Un ulteriore spunto di riflessione sulla riforma del premierato. A seguito delle recenti elezioni europee il Presidente della repubblica francese Macron, di fronte ad una chiara debacle del suo partito, ha deciso di sciogliere l’Assemblea Nazionale e indire nuove elezioni per i prossimi 30 giugno e 7 luglio. Già in precedenza vi era stato un rallentamento della politica governativa dovuta anche alle forti proteste dapprima per il varo della riforma pensionistica e poi a causa degli scontri di piazza per l’assassinio di un giovane da parte della Polizia, determinando un vulnus alla democrazia francese. Tale decisione, che comunque costituisce una scelta coraggiosa e temeraria da parte del Presidente francese, può anche rappresentare lo stimolo per una più approfondita riflessione sull’efficacia stabilizzante della riforma del premierato che l’attuale governo si appresta ad approvare in Italia.
Indice
1. I principali risultati delle elezioni europee
Il parlamento dell’Unione Europea dopo le elezioni 2024 sarà composto da 720 membri (erano 751 la scorsa legislatura, scesi poi a 705 con l’uscita del Regno Unito). Si tratta dell’istituzione che rappresenta i quasi 450 milioni di cittadini europei e gli europarlamentari al suo interno si dividono non su scala nazionale, ma in base a sette gruppi politici a cui i singoli partiti nazionali aderiscono. Storicamente, la maggioranza assoluta è sempre stata del partito popolare (Epp) e dei socialdemocratici (S&D), ma nel 2019 per nominare presidente della Commissione Ursula von der Leyen furono necessari anche i voti dei liberali e di altre delegazioni che votarono in autonomia dal proprio eurogruppo, come il M5S e il Pis polacco. I gruppi che possono essere considerati euroscettici sono due: i Conservatori e Identità e democrazia.[1]
Vi è un primo dato che va sottolineato e cioè quello relativo all’affluenza del 49,68%; il che significa che per la prima volta più di un avente diritto su due non ha votato. Alle Europee del 2019 invece aveva votato il 56,09% degli elettori.
La tornata elettorale in Europa certifica l’ascesa delle forze politiche di destra estreme ma, allo stesso tempo, premia i Popolari. Inoltre, evidenzia una lieve la perdita dei Socialisti, con un netto calo, invece, dei liberali e dei Verdi.[2]
Anche in Austria vince la formazione di estrema destra “Partito della Libertà” (Fpo) con il 25,5% dei voti, diventando per la prima volta la forza politica più importante nel Paese alpino.
In Germania, invece, i popolari dell’’Unione CDU/CSU, comprendente i partiti gemelli “Unione Cristiano-Democratica di Germania” (CDU) e “Unione Cristiano-Sociale in Baviera” (CSU), appartenenti all’area di Centro-destra risultano il primo partito, mentre, “Alternativa per la Germania” (Afd) di estrema destra diviene la seconda forza politica e sorpassa il “Partito Socialdemocratico di Germania” (Spd).
In Francia, poi, Marine Le Pen stravince con il suo “Rassemblement National” e il presidente Emmanuel Macron, con un provvedimento coraggioso e temerario, ha decretato lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e convocato nuove elezioni in Francia il 30 giugno e il 7 luglio di quest’anno.
Anche Alexandre De Croo, capo del governo belga, ha annunciato le sue dimissioni, alla luce dei risultati delle elezioni legislative nazionali, mentre il “Partito della Libertà d’Austria” (Fpo) si è aggiudicato la vittoria alle elezioni europee in Austria. Questi risultati confermano il peso politico dell’Fpo in Austria e il suo ruolo di forza di opposizione al governo di centrodestra guidato dal “Partito Popolare Austriaco” (Ovp).
Invece, nei Paesi Bassi l’alleanza dei “Laburisti-Verdi” guidata da Frans Timmermans vince le elezioni e batte l’estrema destra di Geert Wilders, mentre in Spagna il “Partito Popolare” si impone con 22 seggi, davanti al “Partito Socialista Operaio Spagnolo” (Psoe) che ne ottiene 20; risulta la terza forza il partito di estrema destra “Vox” con 6 eletti.
In sostanza si può affermare che in Europa si è assistito ad unagrande avanzata delle destre, ma con la probabile tenuta del vecchio asse popolar-socialista-liberale nel governo dell’Ue.
In Italia, invece, vi è stato un evidente successo della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, cui corrisponde un’affermazione del Pd tale da porre le basi per un nuovo, possibile bipolarismo.[3]
Infatti, il partito di Fratelli d’Italia va ben oltre l’obiettivo minimo di confermare il dato delle elezioni politiche del settembre 2022 (il 26%), contiene benissimo la concorrenza da destra mossagli da Salvini con la candidatura del generale Vannaccie si dimostra il più in forma tra tutti i partiti-leader di ciascun Paese europeo.
