Aggravante dell’esposizione a pubblica fede: inammissibilità della contestazione “in fatto”

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 29640 del 19 luglio 2024, ha chiarito che la contestazione “in fatto” di una aggravante (nello specifico, esposizione del bene a pubblica fede) è inammissibile quando la descrizione dell’elemento materiale della fattispecie non consente che sia portata ad effettiva conoscenza dell’imputato la componente valutativa.

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Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sent. n. 29640 del 19/07/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale di Udine ha condannato alla epna di 4 mesi di reclusione e 140 euro di multa l’imputato riconosciuto colpevole (con l’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4 cod. pen., ritenuta prevalente sull’aggravante dell’avere commesso il fatto su un bene esposto per necessità e consuetudine alla pubblica fede) del reato previsto dagli artt. 624, 625, primo comma, n. 7, cod. pen. perché, al fine di trarne profitto, si era impossessato di un televisore Toshiba, sottraendolo da un’ecopiazzola.
Successivamente, la Corte di appello di Trieste, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per mancanza di querela, essendo la fattispecie contestata non più procedibile d’ufficio a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 150/2022 (Riforma Cartabia).
Nello specifico, il reato era stato contestato come commesso su un bene “esposto per necessità e per consuetudine alla pubblica fede” senza alcun richiamo, nemmeno in fatto, alla destinazione a pubblico servizio del bene.
Avverso tale ultima decisione, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste deducendo due motivi: con il primo si denunciava la mancata contestazione in fatto, ritenuta, ad avviso del Procuratore generale, ammissibile quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o a oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei a riportare nell’impugnazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravatrice, rendendo possibile l’adeguato esercizio del diritto di difesa; con il secondo motivo, invece, si censurava la erronea dichiarazione di improcedibilità per difetto di querela per il reato di furto aggravato per essere stata la condotta posta in essere su cose esistenti in stabilimento pubblico ai sensi dell’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., avendo la sentenza impugnata fatto esplicito riferimento alla circostanza che la res furtiva fosse stoccata in una ecopiazzola ove veniva esercitata, seppure da privati, un’attività di pubblico interesse.
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2. Aggravante dell’esposizione della pubblica fede e contestazione “in fatto”: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, evidenzia che l’espressione “ecopiazzola” viene comunemente utilizzata per descrivere un centro di raccolta dei rifiuti e, più precisamente, una “area presidiata ed allestita, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento“.
Vi è, dunque, indubbiamente, la presenza di un pubblico servizio, quale quello della gestione dei rifiuti, esercitato da una amministrazione pubblica o da un soggetto privato titolare della relativa concessione. Il ricorso appare, di conseguenza, corretto.
Tuttavia, la Suprema Corte riprende un consolidato principio di diritto delle Sezioni Unite secondo il quale “non può ammettersi la contestazione in fatto quando la mera descrizione dell’elemento materiale della fattispecie aggravatrice non consente che sia portata ad effettiva conoscenza dell’imputato la componente valutativa, nella specie consistente nella qualificazione del sito come stabilimento pubblico alla stregua di un criterio formale, costituito dalle norme giuridiche di riferimento e non da meri elementi naturalistici“.
Inoltre, nel ricorso non è stata offerta indicazione delle caratteristiche della res oggetto di impossessamento: l’oggetto della condotta contestata, infatti, poteva essere eventualmente destinato anche allo smaltimento e non ad un processo di riciclo che consentirebbe di considerare l’oggetto in questione come bene economico suscettibile di una illecita condotta invece di una res derelicta.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha osservato che il ricorso, seppur abbia centrato la questione relativa alla circostanza aggravante, non ha, tuttavia, fornito specificazioni necessarie per la effettiva conoscenza di tale contestazione.
Inoltre, in merito alla destinazione della res oggetto di impossessamento, questa poteva essere eventualmente destinata anche allo smaltimento e non ad un processo di riciclo che consentirebbe di considerare l’oggetto in questione come bene economico suscettibile di una illecita condotta invece di una res derelicta, abbandonata dal proprietario in quanto ritenuta non più suscettibile di utilizzo da parte dell’avente diritto.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso insuperabilmente generico, oltre che aspecifico in relazione alla mancanza di un adeguato confronto critico con il passaggio motivazionale testé ricordato e l’ha dichiarato, dunque, inammissibile.

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