumatore, in questi termini, è piena di sfumature e ambiti ancora controversi.
Vuoi ricevere aggiornamenti costanti?
Salva questa pagina nella tua Area riservata di Diritto.it e riceverai le notifiche per tutte le pubblicazioni in materia. Inoltre, con le nostre Newsletter riceverai settimanalmente tutte le novità normative e giurisprudenziali!
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento