Fenomenologia di uno spettro penale: il fantasmatico concetto di “reato-spia”

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Reato-spia: il bel libro di Richard Boyd e Thomas Kuhn, “La metafora nella scienza”, edito da Feltrinelli nel 1977, contiene un’ampia e articolata riflessione relativa ai rapporti intercorrenti tra il linguaggio metaforico-figurativo e l’impiego che ne viene fatto dagli scienziati per cogliere, delimitare, sfumare gli oggetti teorici da loro studiati.
Anche in ambito giuridico, e soprattutto entro il perimetro penale, viene svolta un’operazione simile. Al fine di rendere maggiormente accessibili e manipolabili, tanto agli studiosi quanto ai non esperti, strutture, costrutti, principi, altrimenti di difficile comprensione, si ricorre spesso ad immagini letterarie, ad analogie e rappresentazioni di matrice extra-giuridica.
Tuttavia il problema è che l’uso degenera frequentemente in abuso; di conseguenza, la metafora in questione, da utile strumento esplorativo diviene un elemento confusivo, un fattore di disturbo gnoseologico, un ostacolo alla corretta individuazione concettuale del fenomeno osservato.
Nel presente scritto si analizzerà brevemente il profilo del c.d. reato-spia o reato-sentinella, cercando di mostrare quanto l’espressione possa risultare fuorviante e aliena da qualsivoglia logica legale o criminologica.

Indice

1. Il diritto penale di Pollicino

Sono certo che tutti i lettori avranno ben impresso nei loro ricordi d’infanzia il personaggio di Pollicino, celebre protagonista dell’omonima fiaba.
L’autore del racconto è Charles Perrault, rampollo di una rinomata famiglia borghese del XVII secolo. Colto e raffinato uomo di legge, egli si dedicò perlopiù alla stesura di storie per bambini dall’elevato contenuto morale e pedagogico.
Con l’idea di delineare i contorni del c.d. reato-spia, mi è subito tornata alla mente la sagoma di Pollicino intento a disseminare sassolini e briciole lungo il sentiero della via di casa.
Il reato-spia assolve difatti, perlomeno nelle intenzioni dei suoi ammiratori, ad una funzione analoga ai granelli abbandonati da Pollicino per ritrovare il tragitto verso la propria abitazione.
Desiderando essere più precisi, è possibile elaborare la definizione seguente.
La formula reato-spia, o reato-sentinella, identifica una fattispecie di reato la cui integrazione anticipa, implica, prelude, sottende il perfezionamento di un altro illecito penale.

2. Critica logico-giuridica del costrutto

Qual è l’origine, da dove nasce, questa impostazione giuspenalistica? Quale idea può ispirare una siffatta concezione del diritto penale?
Allo scopo di rispondere a tali interrogativi, è opportuno adoperare un’altra figura letteraria diversa dalla metafora: la similitudine.
Nell’ambiente giurisprudenziale si è ormai da tempo consolidata l’abitudine di accostare, confrontare, comparare, le tecniche e le procedure, nonché il lessico e il vocabolario, delle scienze mediche a quelle proprie delle discipline giuridiche.
In ispecie, la criminologia paragona sovente le fasi di accertamento medico con le rispettive sequenze di valutazione penale. In questa prospettiva, alla diagnosi del medico corrisponderebbe il momento investigativo; la prognosi rivivrebbe nella parentesi penale della cognizione processuale; infine la terapia prescritta sarebbe assimilabile all’esecuzione della pena.
Orbene, a questo proposito giova effettuare alcuni chiarimenti.
Nel settore giuridico, in un contesto legale, è impossibile riprodurre il meccanismo conoscitivo, lo schema analitico, proprio della scienza biomedicale. Per il sanitario è essenziale compiere una diagnosi differenziale, quindi verificare lo sviluppo, controllare l’andamento, del suo primo giudizio (ad esempio mediante la tecnica c.d. ex juvantibus). Il criterio inferenziale tratto ‘dai giovamenti‘, ovverosia fondato sulla tempistica e sulle modalità di remissione di una data patologia sottoposta ad un determinato trattamento, è di converso precluso all’operatore giuridico. Non è cioè consentito, ad esempio in un processo penale, irrogare una pena detentiva transitoria di dieci anni per poi aggiustarne in seguito il massimale, modulandone successivamente la durata in base a nuovi riscontri tecnico-peritali. Invero è presente a tale scopo la fase esecutiva, ma la certezza raggiunta con la sentenza non può essere affetta da instabilità, da dubbiosità, da ipoteticità circa il contenuto afflittivo del provvedimento giudiziario prodotto. Dunque è quantomeno incongruo sovrapporre, avvicinare, la diagnosi differenziale del medico alla cognizione differenziale del giudice.
Da quanto esposto consegue ex se l’impossibilità di perseguire un dato reato al fine di accertarne l’esistenza di un altro, di diversa qualità o configurazione.

3. Critica al modello politico-criminale generatore di reati-spia

Sussistono numerose ragioni per abbandonare la pratica di creazione o conservazione delle fattispecie di reato-spia/sentinella:
I. non è razionale indagare un fatto di reato contestandone un altro (classico esempio: abuso d’ufficio in luogo della corruzione; stalking in sostituzione della violenza privata);
II. mancato rispetto del principio di economia processuale, poiché quasi sempre il reato-sentinella esita in un’archiviazione o in un’assoluzione;
III. dispersione di forza investigativa e energia processuale attorno a fattispecie penali inesistenti o indimostrabili;
IV. inosservanza del principio di parsimonia nella politica criminale di uno stato;
V. aumento del tasso di rumore legislativo;
VI. minaccia al principio d’inescusabilità di ignoranza della legge penale.

4. Riflessione conclusiva

Ogni qualvolta si tenta di ridimensionare l’insostenibile ipertrofismo che ammorba il sistema penale italiano, ecco levarsi immediatamente da più parti alti lai, grida scandalizzate, strepiti indignati.
Il codice penale italiano è stato emanato nel 1930, in pieno regime fascista. All’epoca, come noto, il carattere securitario prevaleva su quello liberale; il controllo sociale si imponeva sul valore della libertà individuale.
Da allora il codice penale si è ingigantito, espandendosi a dismisura, rimpolpato da fattispecie inedite, spesso inutili o dannose; quasi mai si è ritenuto di sfoltirlo, di smagrirlo. Si rammenti altresì che le norme codicistiche costituiscono circa il 50% dell’intera legislazione penale; ad esse vanno infatti sommate le norme incriminatrici presenti nella c.d. legislazione speciale, nonché quelle contenute nella legislazione civile.
Continuare ad ascoltare le sirene care al populismo penale, magari assecondandole mediante l’introduzione di ennesimi reati-spia, non può che portare ad un ulteriore, pernicioso, incremento del panpenalismo.
Sarebbe dunque opportuno ricordarsi, da un lato, che gli uccelli divorarono le briciole sparse da Pollicino, impedendogli di ritornare a casa e conducendolo invece alla dimora dell’orco.
Infine bisognerebbe prestare attenzione ai presumibili effetti iatrogeni delle misure adottate, delle medicine assunte, e possibilmente fare tesoro degli errori passati, per cercare di evitarli o rinnovarli.
Talvolta, se adeguatamente pensate e soppesate, metafore e similitudini aiutano a governare meglio la complessità che ci circonda.

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Francesco Gandolfi

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