Secondo alcuni osservatori, tuttavia, la premier italiana dovrà scegliere se coltivare un’intesa con le destre a lei affini come quella di Marine Le Pen, che tra poco più un mese potrebbe guidare la Francia o cedere al richiamo dell’establishment europeo incarnato dal Partito popolare, che la stessa continua a guardare con interesse.
È però in Italia che il primo ministro italiano è atteso alle prime scelte definitive: davvero il partito della Nazione, alle soglie del 30%, avallerà un decentramento spinto come quello che implica l’autonomia regionale cara alla Lega, ormai sotto il 10% e quali saranno i riflessi sulla riforma del premierato in via di approvazione?
2. Lo scioglimento dell’assemblea nazionale in Francia
Ma è proprio in Francia che si è avuto lo scossone politico più rilevante. Infatti, dopo l’uscita degli exit poll delle elezioni europee, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che scioglierà l’Assemblea nazionale, la camera bassa del parlamento francese, e convocherà le elezioni legislative anticipate: il 30 giugno si terrà il primo turno e il 7 luglio il secondo, come già detto.[4]
Macron ha preso questa decisione dopo che le prime rilevazioni hanno dato in ampio vantaggio “Rassemblement National” (RN), il partito di estrema destra di Marine Le Pen e Jordan Bardella che, che ha preso circa il 31,5 per cento dei voti. Invece il partito di Macron, “Renaissance”, ha conseguito solo il 15,2 per cento dei consensi. Pertanto, prima di annunciare le date delle nuove elezioni il presidente ha dichiarato testualmente che “Non posso quindi, alla fine di questa giornata, far finta che non sia successo nulla”. Macron ha anche affermato che la decisione di sciogliere l’Assemblea Nazionale e di tornare al voto è “grave, pesante, ma è soprattutto un atto di fiducia. Fiducia in voi, miei cari connazionali, nella capacità del popolo francese di fare la scelta più giusta per sé e per le generazioni future. Fiducia nella nostra democrazia. In Francia, i rappresentanti dell’estrema destra hanno raggiunto il 40 per cento dei voti espressi. È una situazione alla quale non posso rassegnarmi”.
Per sciogliere l’Assemblea e convocare elezioni così velocemente Macron, che nel frattempo ha riunito il suo gabinetto di governo, ha utilizzato l’articolo 12 della Costituzione, secondo cui il presidente della Repubblica può sciogliere l’Assemblea dopo aver consultato il primo ministro e i presidenti dell’Assemblea e del Senato: le elezioni si devono tenere almeno dopo venti giorni e almeno entro quaranta. I deputati e le deputate della nuova Assemblea nazionale dovrebbero restare in carica per i prossimi cinque anni, fino al 2029, ma è molto probabile che chiunque vincerà le elezioni presidenziali del 2027 scioglierà a sua volta l’Assemblea.
La situazione si è ulteriormente complicata in quanto il capo dei neogollisti Eric Ciotti ha deciso di stringere un accordo elettorale con il “Rassemblement National”, sconfessato poi dal suo partito e provocando ulteriori polemiche.
Per cercare di comprendere meglio la decisione del presidente francese si ritiene opportuno soffermarsi brevemente sulla forma di governo della V Repubblica.[8][8] Come noto, l’elezione popolare del Presidente della Repubblica francese esalta l’uso dei poteri propri del Capo dello Stato, tra i quali assumono particolare rilievo la nomina del primo ministro, il ricorso al referendum legislativo, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale (come nel caso in esame), l’assunzione dei “poteri di crisi”, nell’ipotesi di grave e immediata minaccia e di interruzione del regolare funzionamento dei poteri costituzionali.[6]
L’Assemblea nazionale è la Camera che dà la fiducia al governo ed è composta da 577 deputati. La maggioranza assoluta è pari a 289 seggi, maggioranza che Macron ha già perso alle legislative del 2022. Se le prossime elezioni rifletteranno l’ottimo risultato dell’estrema destra si avrebbero un presidente e un capo del governo di partiti diversi. Questa situazione si è già verificata in passato: è la cosiddetta “cohabitation”. L’ultima è stata tra il 1997 e il 2002, quando il presidente era Jacques Chirac, leader del centrodestra, e il primo ministro era Lionel Jospin, capo del Partito Socialista. In questa situazione i poteri del presidente della Repubblica sarebbero molto limitati e non gli consentirebbero di portare avanti il proprio programma al punto, secondo alcuni autori, da rendere la Francia non più una repubblica semi-presidenziale, ma una repubblica parlamentare.
