La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24739 del 21 giugno 2024, ha chiarito che la dichiarazione di domicilio ex art. 581, comma 1-ter, c.p.p. deve essere fatta personalmente dalla parte privata.
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Indice
1. I fatti
La Corte di appello di Lecce ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’imputata avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Lecce per violazione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. introdotto dal d.lgs. n. 150/2022 (Riforma Cartabia) applicabile a tutte le impugnazioni proposte avverso sentenze emesse dopo l’entrata in vigore dello stesso ai sensi del relativo art. 89, comma 3.
In particolare, la Corte territoriale ha rilevato la mancata allegazione dell’atto di appello dell’elezione di domicilio ad opera della parte privata appellante presentata dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
Avverso l’ordinanza in questione, è stato proposto ricorso per Cassazione dall’imputata affidato a tre motivi: 1) né la legge delega 27 settembre 2012, n. 134, all’art. 13, lett. a), né la norma attuativa del codice di procedura stabiliscono che la dichiarazione o l’elezione di domicilio debbano essere effettuate dalla parte direttamente e non per suo conto anche dal difensore; 2) non sembra esigibile che tale dichiarazione debba essere effettuata in foglio a parte rispetto all’atto di impugnazione; 3) l’ordinanza ha violato l’art. 16 del decreto legge n. 179/2012 convertito in legge n. 221/2022 nonché l’art. 148 cod. proc. pen., avendo in ogni caso l’avvocato indicato anche un domicilio legale digitale con PEC.
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Al volume è associata un’area online in cui verranno caricati i contenuti aggiuntivi legati alle eventuali novità e modifiche che interesseranno la riforma con l’entrata in vigore.Aggiornato ai decreti attuativi della Riforma Cartabia, pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2022, la presente opera procede ad una disamina della novella, articolo per articolo.Il Legislatore delegato è intervenuto in modo organico sulla disciplina processualpenalistica e quella penalistica, apportando considerevoli modificazioni nell’ottica di garantire un processo penale più efficace ed efficiente, anche attraverso meccanismi deflattivi e la digitalizzazione del sistema, oltre che ad essere rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato.La riforma prevede poi l’introduzione della giustizia riparativa, istituto in larga parte del tutto innovativo rispetto a quanto previsto in precedenza dall’ordinamento.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB). Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica http://diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.
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2. Dichiarazione di domicilio ex art. 581, comma 1-ter, c.p.p.: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, chiarisce che l’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. introdotto con la Riforma Cartabia e applicabile alle sentenza pronunciate dopo l’entrata in vigore della stessa, “prevede che con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata a pena di inammissibilità la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio“.
La previsione riguarda il caso in cui l’imputato abbia partecipato al giudizio di primo grado, dal momento che il comma 1-quater cod. proc. pen. riguarda la diversa situazione in cui l’imputato è stato, invece, giudicato in assenza, ragion per cui si richiede il rilascio di uno specifico mandato ad impugnare successivo alla pronuncia della sentenza.
La Corte specifica che entrambe le previsioni vanno poste in correlazione all’art. 157-ter, comma 3, cod. proc. pen., secondo cui “in caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse la notificazione dell’atto di citazione a giudizio è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter e 1-quater“.
La fattispecie considerata dalla Corte territoriale contempla la presenza di un atto di appello contenete la dichiarazione di domicilio e l’indicazione di indirizzi PEC, sia del difensore che dell’imputata, eseguite dal difensore e non dalla appellante e contenute nel corpo dello stesso atto di gravame.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto ostativa all’ammissibilità la mancata allegazione all’atto di impugnazione dell’elezione di domicilio ad opera della parte privata appellante presentata dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
Ratio delle norme in questione è sicuramente quella di assicurare celerità ed efficienza al processo, individuando con sicurezza il luogo di notifica.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione rammenta un consolidato principio di diritto secondo il quale “nel caso di imputato non processato in absentia, la dichiarazione o l’elezione di domicilio richieste ex art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., possono essere effettuate anche nel corso del procedimento di primo grado, e non necessariamente in un momento successivo alla pronuncia della sentenza impugnata, a condizione che siano depositate unitamente all’atto di appello, atteso che la contraria interpretazione ostacolerebbe indebitamente l’accesso al giudizio di impugnazione, in violazione dei diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti“.
Ad avviso della Suprema Corte, ciò che conta è che la dichiarazione deve corrispondere alla situazione effettiva e questo implica che essa debba essere eseguita personalmente dalla parte privata.
Viene chiarito che la norma non intende limitare il diritto di difesa e “si risolve nella definizione di una modalità strutturale dell’atto d’impugnazione, che non implica un adempimento irragionevole e inutile, in quanto volto, semmai, a rafforzare il rispetto delle garanzie senza un aggravio intollerabile e tale da costituire di fatto una limitazione nell’esercizio delle facoltà difensive“
Per questi motivi, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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