Il potere esecutivo è dualistico, in quanto accanto al Presidente vi è il governo che “determina e dirige la politica nazionale” e il primo ministro che “dirige l’azione del governo”.
Quando il Capo dello Stato può contare su una maggioranza all’interno dell’Assemblea Nazionale, questi dirige il governo compiendo le grandi scelte politiche. Il primo ministro in questo caso viene definito dalla dottrina come “un comandante in seconda” che compie le scelte politiche quotidiane, dirigendo e coordinando l’attività dei ministeri. Inoltre, egli copre politicamente l’irresponsabilità del Presidente, costituzionalmente riconosciuta, residuando quale unica ipotesi di responsabilità quella che può determinare la destituzione del Capo dello Stato da parte del Parlamento costituito in alta Corte “nell’ipotesi di mancanza ai suoi doveri manifestamente incompatibile con l’esercizio del suo mandato”.[7]
La situazione cambia radicalmente quando il Presidente deve “coabitare” con la maggioranza di un’assemblea neoeletta di opposto orientamento politico come si è verificato per tre periodi nel corso della V Repubblica e come potrebbe verificarsi dopo le prossime elezioni. In tale ipotesi, egli nomina un primo ministro esponente della maggioranza parlamentare, il quale dirige effettivamente la politica del governo. Il Presidente ne esce ridimensionato senza tuttavia ridursi ad un Capo di Stato parlamentare, in quanto continua a svolgere un ruolo politicamente attivo nei settori della politica estera e della difesa, può rifiutarsi di firmare gli atti regolamentari deliberati nel consiglio dei ministri e può deferire al Consiglio Costituzionale le leggi approvate dalla maggioranza prima della promulgazione.
Le precedenti elezioni legislative in Francia si sono tenute il 12 giugno del 2022 per il primo turno di votazione; il secondo turno ha avuto luogo il 19 giugno. Le elezioni si sono svolte dopo la riconferma del Presidente della Repubblica Emmanuel Macron, avvenuta alle elezioni presidenziali svoltesi in aprile.
Ma un vulnus alla stabilità dell’esecutivo si è avuto con la seconda tornata delle elezioni legislative francesi che ha decretato la fine del c.d. “fait majoritaire” e ha aperto una nuova fase della V Repubblica.[8]
In un’Assemblea Nazionale estremamente frammentata, l’attuale presidente ha ottenuto la maggioranza relativa, ma quasi quaranta seggi lo separano dalla maggioranza assoluta, mentre i due principali partiti di opposizione considerati estremi (a destra e a sinistra) entrano in forza nelle sale del Palais Bourbon, con delegazioni nemmeno immaginabili sino a pochi anni fa. Il Rassemblement National di Marine Le Pen ha conquistato 89 seggi (contro gli 8 precedenti), mentre La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon ha conseguito nell’Assemblea Nazionale 75 deputati (a fronte dei 17 uscenti).
Ma a complicare il quadro c’è da considerare che la maggioranza relativa dei seggi non è stata ottenuta dal partito di riferimento di Emmanuel Macron (La République en marche), ma da una coalizione di tre forze.
Nessuno dubita, quindi, che la posizione di Macron, già dopo le elezioni del 2022, sia divenuta forse più difficile dei suoi predecessori che dovettero subire la “coabitazione”. In effetti, un Presidente in “coabitazione” può giocare la carta del “contropotere”, ergersi a capo dell’opposizione e rallentare le iniziative dell’avversa maggioranza più distanti dal suo orientamento. Per converso, un Presidente “minoritario” ha un potere limitato di incidere sull’indirizzo politico che gli proviene dall’essere il capo della maggioranza, né l’autorità per contrastare iniziative non gradite.
In altri termini, si potrebbe affermare, non del tutto impropriamente, che in Francia si sia già verificata un’ipotesi di “coabitazione” attenuata in cui il Presidente Macron si è trovato a fare i conti con una maggioranza risicata sia nell’assemblea Nazionale che nel Senato, che di fatto indebolisce l’esecutivo e lo costringe a negoziare le sue politiche con singoli parlamentari. Le successive elezioni europee hanno confermato tale tendenza.
3. Conclusioni
La Francia e il suo “semi-presidenzialismo” sono stati sempre guardati da un’ampia e trasversale corrente riformistica (da ultimo l’attuale governo italiano) come un’evoluzione cui tendere in astratto, senza però che ci si interrogasse sul concreto funzionamento delle istituzioni e delle politiche di governo.
Si rileva in primo luogo che la forma di governo semipresidenziale, oltre a produrre un conflitto tra le due teste del potere esecutivo, Presidente e Capo del governo, può sommare i difetti dei sistemi presidenziali (rigidità dei rapporti tra i poteri e governo diviso) con quelli dei sistemi parlamentari (instabilità delle coalizioni di governo).[9]
La vicenda francese dovrebbe indurre l’attuale governo italiano ad una più approfondita riflessione sulla riforma del premierato che intende adottare. Tale riforma, in primo luogo, sminuirebbe la figura di garanzia costituita dal Presidente della Repubblica, il quale, nel nostro sistema, è capace di influenzare i processi politici; mancherebbe, perciò, la sua posizione super partes di rappresentante dell’unità nazionale. [10]
Il disegno di legge costituzionale sul c.d. premierato è stato approvato dal Consiglio dei ministri in data 3 novembre 2023, ma ha già subito numerose modifiche e attualmente è all’esame del Senato della Repubblica.
Lo stesso disegno di legge prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio da parte degli elettori per cinque anni contestualmente al Parlamento e, inevitabilmente, indebolisce la figura del Presidente della Repubblica, che dovrà necessariamente nominare il premier scelto dai cittadini; inoltre, lo stesso potrà proporre al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei ministri e dovrà chiedere entro dieci giorni la fiducia alle Camere; nel caso non la otterrà potrà ripresentarsi solo una volta, facoltà che attualmente non è prevista.
Nell’ultima formulazione del provvedimento è prevista una norma c.d. “antiribaltone” solo in caso di dimissioni volontarie del Presidente del consiglio, il quale può attivare la richiesta di scioglimento entro sette giorni. In caso contrario il Capo dello Stato può conferire l’incarico, una sola volta nel corso della legislatura, a un parlamentare della maggioranza di governo. In tal modo, si consentirebbe ai parlamentari di sostituire il capo del governo, senza però modificare la conformazione della maggioranza parlamentare per evitare cambi di maggioranza in corso di legislatura, anche mediante governi tecnici.
Nel caso invece di una mozione di sfiducia ad hocai sensi dell’art. 94 della Costituzione su un singolo provvedimento normativo, si dovrà tornare al voto nel rispetto del principio simul stabunt simul cadent.
Il mandato del premier non potrà durare per più di due legislature; è previsto un ulteriore terzo mandato solo se nelle due precedenti legislature abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore ai sette anni e sei mesi.
E’ possibile anche lo scioglimento negli ultimi sei mesi del mandato del Presidente della Repubblica (c.d. semestre bianco) nel caso in cui lo scioglimento costituisca un atto dovuto secondo la riforma costituzionale.
Cambia, inoltre, il sistema di elezione dello stesso Presidente in quanto l’elezione a maggioranza assoluta è possibile dopo sei scrutini e non più dopo tre e decade anche il meccanismo della controfirma ministeriale degli atti del Presidente.
Il Presidente della Repubblica, poi, non potrà più nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico artistico e letterario; tuttavia, restano in carica gli ex Presidenti della Repubblica.
Infine, viene istituito un sistema elettorale probabilmente a turno unico con un premio di maggioranza e con una soglia minima che saranno definite dalla legge elettorale ordinaria, mentre nel disegno di legge originario era previsto un premio di maggioranza del 55% con una soglia minima del 40%.
Secondo taluni autori il “premierato forte” potrebbe essere in contraddizione con la democrazia partecipativa, definita dall’attuale Costituzione. La sovranità, secondo i padri costituenti, non deriva dal popolo ma gli appartiene, e continua ad appartenergli, non trasferendosi con l’elezione. Nella democrazia italiana non ci sarebbe, quindi, il trasferimento della sovranità, ma il suo esercizio da parte del popolo anche attraverso i suoi rappresentanti.
D’altro canto, l’elezione diretta del Primo ministro potrebbe garantire che questi sia scelto dai cittadini, rappresentando, dunque, la Nazione, anziché i partiti. Rispetto alla forma parlamentare, questo sistema potrebbe avere maggiore connotazione rappresentativa.
Si potrebbe sostenere anche che un rapporto diretto tra Presidente del Consiglio ed elettori, potrebbe garantire identificabilità e responsabilità dell’eletto il quale sarà responsabile della sua politica. Ciò darebbe la possibilità di esercitare il diritto di voto in modo consapevole e razionale.
In questo senso il premier eletto dal popolo potrebbe garantire una maggiore governabilità attraverso un rafforzamento delle competenze e dei poteri di chi governa in quanto vi sarebbe un rapporto diretto tra persona e istituzione. In Italia un modello analogo di questo tipo è quello del Sindaco nelle elezioni comunali che costituisce un soggetto vicino al popolo e direttamente controllabile nelle sue iniziative.
Tuttavia, si ritiene anche che la forma di governo parlamentare prevista nella nostra Costituzione potrebbe rientrare tra i punti immodificabili della stessa. Infatti, se le Costituzioni sono sempre modificabili, non lo sono invece in ogni loro parte; il che significa che la revisione incontra dei limiti di contenuto. Si ritiene, pertanto, che la Costituzione includa dei limiti impliciti, a meno che la stessa Costituzione non dichiari espressamente che non c’è alcun limite al potere del Parlamento di modificare qualsiasi disposizione costituzionale, cosa che non avviene in Italia. Pur in assenza di previsioni espresse alcuni autori ritengono che la Costituzione non sia comunque emendabile nelle sue norme chiave, quelle cioè che contengono i principi di struttura dell’ordinamento, come potrebbe essere la forma di governo. E tale controllo, in caso di approvazione della legge in questione, sarebbe eventualmente di competenza della Corte costituzionale.[11]
Appare, poi, necessario che si addivenga ad una nuova legge elettorale di non facile attuazione. Infatti, mentre per la scelta della riforma del premierato non vi sono divergenze tra le forze politiche della coalizione di centro destra, diversamente potrebbe avvenire per un’eventuale riforma elettorale. Infatti, Fratelli d’Italia e la Lega sono fautori di un sistema maggioritario spinto che garantirebbe l’esigenza della governabilità, Forza Italia e le altre formazioni centriste aderenti alla coalizione potrebbero essere favorevoli ad un sistema più sfumato che potrebbe assicurare invece l’esigenza della rappresentatività.[12]
In conclusione, pur non ignorando le incognite di tale scelta normativa, che non esiste in alcuna nazione,[13] non si può disconoscere che il programma elettorale del centro destra a tale riguardo appare chiaro come obiettivo di fondo, molto meno nella sua definizione giuridico-istituzionale, e quindi gli elettori potranno scegliere liberamente e democraticamente sostenendo o meno con il proprio voto la riforma in senso presidenziale dal momento che, come quasi certamente si verificherà, la riforma sarà promulgata con una maggioranza inferiore ai due terzi dei parlamentari di ciascuna Camera e sarà necessario, quindi, un referendum costituzionale ai sensi dell’art. 138 della Costituzione.
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Note
- [1]
Redazione, Elezioni europee, in La Repubblica del 10 giugno 2024
- [2]
Redazione, Europee: in Francia stravince Le Pen, Cdu-csu prima in Germania, in Belgio lascia De Croo, in Sky tg 24 del 10 giugno 2024.
- [3]
L. Angelini e G. Mercuri, I risultati definitivi delle elezioni Europee 2024 in Italia, partito per partito, in Corriere della Sera del 10 giugno 2024.
- [4]
Redazione, In Francia ci saranno nuove elezioni legislative, in Il Post del 9 giugno 2024.
- [5]
P. Gentilucci, La fragile democrazia francese e il dibattito su presidenzialismo, in Diritto.it del 10 luglio 2023.
- [6]
G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 450 ss.
- [7]
G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Giappichelli, Torino, cit.
- [8]
A. Lauro, La fine di un mito: le elezioni legislative francesi del 2022, in laCostituzione.info del 25 giugno 2022.
- [9]
G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato cit. 2016, p. 449.
- [10]
P. Gentilucci, Il possibile presidenzialismo in Italia, in Altalex del 25 agosto 2022.
- [11]
P. Gentilucci, Il possibile presidenzialismo in Italia, cit.
- [12]
P. Gentilucci, Il sistema elettorale per le prossime elezioni politiche, in Diritto.it del 5 agosto 2022.
- [13]
Il sistema del premierato è stato realizzato solo da Israele negli anni dal 1992 al 2001 ed è stato poi abbandonato. Nel 1992 la Knesset adottò una legge elettorale che introduceva l’elezione diretta del primo ministro israeliano, per dare maggiore stabilità politica al Paese e frenare la frammentazione del voto. Tuttavia, il sistema fu mantenuto solo per tre tornate elettorali (1996, 1999 e 2001) prima di essere accantonato, poiché aveva portato gli elettori a continuare a votare partiti più piccoli e marginalifavorendo il voto disgiunto, non avendo previsto nessuna forma di collegamento tra il voto per il premier e quello per il parlamento ed essendo rimasta una legge elettorale di tipo proporzionale.
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